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Diario di un maestro, di Vittorio De Seta (Italia 1972)
Tiburtino III, quartiere disastrato alla periferia di Roma. Mille problemi, tra i quali quello della scuola non è certo il minore. I genitori hanno altro da pensare, la frequenza alle lezioni dei loro figli potrebbe essere definita, con un eufemismo, un “optional”. Un giovane maestro alle prime armi, nuovo della zona, prende servizio in una classe in cui una buona metà dei ragazzi marina le lezioni. Una situazione accettata con fatalismo dal preside e dal resto del corpo insegnante, ma che evidentemente non può durare così. Solo che i soliti metodi repressivi hanno dimostrato di non funzionare. Allora, che cosa si può mettere in piedi di nuovo? La grande scoperta del “maestrino” consiste nel coinvolgere i ragazzi nelle lezioni, partendo dalle esperienze concrete, quotidiane della loro vita ai margini. Lezione di scienze? E perché non andare ad osservare le rane che sguazzano nei canali della zona? O ancora, perché non costruire un vivaio per le lucertole, invece di andare in giro ad ammazzarle? Non manca l’attenzione ai temi sociali: visto che nel quartiere l’illegalità è la norma, in classe si fa parlare un ex ladro di borgata, che racconta agli alunni le difficoltà della sua vita. Il rapporto tra maestro e allievi comincia a diventare profondo, l’anno scolastico diventa un’occasione per una crescita reciproca e per creare un gruppo omogeneo, desideroso di imparare e di guardare il mondo con occhi diversi.
“Diario di un maestro”, tratto dal libro “Un anno a Pietralata” di Albino Bernardini, nasce come sceneggiato televisivo. Trasmesso dalla Rai in quattro puntate domenicali di 70 minuti ciascuna, venne visto da milioni di telespettatori (al tempo non esistevano ancora i canali commerciali). Il suo influsso sulla scuola italiana e sul dibattito in corso circa le modalità di insegnamento fu davvero molto grande, coinvolgendo in modo profondo anche le famiglie. Esiste in commercio una versione più breve (135’), edita da Feltrinelli.
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Io speriamo che me la cavo, di Lina Wertmüller (Italia 1992)
Problema: si può ridere-sorridere di una situazione drammatica? A pensarci bene, si tratta di una domanda che ha attraversato tutta la gloriosa storia della “commedia all’italiana”: da “Tutti a casa” a “Divorzio all’italiana”, i nostri registi e sceneggiatori migliori si sono sempre confrontati con la realtà oggettiva, senza censurarla ma, allo stesso tempo, senza rinunciare al lato comico-divertente. Una situazione analoga si pone anche per il film di Lina Wertmüller che, partendo dal best seller omonimo di Marcello D’Orta, affronta il dramma dell’evasione dell’obbligo scolastico nel nostro Mezzogiorno. Già scegliere per il ruolo del maestro (mandato per errore al Sud) un attore come Paolo Villaggio, reduce dai successi galattici del ragionier Fantozzi, indica un indirizzo preciso: il lato comico sarà in ogni caso presente. Ma la dura realtà non resta certo in secondo piano: i ragazzini, con i loro buffi strafalcioni, sono persone vere, capaci di “bucare” lo schermo. Nella loro presunta povertà linguistica, esprimono in realtà un bisogno insopprimibile di attenzione. Quell’attenzione che famiglie e scuola tradizionale non sanno dare, ma che quel goffo maestro riesce invece a “passare”, dimostrando di avere a cuore il destino dei suoi alunni, anche al di fuori dei confini fisici della classe. Certo, il rischio forte del “macchiettismo” è sempre in agguato, come ogni volta che si affrontano i problemi del nostro Sud. Ma la risata non è sempre sguaiata, e il sorriso è per lo più venato di amarezza, come nella lettura dell’ultimo tema, che dà il titolo al libro e al film:« Quale parabola preferisci? Svolgimento. Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché non ho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separerà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centro quelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille migliardi! Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che è l'inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, che è il paradiso. Poi Dio dirà: "Fate silenzio tutti quanti!". E poi li dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fare il furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: "Uè, addò vai!". Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cielo scoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po' ridono e un po' piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle e io, speriamo che me la cavo. »
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Non uno di meno, di Zhang Yimou (Cina 1999)
Il titolo è un programma: alla fine della supplenza, in quella classe, non ci dovrà essere un alunno di meno. Altrimenti, niente stipendio! Un obiettivo abbastanza normale in situazioni “normali”, ma non nel caso in questione. Primo: la “maestra supplente” che dovrà rispettare la raccomandazione ha solo 13 anni ed è, ovviamente, alla sua prima esperienza lavorativa; secondo, la “scuola” si trova in una zona remota e particolarmente povera della Cina rimasta tagliata fuori dall’impetuoso sviluppo delle aree metropolitane. Quindi, per la giovanissima e inesperta maestrina, il compito si presenta doppiamente duro. Eppure, senza sussidi didattici di alcun tipo (perfino i gessetti sono oggetti preziosi) e con banchi e lavagne di fortuna, non si perde d’animo. Zhang Yimou, il più conosciuto dei registi cinesi, traccia il ritratto di una persona forte, orgogliosa, incapace di compromessi. Il compito assunto è impossibile? Non per lei, che arriva addirittura a “inseguire” in città un alunno scomparso nel nulla. E riuscirà a ritrovarlo, ci si può scommettere, servendosi perfino di una trasmissione televisivo del tipo del nostro “Chi l’ha visto?”.
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Essere e avere, di Nicolas Philibert (Francia 2003)
C’è speranza se questo succede nell’Auvergne. La storica regione al centro della Francia ospita una scuola davvero d’altri tempi: gli alunni, sempre più scarsi di anno in anno, sono infatti raggruppati in una “pluriclasse”. Tutti insieme, fila per fila, dai “pulcini” che imparano l’alfabeto ai più grandicelli già alle prese con storia, geografia, scienze e matematica. Una situazione che può portare sia all’arricchimento reciproco, sia alla confusione più totale. Dipende tutto dall’abilità e dalla dedizione di chi si trova in cattedra. In questo caso i ragazzi sono particolarmente fortunati: il maestro è un vero “maieuta”, in grado di stimolare la loro curiosità in ogni campo, rispettando la crescita emotiva e intellettuale di ognuno. Il film di Nicolas Philibert è difficilmente classificabile: in parte documentario, in parte “fiction”, riprende lo svolgimento di un intero anno scolastico,con le sue conquiste ma anche le sue inevitabili difficoltà. È incredibile come, dopo poche inquadrature, entriamo anche noi in quella classe così speciale e così fuori dal tempo, partecipando a un’esperienza didattica assolutamente al di fuori del comune. L’importante è “assecondare” i ritmi del film, così lontani da quelli delle pellicole cui siamo abituati. Niente suspense, niente colpi di scena: solo i ritmi della vita, compresi i silenzi e le attese. Da gustare inquadratura per inquadratura, “guardando negli occhi” maestro e allievi.


