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Storia dell'arte

L’autoritratto nell'arte: biografie visive allo specchio

L'autoritratto è un genere piuttosto comune nella storia dell'arte. Tuttavia artisti in epoche diverse l'hanno saputo interpretare in modo molto diverso ed evocativo
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di Simona Pinelli e Chiara Pilati

Che cosa ha spinto e spinge tuttora l’uomo a duplicare la sua immagine? Paura? Egocentrismo? Desiderio di affermazione? Tutte queste motivazioni, unite insieme, da sempre spingono l’essere umano a lasciare tracce del suo volto e del suo corpo. È l’autoritratto: affascinante, intrigante, misteriosa rappresentazione del sé, troneggia imperante nell’arte, a rappresentare non solo i tratti somatici dell’artista ma anche la sua personalità, le sue emozioni, i suoi sogni, fino ad arrivare a veri e propri tentativi di autoterapia che giungono fino ad oggi attraverso l’ormai celeberrimo selfie, che altro non è se non un autoritratto fotografico.

Ciò che rende l’autoritratto così affascinante e quasi irrinunciabile è la sua capacità di sostituirsi alla persona di cui è "copia", capacità che naturalmente non è tanto di "cosa" è ritratto, quanto del pensiero e della psicologia che fanno sì che l’immagine funzioni da doppio del soggetto, soddisfacendo al bisogno di presenza costante e non ultimo, all’esigenza di lasciare un segno, una traccia di sé, di sopravvivere alla morte fisica, con la sopravvivenza "metaforica" nell’opera d’arte.

«L’autoritratto è il sublime ricordo dell’antico mito di Narciso, è la proiezione del passato nella storia. È allegoria ed emblema, racconto e menzogna. Può essere finzione assoluta o verità inconscia» dice infatti Maurizio Fagiolo dell’Arco presentando la mostra Il Pittore allo specchio (Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1995).

Ed ecco quindi lo straordinario gioco del ritratto-autoritratto del Narciso di Caravaggio. Solo, senza ambientazione, Narciso si perde nella contemplazione della sua immagine, che non è in verità un riflesso nell’acqua ma la perfetta immagine speculare del soggetto, cosiddetta “a carta da gioco”, dominata dallo straordinario punto di luce (anch’esso doppio) del ginocchio.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, "Narciso", olio su tela, 1546-48, 113,3 x 95 cm, Roma, Galleria Borghese (via Wikipedia)

Narciso è anche uno dei protagonisti del "Come te lo spiego" di latino e greco a firma di Andrea Ercolani. Lo puoi trovare sull'Aula di Lettere cliccando qui

Passando con un balzo all’arte contemporanea, un grande artista del ‘900 come Man Ray interpreta anch’esso l’idea del Narciso, ma nella sua maniera concettuale e spaesante: egli infatti mette in mostra un’opera che altro non è che uno specchio incorniciato che porta sotto un’etichetta con incisa a lettere maiuscole la parola Autoritratto. Ma autoritratto di chi? Chi è l’artista e chi è il sosia? Di chi è l’autoritratto? Siamo forse noi spettatori, moderni Narciso che veniamo elevati al rango di “artista” e ci contempliamo nel nostro essere opera d’arte, guardandoci semplicemente in uno specchio?

Cliccando qui puoi vedere un video (Mosaico, di E. Gazzotti –F. Sartori, 1999, 15’ circa) si può incontrare la figura di Man Ray ma soprattutto conoscere molti dei suoi autoritratti, che uno dei cardini della sua poetica e della sua arte, attraverso il magistrale uso della fotografia, che dalla sua invenzione in poi, diventerà il mezzo principale del ritratto e dell’autoritratto.

Varie sono comunque le tipologie di autoritratto nella storia dell’arte: principalmente però si parla di autoritratto esplicito, che dichiara “apertamente” la sua appartenenza al genere, e autoritratto nascosto – o “ambientato” -, nel quale l’autore non compare come soggetto principale dell’opera ma camuffato fra i personaggi, per così dire mascherato da uno dei protagonisti dell’opera.

