Gli scenari. È estremamente difficile immaginare, almeno per il momento, quali potranno essere gli esiti della crisi che abbiamo descritto nei suoi sviluppi più recenti e nelle sue cause di medio e lungo periodo. Il quadro è ancora estremamente fluido e in continua evoluzione. E non è affatto chiaro se la crisi verrà risolta con l’uso della forza oppure per via diplomatica e se essa produrrà o meno la spaccatura del paese.
Lo scenario diplomatico. L’obiettivo cui puntano con ogni evidenza le cancellerie europee, gli Stati Uniti e la nuova classe dirigente che sembra per ora aver trionfato a Kiev e nelle regioni occidentali del paese, è che l’Ucraina riesca a mantenere la propria unità e la propria indipendenza senza ulteriori violenze su larga scala, trovando un equilibrio tra le regioni occidentali e quelle orientali. Per una soluzione di questo genere, tuttavia, si dovrebbero fornire garanzie molto forti per un verso alle minoranze russe dell’Ucraina orientale e della Crimea e soprattutto alla Russia di Putin. Garanzie, s’intende, che al momento è davvero molto difficile anche solo immaginare. Al tempo stesso, si dovrebbero neutralizzare le frange più estremiste che sia a Kiev sia in Crimea puntano a drammatizzare una situazione già estremamente tesa.
Altri scenari. Le lezioni del passato: Cecoslovacchia, Jugoslavia, Georgia. Se questa prima soluzione diplomatica non dovesse realizzarsi, la crisi potrebbe dar luogo a esiti che si sono già visti, in passato, in altre crisi in qualche modo simili dello spazio in senso lato «post-sovietico». Essa potrebbe ad esempio portare a una soluzione di tipo «cecoslovacco», vale a dire a una separazione consensuale e pacifica tra le due parti – occidentale e orientale – del paese, com’è avvenuto con successo nel gennaio 1993 in Cecoslovacchia e come potrebbe forse avvenire dopo l’ormai imminente referendum sulla secessione della Crimea, che è stato fissato dal parlamento regionale di Simferopoli al prossimo 16 marzo. La crisi, però, potrebbe anche precipitare, magari proprio dopo quel referendum, nel baratro di una guerra civile su vasta scala. Si materializzerebbe, in tal modo, uno scenario di tipo «jugoslavo», in qualche modo paragonabile al dramma che ha sconvolto la ex Jugoslavia per 10 anni a partire dal 1991. Si tratterebbe di uno scenario rovinoso, complicato dalla vicinanza del gigante russo, che proietterebbe immediatamente la crisi sul piano internazionale, con conseguenze imprevedibili. Senza giungere alla spaccatura del paese – che non sembra essere nelle intenzioni di nessuno dei grandi attori internazionali coinvolti – la crisi potrebbe preludere, ancora, a uno scenario di tipo «georgiano». È cioè possibile – e le analogie sino ad ora non sono poche – che accada in Ucraina quanto è già accaduto in Georgia nel 2008. Anche quel paese, infatti, nella sua storia post-sovietica si è trovato in bilico tra oriente e occidente, ha avuto nel 2004 la sua «rivoluzione colorata» (la «rivoluzione rosa») e ha dovuto confrontarsi, mentre si allontanava da Mosca, con la minaccia secessionista dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud che si erano proclamate indipendenti con il sostegno di Mosca. La crisi georgiana si risolse nel 2008 con l’intervento militare russo nelle due regioni secessioniste e con l’invasione del paese che giunse a minacciare la capitale Tbilisi. La fase più acuta della crisi, tuttavia, si risolse allora rapidamente con il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza delle due regioni, con la completa rottura delle relazioni diplomatiche con Tbilisi e con un lento ritiro delle truppe occupanti, senza che tuttavia si accendesse nel paese una guerra civile di grandi proporzioni.
Quale futuro per l’Ucraina? Tutti questi scenari sono, sia pure in varia misura, possibili. Le grandi crisi internazionali – e la crisi ucraina è diventata ormai tale – possono tuttavia avere sviluppi imprevedibili. Data la grande debolezza del paese, prossimo alla bancarotta e guidato da una classe politica debole e soggetta a ricatti di ogni tipo, molto dipenderà dalle politiche (e dall’intransigenza o dalla moderazione) che nei prossimi mesi riusciranno a mettere in campo i grandi attori internazionali, in primo luogo la Russia, gli Stati Uniti, l’Unione europea e l’Onu.