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Doni alla città: l’evergetismo greco-romano

L'evergetismo è stata una peculiare forma di donazione del mondo antico, in particolare greco e romano, seppur con caratteri diversi a seconda del contesto e con evoluzioni nel corso del tempo
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Una questione di prestigio Nelle iscrizioni greche di età ellenistica (fra la metà del IV e gli ultimi decenni del I secolo a.C.) erano onorati come evergeti, cioè benefattori, coloro che avevano “fatto del bene” alla loro città, la polis, con il loro denaro o con la loro attività pubblica. Avevano cioè finanziato e organizzato banchetti in occasione di feste religiose, divertimenti, spettacoli nel circo, opere pubbliche. Il tutto a vantaggio della comunità dei cittadini. Nelle strade e nelle piazze la loro fama era perpetuata da statue onorarie, lapidi, iscrizioni.
Iscrizione in onore di Aristosseno figlio di Demofonte, benefattore del ginnasio di Atene, fine del III secolo a.C. Museo del Louvre, Parigi (via Wikimedia Commons)
Le principali motivazioni per questi contributi erano due: ostentazione di prestigio e affermazione di status (e in tal caso erano interventi liberi e spontanei), oppure celebrazione della nomina a una carica cittadina (e allora erano in qualche modo dovuti, moralmente o legalmente). In ogni modo le “evergesie” erano legate all’affermazione orgogliosa del rango elevato di chi le compiva, che di solito era un notabile, membro del consiglio municipale che amministrava la città e orgoglioso esponente della nobiltà locale. Ci fu sempre, naturalmente, un evergetismo “di stato”, praticato da re e governatori degli stati ellenistici, ma in questi casi la “beneficenza” era diretta espressione del potere regio, benefattore per definizione. La magnificenza di chi dona Aristotele analizza il fenomeno dell’evergetismo nell’Etica Nicomachea e la interpreta come espressione di una virtù etica, la “magnificenza” (megaloprepeia), caratteristica che attribuisce appunto ai ricchi notabili delle città: il desiderio dei ricchi di donare con ostentazione s’incontra con l’aspettativa della città, che “esige” che i ricchi facciano elargizioni. Secondo Paul Veyne (che ha esplorato a fondo questo fenomeno in un’opera ormai classica, Il pane e il circo, del 1976) la più antica epigrafe greca che celebra un evergete risale al 320 a.C. e riguarda la costruzione di un ponte sul fiume Cefiso, nella via sacra fra Atene ed Eleusi. Oltre all’immancabile lapide celebrativa, al finanziatore fu dedicato anche un epigramma funebre: “O voi che siete iniziati andate al santuario di Demetra, andateci, o iniziati, senza più temere la piena del fiume durante il temporale: vedete com’è solido il ponte che Senocle ha gettato per voi sul largo fiume” (Antologia Palatina, IX, 147, in P. Veyne, op. cit.).
A questo link si trova una recensione di Maurizio Bettini alla ristampa del 2014 del libro di Paul Veyne.
Poiché si trattava di contributi alla collettività dei cittadini, alla polis, questo tipo di beneficenza va distinto dalla liberalitas, che s’indirizza invece a gruppi scelti o a singoli individui. Per i contenuti, le motivazioni e i destinatari, inoltre, le evergesie non comprendono le opere pie e caritatevoli: perché esista carità sarà necessario un interesse sociale verso i poveri che nel mondo ellenistico non riscontriamo e che si affermerà assai lentamente con il cristianesimo. Anche quando gli evergeti partecipavano a pubbliche sottoscrizioni per acquistare grano in occasione di carestie, i destinatari non erano i poveri in quanto tali, bensì esclusivamente i cittadini, qualunque fosse la loro condizione. L’evergetismo, infine, è un modo di donare, ma questo dono non corrisponde a una primitiva forma di scambio: infatti non prevede reciprocità e piuttosto ribadisce il potere politico del donatore e la sua superiore autorità rispetto al popolo destinatario. C’è, nell’evergetismo greco di età ellenistica, qualche analogia con il sistema delle liturgie (“servizi per la comunità”) dell’epoca classica. Nell’Atene democratica però le liturgie erano istituzionalizzate e si contavano un centinaio di questi servizi pubblici: i più impegnativi, che potevano portare alla rovina chi se li accollava, erano l’allestimento di spettacoli teatrali (coregia) e l’armamento di una nave da guerra (trierarchia). Destinare risorse alle