Un esempio di autoritratto ambientato è l’immagine di sé che Giotto nasconde nell’affresco del Giudizio Universale nella Cappella degli Scrovegni a Padova nel quale compare, travestito, fra i beati. In questo particolare dell’affresco, si vede fra gli uomini di profilo che guardano verso l’alto un uomo con un copricapo giallo: quello è l’autoritratto del pittore.

Giotto, "Giudizio Universale", 1306 circa, affresco, 1000 × 840 cm, Padova, Cappella degli Scrovegni - particolare (via Wikipedia)

Anche Raffaello si “traveste” da visitatore - escamotage molto usato nel Rinascimento- all’interno del gruppo di intellettuali e filosofi nella Scuola di Atene (1509-11), autocelebrando il suo ruolo di pittore e, in generale, esaltando la finalmente conquistata affermazione dell’artista “moderno”. Infatti, oltre a ritrarre se stesso, Raffaello dipinse il ritratto di molti pittori a lui contemporanei, sempre nelle fattezze di filosofi.

Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, 1509-1511 ca, 500 x 770 cm, Roma, Musei Vaticani (via Wikipedia)

Provate a scovare lui e gli altri artisti tra le 58 figure presenti: ci sono Michelangelo, Leonardo, Bramante… buona caccia!

Clicca qui o clicca sull'immagine per vedere una versione ingrandita del dipinto di Raffaello

E ancora, l’autoritratto come ritratto, ossia il quadro dentro il quadro, se stesso posto in cornice all’interno di un dipinto, come accade con lo specchio posto alle spalle dei coniugi Arnolfini da Jan Van Eyck. Si tratta di uno stratagemma che consente di inserire nella tela anche ciò che sta al di qua, catturando così anche la presenza dell’artista e di un uomo al suo fianco. Un trucco che amplia lo spazio pittorico in una dimensione mai vista prima!

Jan Van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini,1434, olio su tavola, National Gallery, Londra (via Wikipedia)

Incantevole e sorprendente, su questo argomento, è poi la maestria di Diego Velázquez, che organizza il suo capolavoro Las Meninas basandosi sul “chi è dove” e mescolando ritratti (le bambine), autoritratto (lui), fino allo specchio in cui sono riflessi i sovrani che, quindi, sono di fianco a noi a guardare il quadro. Ed ecco che magicamente, anche lo spettatore viene risucchiato dentro il dipinto, immaginando il proprio autoritratto proprio lì, nello specchio accanto ai sovrani.

Diego Velazquez, La Meninas, 1656, 318×276 cm, Madrid, Museo del Prado (via Wikipedia)

Veniamo ora, all’autoritratto vero e proprio in cui l’artista si raffigura senza trucchi né ambientazioni, semplicemente ponendosi come tema principale del quadro. A volte l’artista si ritrae al meglio di sé, bello e paludato nel suo orgoglioso essere intellettuale e maestro delle arti; ma spesso, invece, si ritrae in modo impietoso, evidenziando il proprio dolore, i propri difetti, la propria decadenza fisica.

Fulgido e celeberrimo esempio di questa tipologia di autoritratto è Rembrandt che, in vita, si ritrasse quasi cento volte, fornendoci un eccezionale documento del suo aspetto fisico ma soprattutto dei suoi stati d’animo: infatti, ritraendo il suo volto che man mano invecchia l’artista ci racconta i suoi problemi, i lutti, le vittorie e le sconfitte, le forze che vengono a mancare, e testimonia così, inesorabile e senza orpelli, il tempo che passa per tutti.

Cliccando qui puoi vedere un bellissimo video che mostra, con la tecnica del morphing, i vari autoritratti di Rembrandt nel tempo, partendo da un baldanzoso giovanissimo artista e arrivando a uno stanco, segnato ma meraviglioso vecchio.

