Il collegio uninominale. Nella stragrande maggioranza dei casi i sistemi maggioritari si basano sul «collegio uninominale». Essi prevedono, cioè, che il territorio complessivo entro cui si svolgono le elezioni venga suddiviso in un ampio numero di sezioni – i «collegi» – in ognuna delle quali vi è soltanto un seggio in palio per il quale competono i diversi partiti con i loro candidati. Si immagini – per capire meglio – di dover eleggere un parlamento nazionale di 100 deputati. Con un sistema maggioritario, il territorio viene suddiviso in 100 «collegi» (tanti quanti sono i deputati da eleggere) e in ogni collegio si svolge una competizione tra partiti che produce un unico vincitore. I 100 vincitori di queste 100 singole competizioni andranno a formare l’assemblea rappresentativa.
Il voto alla persona. In un sistema così congegnato – in cui il vincitore, lo ripetiamo, è uno solo – gli elettori sono chiamati a votare non per liste di partito ma per la persona che i singoli partiti hanno deciso di candidare. Il che implica una tendenziale «personalizzazione» della competizione elettorale.
La formula maggioritaria. Quanto alla formula elettorale – la formula maggioritaria – i suoi effetti per la traduzione dei voti in seggi sono già impliciti nel principio stesso del collegio uninominale. Poiché il seggio in palio è uno solo, vince semplicemente il candidato (e il partito) che ha ottenuto la maggioranza dei voti. E tutti gli altri perdono.
Turno unico e doppio turno. A questo proposito, tuttavia, si dà un importante differenza nella tipologia dei sistemi maggioritari a seconda che la maggioranza richiesta per conquistare il seggio sia relativa o assoluta. A seconda, cioè, che per aggiudicarsi il seggio sia sufficiente aver ottenuto il maggior numero di voti (plurality) oppure sia necessario ottenere almeno la metà più uno dei suffragi (majority). Nel primo caso – che è quello del cosiddetto «maggioritario secco» in vigore ad esempio nel Regno Unito – l’elezione si svolge in unico turno e il primo classificato vince. Nel secondo caso – in vigore ad esempio in Francia – se al primo turno nessuno dei candidati in competizione ha ottenuto la metà più uno dei voti, si procede a un secondo turno elettorale, che si svolge di regola una o due settimane dopo il primo turno. A questo secondo turno possono accedere, a seconda di quanto previsto dalle diverse normative in vigore, i primi due partiti classificati, i partiti che hanno ottenuto almeno una data percentuale di voti al primo turno (come accade in Francia), oppure, in alcuni casi, anche tutti i partiti. Risulta in ogni caso vincitore il candidato che, in questa seconda tornata elettorale, ottiene la maggioranza relativa dei voti.
Molte varianti, una logica. Al di là di questa fondamentale distinzione, esistono e sono esistite svariate fattispecie di sistemi maggioritari. La logica di fondo di questi sistemi rimane tuttavia quella di eleggere un’assemblea rappresentativa attraverso una molteplicità di competizioni elettorali a un unico vincitore. Quali siano gli effetti di questa logica, e quanto essi siano diversi nel caso del maggioritario secco e del maggioritario a doppio turno, lo vedremo più avanti. Prima conviene vedere come funzionano i sistemi elettorali di tipo proporzionale.