Aula di Lettere

Aula di Lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Scienze umane

Natura e cultura

Col tempo, l’antropologia ha concepito la dimensione naturale come un’invenzione della cultura stessa. Per questo, essa accetta la polarizzazione e l’interazione tra le due dimensioni. La continua dialettica tra natura e cultura viene ben descritta nell’esempio del rapporto dell’uomo con il proprio corpo.

leggi

Il concetto di natura è nello stesso tempo chiarissimo e oscuro, come mostra una semplice riflessione su una banale distinzione come quella tra “naturale” e “artificiale”. Di primo acchito, per esempio, il nido di un uccello può sembrarci molto più naturale del nostro appartamento. Ma a ben vedere, nessuno dei due nasce spontaneamente, ma sono entrambi frutto di una costruzione elaborata, che assembla materiali diversi. Alla difficile contrapposizione tra naturale e artificiale se ne può accostare un’altra, quella tra natura e cultura, ben nota a una disciplina che della cultura ha fatto il proprio oggetto privilegiato, ossia l’antropologia culturale. Consideriamo alcuni esempi di tale dialettica.  

Studiare le società umane come enti naturali

I primi antropologi, come Edward Burnett Tylor (1832-1917), sono convinti che la storia umana segua una direzione che porta l’umanità da una condizione selvaggia alla civiltà (anche se il processo non è uniforme per tutte le società). Tale prospettiva è influenzata dall'evoluzionismo di Charles Darwin, dal paradigma positivistico e dal desiderio di fondare una disciplina che abbia il medesimo statuto scientifico delle scienze “naturali”. È perciò necessario postulare o almeno presupporre l’esistenza di leggi anche per la dimensione sociale. Perciò, nonostante sia distinta dalla natura e sia il frutto di un’acquisizione esterna, anche la cultura evolve. Qualche generazione dopo gli antropologi abbandonano una visione evoluzionistica della società e si orientano verso il relativismo, optando parallelamente per una visione dell’antropologia più autonoma dalle scienze naturali e meno convinta dell’esistenza di leggi universali.

Qui trovi una sintesi del positivismo

Distinzione oggettiva o culturale?

Quanto visto fino ad ora, comporta una feconda ambiguità che va esplicitata: la distinzione tra natura e cultura possiede sia un valore epistemologico (individuare due contesti di studio, che sono simili o diversi a seconda degli studiosi) sia un valore specificamente antropologico, ossia si tratta di una distinzione che è interna alla stessa antropologia. Per capire questo aspetto vediamo le riflessioni di uno dei più importanti antropologi del Novecento, Claude Lévi-Strauss (1908-2009).

Qui trovi una biografia di Claude Lévi-Strauss

  Considerando in generale il funzionamento delle culture, Lévi-Strauss sostiene che esse sembrano seguire se non proprio delle leggi, almeno alcune linee guida piuttosto ferree in modo analogo a quanto accade in natura. “La Natura – personifichiamola per comodità di argomentazione – ha un numero limitato di procedure a disposizione, e il tipo di procedura che utilizza ad un dato livello di realtà ricompare inevitabilmente ad altri” (Mito e significato, il Saggiatore, Milano 1980). La cultura, chiarisce però Lévi -Strass, non è riducibile alla natura, perché è troppo complessa, ma i suoi fenomeni sono a livello formale analoghi a quelli della natura. Livelli diversi di realtà, quindi, ma con analogie strutturali. Per altro verso, secondo Lévis-Strauss natura e cultura costituiscono una contrapposizione che emerge in ogni società, una vera e propria opposizione binaria che modella il pensiero umano (come spiega Charlotte Seymour-Smith nel Dizionario di antropologia, Sansoni, Firenze 1991). Forse correggendo una sua posizione precedente, nel corso degli anni Sessanta Lévi-Strauss concepisce questa distinzione come una costante con la quale gli uomini distinguono se stessi dalle altre forme di vita. Inoltre, e più spesso, al naturale e al culturale si aggiunge il sovrannaturale, un’altra dimensione ancora, che contribuisce a fornire un'immagine stratificata della realtà umana.  

Attribuire significati

L’antropologia ha quindi con il tempo concepito la dimensione naturale come un’invenzione della cultura stessa, come suggeriscono Ugo Fabietti e Francesco Remotti alla voce natura del Dizionario di antropologia (Zanichelli, Bologna 1997). L’uomo è concepito come un animale la cui specificità è quella di interpretare eventi, comportamenti, oggetti naturali e artificiali, e attribuire loro un significato. Interpretazioni e significati variano da cultura a cultura e con il tempo variano persino all'interno della cultura. Stabilire un netto confine tra le due dimensioni o capire se tale distinzione sia oggettiva o no, resta un problema aperto per molte culture ed esprime bene alcuni caratteri della società: la ricerca di una norma a cui aderire (quando il “naturale” è sinonimo di purezza) o la tensione verso un costante rimodellamento e trasformazione dell’essere umano.  

Un caso: il corpo

L’antropologia accetta quindi questa polarizzazione tra natura e cultura e approfondisce la loro continua interazione. Questa riflessione è svolta in modo arguto da Marco Aime (Il primo libro di antropologia, Einaudi, Torino 2008) a proposito del corpo. Nessuna società umana accetta il corpo “naturale” così com'è, ma si ingegna nei modi più diversi a modificarlo. Di società in società e di momento storico in momento storico, il corpo è sottoposto a riti violenti come la scarnificazione, viene abbellito e decorato con monili e trucchi, viene mutilato o deformato. Il corpo diventa una sorta di pagina su cui si scrivono dei segni, come i tatuaggi. Questa pratica polinesiana, originariamente destinata a indicare lo status sociale di una persona, con il tempo è stata mutuata da altri popoli ed è diventata un modo per contrassegnare gli infami, o persino una forma d’arte o un modo per esprimere qualcosa di se stessi, come avviene oggi nella nostra società. Il rapporto dell’uomo con il proprio corpo esprime bene la continua dialettica tra natura e cultura: il corpo naturale va riplasmato culturalmente, ma viene anche ripensato, per esempio chiedendosi che cosa si può alterare del proprio corpo. Basti pensare a come un corpo depilato ci si sembri più umano perché meno animale, quando i peli (o i capelli o la barba) sono proprio qualcosa che nasce spontaneamente e quindi così naturale, ma come un innesto “metallico” e artificiale, come il piercing possa turbare la sensibilità di molti.  

Crediti immagini: ritratto di Charles Darwin (crediti: Wikimedia Commons https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Charles_Darwin_01.jpg)

person-1421105_1280

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento