Il 7 luglio 2012 – meno di un anno dopo la caduta della dittatura di Gheddafi – si svolgono in Libia le prime elezioni dopo 47 anni. La partecipazione è significativa, oltre il 60 percento, e le operazioni si svolgono in maniera regolare. Dalle elezioni devono uscire i 200 membri del Congresso generale nazionale, che fino all’emanazione di una nuova Costituzione prenderà il posto del Consiglio nazionale transitorio, l’organismo di governo uscito dalla guerra civile che ha portato alla caduta del dittatore. Dei 200 membri del Congresso, solo 80 sono riservati ai partiti, gli altri sono destinati a candidati indipendenti; i futuri equilibri politici sono dunque difficili da prevedere.
Contrariamente alle elezioni che si sono tenute dopo le “primavere arabe” in Tunisia e in Egitto, in Libia non si registra la vittoria dei partiti islamici legati alla Fratellanza musulmana. Fra i partiti organizzati prevalgono infatti i liberali dell’Alleanza delle forze nazionali, guidati da Mahmoud Jibril, ex premier del governo di transizione. Nonostante l’apertura verso la società laica, anche la coalizione di Jibril è disposta a collaborare con gli islamici, anche accettando la legge islamica come base del diritto.
I problemi che la Libia deve affrontare sono gravi, fra questi: – la disoccupazione che tocca il 30 per cento, – il disarmo delle milizie legate alle diverse tribù (che attualmente continuano a mantenere il controllo di parte del territorio), – il ripristino della legalità e il rispetto dei diritti umani, – le rivendicazioni autonomistiche della Cirenaica, – gli scontri tribali nel Sud della Libia.