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Storia dell'arte

Futurismo + donne = traiettorie ondivaghe verso l’uguaglianza

Inizialmente il movimento futurista fu accusato di antifemminismo e misoginia. Grazie all’apporto di alcune artiste come Benedetta Cappa e Rosa Rosà però, le donne desiderose di dimostrare la loro indipendenza e di affermarsi oltre il ruolo di casalinga e madre poterono muoversi concretamente in quella direzione proprio aderendo al Futurismo.

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Sin dalla sua nascita il Movimento futurista registrò posizioni molto diverse attorno alla questione femminile, ai temi dell’uguaglianza e delle possibilità offerte alle donne artiste, posizioni che vanno dalla polemica alla propaganda, fino a lungimiranti visioni molto moderne rispetto al contesto italiano del tempo.  

Il manifesto: una polemica ad arte?

Già dalla pubblicazione del Manifesto, la questione femminile divenne il centro di un’accesa polemica.

«Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.»…e  «combattere… contro il femminismo». (Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del futurismo, Le Figaro, 20 febbraio 1909).

La penna virulenta di Marinetti ovviamente non si scagliava contro la donna in quanto tale, ma contro la donna divenuta simbolo della cultura letteraria del tempo e perfetta incarnazione del sentimentalismo tardo ottocentesco. L’equivoco, ingenuo o creato ad arte, ebbe l’effetto sperato. Lo sdegno si levò da parte di un’opinione pubblica ricettiva e attenta alle rivendicazioni femminili.

All’accusa di misoginia rivolta al Movimento, rispose con altrettanta virulenza una energica e battagliera francese, Valentine de Saint-Point, con il Manifesto della donna futurista, una donna che, liberata da pregiudizi e dalla morale, doveva ritrovare l’istinto sublime alla violenza alla crudeltà. Un appello talmente cruento da cadere nel vuoto.

Nonostante queste premesse, quali motivazioni spinsero molte donne ad aderire al Futurismo? Molte erano attratte dall’esaltazione della parola, dal vitalismo della comunicazione, dal dinamismo come senso di vertigine per il progresso. L’ansia di futuro le ammaliava e le induceva a raccogliere questa sfida per cambiare lo status quo. Contro la prospettiva dilagante del piagnisteo e dell’autocommiserazione in cui versavano le donne da secoli, il Futurismo esercitava il fascino della vitalità che andava a smantellare stereotipi secolari ancora ben radicati nel tessuto culturale italiano. Le donne, desiderose di dimostrare la loro indipendenza e di affermarsi oltre il ruolo di casalinga e madre, trovavano nell’adesione al futurismo un passo concreto in quella direzione.

Dalle testimonianze dirette è emerso che il reclutamento degli artisti era condotto in modo molto semplice e paritario sia per gli artisti uomini e sia per le donne. Marinetti era il pigmalione-mecenate-talent scout che scovava per caso o che riceveva segnalazione di opere (scritti o dipinti) da valutare. Se giudicava il talento dell’artista (uomo o donna) degno di nota, l’incoraggiava a partecipare al Movimento e alle serate futuriste, senza distinzione di sesso, cultura, provenienza o condizione sociale.

La presenza di un centinaio di artiste (numero suscettibile di aumento con il progredire degli studi) all’interno del Movimento contraddice de facto l’iniziale posizione del Manifesto, facendo etichettare l’intera operazione come una manovra pubblicitaria orchestrata ad arte. Intercettando con quelle dichiarazioni la parte femminile più battagliera e progressista Marinetti era riuscito ad aggiudicarsi l’attenzione di potenziali artiste e letterate che proprio per contraddire quegli assunti retrogradi, avrebbero dato maggior visibilità alla corrente stessa.

Un’interessante antologia di documenti delle artiste futuriste
https://www.youtube.com/watch?v=xeRhgJ5MLGM

Dall’antifemminismo del primo Manifesto poi si passa all’opposto, ovvero alla presenza nel programma politico del futurismo di posizioni avanguardiste come il diritto di voto alle donne, la parità di salari e il divorzio; tutte conquiste che mettono in luce un atteggiamento decisamente progressista.
Tenendo presente la particolare situazione culturale e politica italiana del tempo, per molte donne che aderirono al futurismo, quella scelta, certamente coraggiosa, era un modo per dare inizio a una nuova era, all’insegna dell’uguaglianza e della rivendicazione di un nuovo ruolo.