liturgie non era un obbligo di legge, ma era un vincolo di carattere sociale e morale per i membri delle classi superiori che volevano ottenere o mantenere l’influenza politica. Vediamo all’opera, in questo caso, un sistema di ridistribuzione della ricchezza in un governo cittadino che non aveva un’imposizione fiscale diretta. Sviluppi dell'evergetismo a Roma Nella Roma repubblicana, che era una polis oligarchica, l’evergetismo ebbe caratteristiche, motivazioni e dimensioni diverse. Fu prerogativa della nobilitas senatoria e i senatori, a differenza dei notabili delle città greche, sentivano il comando come un diritto, non come un privilegio onorario. Le evergesie a favore del popolo, soprattutto verso la fine della repubblica, avvenivano con denaro pubblico e per motivi di stato. I membri della nobilitas usavano piuttosto le loro ricchezze private per esprimere il loro potere politico e per mantenere i rapporti di clientela (che potevano riguardare non solo gruppi di persone, ma intere città o territori). In ogni caso, durante la costruzione dell’impero Roma poté disporre d’immense ricchezze, che in parte erano usate dai magistrati per una sorta di “mecenatismo di stato”. Emblematico è il caso dell’allestimento di giochi nel circo o di spettacoli nel teatro, collegati a feste religiose o ad eventi di carattere pubblico. Gli edili, i magistrati a cui toccava questo compito, avevano a disposizione una somma attinta dai bilanci pubblici, che in genere si rivelava insufficiente. I magistrati si trovavano costretti a finanziare in proprio questi eventi se volevano emergere e garantirsi la prosecuzione della carriera politica. Diventavano evergeti per forza di cose, oltre che per la volontà di mantenere la loro dignitas, il loro onore, e garantirsi la prosecuzione della carriera politica. Quando si giunge al predominio dei capi militari e alla fine della repubblica, si impone a Roma un nuovo tipo di evergetismo. È chi detiene il potere personale (Pompeo, Cesare, Ottaviano Augusto…) che esprime la sovranità attraverso la magnificenza delle opere offerte alla città. Le Res gestae di Augusto, incise su pietra in varie località dell’impero, elencano meticolosamente le spese che il principe ha sostenuto per lo stato e il popolo romano, anche attingendo al suo immenso patrimonio personale. I primi successori seguirono lo stesso modello. Da Nerone in poi, gli imperatori continuarono a fare elargizioni, prelevando però il denaro dalle casse dello stato: nel regime monarchico ogni spesa doveva essere considerata un dono, frutto della generosità del sovrano. In particolare, divenne esclusivo dell’imperatore il patrocinio dei combattimenti di gladiatori nella città di Roma, un tipo di spettacolo molto gradito alla plebe. Fuori da Roma, in Italia e nelle province l’evergetismo civico continuò a sussistere nelle forme tradizionali nei secoli dell’impero, soprattutto in regioni ricche come le province d’Africa e di Spagna e in Oriente.
A questo link si trova il mosaico (metà del III secolo d.C.) che Magerio, notabile della cittadina di Hadrumentum (l’attuale Sousse in Tunisia) fece realizzare a ricordo dei giochi gladiatori che aveva donato ai concittadini.
Tradizione e novità nell'Impero cristiano Nell’impero cristiano del IV-V secolo, i vescovi e la gerarchia ecclesiastica si opposero con vigore alla pratica dell’evergetismo, perché non era collegata alla misericordia per i poveri. La munificenza civica però era una caratteristica così connaturata alle élite cittadine, che per lungo tempo continuò a essere praticata anche da ricchi cristiani. Nel tempo tuttavia ebbero successo gli sforzi di predicatori del calibro di Ambrogio e di Agostino, tesi a incanalare la ricchezza verso opere di carità, verso le elemosine e le donazioni alla Chiesa, destinate anche ad abbellire le basiliche. Fare dei poveri (e non più dei cittadini in quanto tali) un centro d’interesse fu un cambiamento decisivo nella mentalità, che si realizzò appunto nell’ultima età imperiale. Riferimenti bibliografici Paul Veyne, Il pane e il circo, Il Mulino, Bologna 1984, 2013 (ed. orig. Parigi 1976). Peter Brown, Per la cruna di un ago, Einaudi, Torino 2014 (ed. orig. Princeton 2012) Immagine di apertura: Stoa Attalos, Nùria (via flickr) Immagine per il box: colonnato della Stoa di Attalo nell’agorà di Atene, Adam Carr (via Wikimedia Commons)    
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