Altra artista famosissima per gli autoritratti – che di fatto erano quasi l’unico soggetto del suo intero corpus - è Frida Kahlo. A causa di un gravissimo incidente che la costringe spesso a letto, l’artista comincia a dipingersi ossessivamente, raffigurando – con vere e proprie narrazioni visive zeppe di simboli e allegorie dove in primo piano è il suo corpo martoriato – le fasi drammatiche della sua vita, costellata da sofferenze fisiche e psicologiche che spesso riusciva a sopportare solo attraverso la pittura.

In questo commovente autoritratto, per esempio, Frida esprime tutto il suo sfinimento per le troppe operazioni chirurgiche cui fu sottoposta; moderna San Sebastiano, è trafitta da mille chiodi e, piangendo, ci mostra il petto squarciato in cui campeggia una colonna greca tutta rotta, simbolo dell’impossibilità di essere “aggiustata” per poterla tenere in piedi.

Impossibile, poi, non citare un altro artista celeberrimo per gli autoritratti: parliamo di Francis Bacon e delle sue facce spaventose, deformi e distorte, in cui dolore e disperazione sono protagonisti assoluti, espressione quanto mai evidente dei profondi drammi interiori che tormentavano la mente dell’artista, a causa dei disturbi psichici dovuti ai devastanti rapporti che ebbe con entrambi i genitori.

In questo video si analizzano come i dipinti Two Studies for Self-Portrait di Bacon, del 1977, esprimano tutto il disumano trauma psicologico dell’artista.

Quasi ai giorni nostri, anche Christian Boltanski compie una profonda indagine sul tempo e la memoria – proprio come Rembrandt – nell’opera Entre temps in cui ritrae se stesso in una lunga sequenza di centinaia fotografie che, dissolvendosi una nell’altra, mostrano l’artista che cambia in un arco della sua vita che va dai 7 ai 58 anni.

Cliccando qui puoi vedere un estratto dal film Vies possibles de Christian Boltanski di Heinz Peter Schwerfel, 5’45’’ (in francese con sottotitoli in inglese)

E va anche oltre con il video 6 septembres 2005. Infatti, in soli 4 minuti e 30 secondi, affianca sfera privata e sfera pubblica, in una vera e propria azione concettuale sul tema della biografia, trasmettendo ad alta velocità, tutte le notizie passate nei telegiornali il giorno del compleanno di Boltanski, il 6 settembre appunto, dall’anno della sua nascita fino al 2005.

Chiudiamo questa carrellata con un’altra variazione sul tema autoritratto, cioè quando il soggetto – rappresentato come figura umana- sparisce del tutto e subentra la soggettività, cioè l’artista comincia ad autoritrarsi attraverso simboli o caratteristiche che lo rappresentano. Un fantastico esempio di questa modalità di autoritratto è Les Valeurs Personnelles di Renè Magritte . Anche se l’autore non lo ha mai detto esplicitamente, questo dipinto è stato spesso interpretato come un autoritratto dell’artista attraverso gli oggetti della sua quotidianità.

Proviamo a ricostruire insieme la biografia di Magritte attraverso questo quadro: ha la barba o no? Fuma? Perché gli oggetti non sono nelle “giuste” proporzioni? Forse l’artista vuole fornirci un ordine di importanza di questi oggetti riguardo a se stesso? E perché le pareti sono fatte di nuvole?

Per saperne di più:

Pascal Bonafoux, Les Peintres et l'autoportrait, Skira, Genève, 1984

Maurizio Fagiolo dell’Arco, Il pittore allo specchio: Autoritratti italiani del Novecento, catalogo mostra, Ferrara, Civiche Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea, 1995

Alberto Boatto, Narciso infranto. L'autoritratto moderno da Goya a Warhol Laterza, Roma-Bari, 2005

Stefano Ferrari, Lo specchio dell’Io, Laterza, Roma-Bari, 2007.

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