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2. Sistemi maggioritari e sistemi proporzionali: uno sguardo d'insieme

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Due famiglie di sistemi elettorali. Esiste una grandissima varietà di sistemi elettorali per l’elezione di assemblee parlamentari. A prescindere dai cosiddetti «sistemi misti», sui quali le opinioni degli studiosi spesso divergono, questa varietà di sistemi può essere ricondotta a due diverse famiglie: i sistemi maggioritari e i sistemi proporzionali.
In linea di massima, i primi tendono a «premiare un vincitore» e a favorire la «governabilità» con effetti in varia misura «dis-rappre­senta­tivi» (che distorcono cioè la volontà espressa dagli elettori). I secondi, invece, privilegiano l’esi­genza di «rappresentare» il più possibile i diversi orientamenti degli elettori, spesso – ma non necessariamente – a discapito della governabilità stessa.
Sempre in linea di massima, i due sistemi funzionano in maniera «fisiologica» in contesti politici in cui a competere sono rispettivamente due partiti (sistemi bipartitici) oppure tre o più partiti (sistemi multipartitici). Vi è tuttavia una particolare famiglia di sistemi maggioritari – quelli a doppio turno – che funziona adeguatamente proprio nei sistemi multipartitici.
Fatta eccezione per i sistemi proporzionali «puri» o «quasi puri», che non generano alcun particolare effetto nella traduzione dei voti in seggi, tutti gli altri sistemi elettorali – le varie forme di proporzionale «corretto» e i sistemi maggioritari – possono produrre rilevanti effetti dis-rap­presen­tativi e quindi esercitare forti pressioni sulle scelte degli elettori e sugli stessi partiti. È su questo elemento «ingegneristico» che finisce per precipitare ogni discussione sulle riforme elettorali. L’Italia di oggi non fa eccezione.
 
Un equivoco da sciogliere. Per comprendere quali siano le differenze essenziali tra i sistemi maggioritari e quelli proporzionali si deve sgombrare il campo da un equivoco. Tali differenze, infatti, non risiedono tanto negli specifici effetti che i due sistemi producono, quanto piuttosto nella struttura più profonda della competizione elettorale cui essi danno luogo.
Certo, i sistemi maggioritari e quelli proporzionali producono di massima risultati rispettivamente maggioritari e proporzionali. In molti casi, tuttavia, anche i sistemi proporzionali possono produrre effetti maggioritari. Ad esempio, quando prevedono – com’è il caso dell’attuale legge elettorale italiana, il Porcellum – un «premio di maggioranza» per chi ottiene la maggioranza dei voti. Il fatto che sia previsto tale premio, tuttavia, non significa che il sistema elettorale sia «maggioritario». Il Porcellum, infatti, non è un sistema maggioritario, ma un sistema proporzionale «corretto», che prevede cioè una serie di dispositivi (non solo il premio) atti a favorire il vincitore della competizione elettorale.
 
Le differenze tra sistemi maggioritari e proporzionali. Per comprendere quali sono le principali differenze tra i sistemi maggioritari e quelli proporzionali è opportuno fare riferimento a tre dati strettamente correlati:
a) al numero di seggi in palio in ognuna delle ripartizioni in cui viene di regola suddiviso, per lo svolgimento delle elezioni, il territorio di una data comunità politica;
b) al fatto che gli elettori siano chiamati a votare per singole persone oppure per liste di partito;
c) alla specifica formula elettorale con cui, a urne aperte, si traducono i voti in seggi. Tale formula è maggioritaria quando i seggi sono attribuiti a quel candidato o a quei candidati che hanno ottenuto la maggioranza (relativa o assoluta) dei voti, e solo ad essi. È invece proporzionale, quando i seggi sono distribuiti in proporzione ai voti ottenuti dai singoli partiti.
Vediamo dunque come funzionano sotto questi tre aspetti i sistemi maggioritari e i sistemi proporzionali, nella loro forma pura e nelle loro principali varianti.

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