La rivista L’Italia futurista, Rosa Rosà e la “donna del postdomani”

Le riviste erano un agone ideale e reale per dispute e discussioni su temi di attualità.
Con le sue numerose e pregevoli tavole di parole in libertà, “LItalia futurista”, edita a Firenze, si ricava un posto d’onore tra le più importanti riviste del Movimento. Nonostante la breve vita, dal 1 giugno 1916 all’ 11 febbraio 1918, fu considerato “il primo giornale dinamico italiano”. Il quindicinale in grande formato dava voce a interventi vari: dalla guerra allo spettacolo, dalla letteratura alla scienza, dalla politica al cinema, alle arti. Gli scritti di Umberto Boccioni, Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti contribuivano a qualificare la rivista oltre i confini locali del futurismo toscano.

Nel 1917 una polemica sul ruolo della donna occupò le colonne della rivista. L’evento scatenante fu la pubblicazione del libro di Marinetti Come si seducono le donne che portò, dopo ampio dibattito, all’edizione della sua parodia Come si seducono gli uomini di Mari Annetta.

La rivista ospitò sia gli interventi reazionari sia le vibrate proteste delle artiste nella nuova rubrica creata appositamente: donna+amore+bellezza. Queste erano mosse dalla volontà di dare alla causa femminile risonanza e pubblicità e di veicolare finalmente un modello di donna forte ed emancipata. In perfetto stile futurista. 

Tra le voci più interessanti e argute si levò quella di Rosa Rosà, nome d’arte di Edith von Haynau, un’aristocratica viennese nata nel 1884 e trasferitasi a Roma nel 1908 a seguito del matrimonio con lo scrittore italiano Ulrico Arnaldi. Edith aveva condotto una vita da tranquilla borghese madre di quattro figli, fino allo scoppio della guerra, quando la partenza del marito per il fronte le fece riacquistare tempo per sé e per esprimere la sua antica passione per l’arte. In quel tragico periodo, come altre, sperimentò la libertà e l’indipendenza, ritrovando nuove risorse personali. Con lo pseudonimo di Rosa Rosà aderì al futurismo e divenne il prototipo dell’artista totale, dedicandosi alla scrittura, alla pittura e alla grafica, alle arti applicate e all’illustrazione. Nei suoi interventi rispetto alla polemica del libro di Marinetti, Rosa Rosà spostò il problema dalla seduzione alla considerazione della donna nella società ed espresse la consapevolezza di vivere «la vigilia di rivoluzionamenti non solo politici sociali geografici, ma anche sulla soglia di profonda e metamorfosi psicologiche sessuali erotiche».

Con lucidità mette a fuoco che l’uguaglianza salariale tra uomini e donne è un’urgenza: «Inutile ripetere, che in questo istante milioni di donne hanno assunto – al posto di uomini lavori che fino a ora si credeva solo uomini potessero eseguire – discutendo salari che fin d'ora il lavoro onesto della donna non aveva mai saputo ottenere».

Rosa Rosà individua nell’ingresso delle donne nel mondo del lavoro l’evento che aveva messo in crisi l’equilibrio di un sistema atavico, fondato su disuguaglianze di stampo maschilista non più accettabili «dalle donne del postdomani».

L’artista allarga acutamente la sua riflessione alle implicazioni che questo passo epocale avrebbe portato con sé: profetica, scrive che quando la guerra si concluderà, avrà modificato le donne lavoratrici, e i reduci al rientro non troveranno più gli angeli del focolare domestico che avevano lasciato a casa, bensì donne «trasformate e temprate dalla grandiosità del tempo».

L’indipendenza e la dimensione lavorativa vissute da molte donne in quel triste frangente storico avevano fornito alla causa femminista una spinta propulsiva che non era più disposta a tacitarsi. Le donne rivendicavano a gran voce i propri diritti.

«Le donne che lavorano, studiano guadagno e creano, non sanno più amare con l'animo di donne (...) vogliono la loro atmosfera da respirare [perché oramai] le mura del gineceo sono saltate in aria».

Proprio in quegli anni Rosa Rosà visse il suo periodo di maggior successo: dal 1918 al 1922 prese parte a diversi importanti mostre futuriste in Italia e all'estero. Negli anni successivi diversificò la sua produzione dedicandosi maggiormente alle arti minori e all’illustrazione. Anticonformista e visionaria, aperta al futuro oltre il futurismo, Rosa Rosà con la sua produzione letteraria andava oltre le richieste del momento, anticipando addirittura alcuni temi del femminismo degli anni Settanta. La battagliera polemica su L'Italia futurista non fu colta dalle single artiste, osservatrici del costume e della società del tempo, come un’occasione per organizzare un collettivo. E questo diede meno forza alle loro rivendicazioni e a posteriori viene vista come una occasione mancata di esser maggiormente incisive.

Benedetta, “mia eguale non discepola”

Scegliere di non assumere il cognome del marito, nel suo caso, è stato un segno di rivolta e indipendenza. Come molte futuriste, Benedetta (Cappa) volle esser nota solo con il nome di battesimo. Brillante ed elegante, colta e di buona famiglia, dando ascolto al suo anticonformismo prese parte alla seconda stagione del movimento, dal 1917 in poi. Ventenne, nello studio del suo maestro Giacomo Balla, incontrò nel 1918 Filippo Tommaso Marinetti. La loro relazione iniziò con un periodo di convivenza prima del matrimonio, situazione molto irregolare per la società del tempo.

Impegnata sul fronte familiare con tre figli, grazie all’indole determinata e alla ferrea organizzazione, Benedetta riuscì a gestire i ruoli di donna, moglie, madre e artista in egual misura.
Marinetti, ammaliato dal suo spirito al pari della sua avvenenza, le riconosceva talento e creatività, scrivendo: «Ammiro il genio di Benedetta, mia eguale non discepola».
Benedetta ha scongiurato che il matrimonio con Filippo Tommaso Marinetti si trasformasse in una trappola per la sua creatività e ha evitato di essere travolta dalla personalità carismatica e volitiva del capo del movimento.

Incarnò l’attivismo del futurismo, cimentandosi come scrittrice di romanzi, autrice di tavole parolibere, tavole tattili e illustrazioni ma si tenne lontana dalle posizioni estreme e rivoluzionarie del primo futurismo. La coppia gestiva la loro casa nel quartiere Prati di Roma come centro culturale: ricevevano amici e artisti, organizzavano manifestazioni, volantinaggi e pubblicazioni.

Secondo le ultime acquisizione critiche, a Benedetta va attribuita l’ideazione del “tattilismo futurista“, derivato probabilmente dalla sua formazione di maestra elementare e dalla conoscenza della pedagogia sperimentale di Maria Montessori.

Le sue tavole monumentali per il Palazzo delle Poste di Palermo del 1934, note a livello internazionale, sono realizzate con un sapiente uso del colore abbinata a una ariosa e suggestiva impaginazione strutturale.

Il suo talento la pose al di sopra della marginalità e delle inevitabili malignità, le sue opere hanno testimoniato l’autonomia estetica e la sua originalità. Come altre artiste non usò il suo successo per dar voce alle rivendicazioni collettive: tutte cercarono la visibilità, furono soprattutto rivali e non colsero l’opportunità di creare una voce solidale che avrebbe dato maggior peso alle istanze di uguaglianza del tempo.

Per saperne di più
L’arte delle donne nell’Italia del Novecento, a cura di L. Iamurri e S. Spinazzè, Roma Melteni 2001
Donne d’arte. Storie e generazioni, a cura di M. A. Trasforini, Roma Melteni 2006
F.T. Marinetti, Come si seducono le donne, Firenze Vallecchi 2003
C. Salaris, Donne d’avanguardia, Bologna il Mulino 2021
C. Salaris, Storia del Futurismo. Libri giornali manifesti, Roma Editori Riuniti 1985
​L. Vergine, L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, Milano Il Saggiatore 2005


Crediti immagine: Benedetta Cappa, Le comunicazioni aeree, Palermo, Palazzo delle Poste

Rosa_Rosà_alias_Edith_von_Haynau.jpeg

Rosa Rosà, Crediti immagine: Wikimedia Commons

Benedetta_Cappa.jpeg

Benedetta Cappa, Crediti immagine: Wikimedia Commons

Italia Futurista

Prima pagina del numero 27 del giornale “Italia Futurista”, 1917

Sintesi delle Comunicazioni Aeree_Benedetta Cappa
Benedetta Cappa, "Sintesi delle Comunicazioni Aeree". Museo: Palazzo delle Poste, Palermo. Album / Alamy Foto Stock
1 Commenti
S

Silvana Prete

02 giugno 2022 alle 12:33

Interessante e semplice l'articolo offre un prezioso spunto per l'approfondimento delle tematiche sulla parità di genere

L

La Redazione

03 giugno 2022 alle 10:52 - in risposta a Silvana Prete

Grazie per il suo commento! Continui a seguirci! La Redazione

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