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Storia e Geografia

Polis, civitas, urbs

Nella polis geometria, architettura e spazi riflettono scelte politiche, amministrative e strategiche. La città non è solo una "urbs", è qualcosa di più: un vero e proprio cosmo, dotato di anima
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Nella Politica, Aristotele dedica una lunga sezione a Ippodamo di Mileto, architetto, urbanista, ideatore della pianta ortogonale di molte città greche. L’impianto ippodameo è riconoscibile nell’ordinata struttura a scacchiera, in cui il modello ortogonale si adatta alla topografia del territorio. Pur sottolinenando la vanità e l’eccentricità del personaggio, Aristotele gli riconosce la dignità di un pensatore politico, prima ancora che l’abilità di un architetto. Alla pianificazione della città corrisponde infatti, per gli antichi, la razionalizzazione delle relazioni tra i cittadini, e la geometria degli spazi traduce la ricerca di un equilibrio politicamente ordinato e regolato.  

Città è un termine inclusivo

Nel modo greco l’indagine sullo spazio della città non può prescindere da una riflessione politica sulla comunità e sui rapporti tra i suoi cittadini. Pur nella diversità, la città antica è soprattutto il progetto di una identità ricercata tra pólis e polítes, città e cittadino. Città, dunque, va intesa non tanto come luogo fisico, delimitato da mura e riconoscibile nella specificità dei suoi spazi, quanto, prima di tutto, come comunità vivente. Questa, forse, è una delle suggestioni più interessanti che ci offre la radice etimologica della parola “città”. Essa deriva dal latino civitas, propriamente l’insieme dei suoi cives, e implica il riconoscimento dello statuto giuridico dell’essere cittadino. Altro è il significato di urbs, lo spazio in cui si insediano gli edifici, o di oppidum, la zona delineata da mura e fortificazioni, che implica l’idea di un dentro e di un fuori, la demarcazione di uno spazio che è esclusione del fuori e protezione del dentro. La città-civitas pone invece l’accento sull’aspetto inclusivo, così come mi piace immaginare per il termine greco pólis, che sembra contenere, forzando leggermente l’etimologia, la stessa radice di polýs (“molto”), a indicare l’insieme dei cittadini come “molteplicità” (polloí) unificata, comunità che abita lo spazio condiviso. Da pólis deriverà poi il termine politeía, la costituzione su cui si regge la città-stato. Affinché ci sia una città, gli elementi essenziali sono infatti l’esistenza di una comunità, un insieme di leggi che ne regoli la convivenza e uno spazio da pianificare in modo rigoroso. Inoltre, per il greco del V secolo a.C. la città coincide con lo stato, in quanto ogni pólis si governa in modo libero e autonomo, in parte come avverrà, a distanza di secoli, nelle signorie del Rinascimento. Si avvicendano regimi democratici, aristocratici, tirannici, ma la polis resiste a lungo come spazio pubblico da tutelare nel riconoscimento di distinte sfere di influenza e aggregazione: il sacro recinto del temenos e i templi della città alta (akròpolis), la vivacità commerciale dell’agorà, i portici eleganti, le abitazioni della città bassa (àsty), gli edifici destinati all’amministrazione della giustizia.  

La città è un organismo vivente

Per gli antichi, dunque, non esiste architettura della città senza un pensiero politico a cui corrisponda la traduzione in spazi. E l’originaria nozione di metropoli sembra contenere non solo l’idea di madre-patria (da méter, “madre”), città originaria a cui fanno capo le colonie successivamente fondate, ma anche quella di città-misura (da métron, “metro”, “limite”). Per i greci métron è moderazione, misura di un ideale etico e politico che, ispirato all’antica saggezza dell’oracolo di Delfi, trova una perfetta trascrizione anche nell’armonia rigorosa degli spazi pubblici e privati. Oggi sarebbe quasi inattuale parlare ancora di metropoli: meglio forse, per la città contemporanea, l’immagine inafferrabile di “postmetropoli” (Gregotti), o quella di “totalità sparpagliata” (Nancy), in cui lo slancio civile e politico della civitas è stato sostituito da una “artificiosa inclusione”, da un “cuore agitato” sopraffatto dall’idea di crescita; o ancora, in una prospettiva più ottimistica, l’immagine di “creative city”, diversificata, complessa, in cui l’eterogeneità del capitale umano viene vissuta come risorsa, e non limite. La pólis greca non esiste senza un’anima: è un organismo vivente e un kosmos, un universo equilibrato in cui ogni attività trova corrispondenza nella delimitazione e nel riconoscimento di un luogo, che a quell’agire o a quel pensare è destinato. Nell’antica città è possibile addirittura individuare il luogo di accesso all’oltretomba, il punto esatto in cui avviene la katabasis. Nella moderna Parigi di Benjamin, questa discesa agli inferi non avrà più nulla di ritualmente familiare, ma corrisponderà allo smarrimento nei cunicoli della città labirintica, perfetta metafora della nostra coscienza tentacolare. Eppure, quand’anche l’uomo si sentisse un deraciné, come il Baudelaire dei Passages parigini, la sua casa sarà pur sempre la strada, “dimora della collettività”, per quanto còlta nel suo volto magmatico e inafferrabile. E per lo sradicato, ma anche per il flaneûr che ama perdersi nelle strade della città, la metropoli diviene insieme paesaggio e stanza, luogo aperto sull’ignoto e microcosmo protettivo. Lontana dalla geometria rassicurante della pólis greca, la nostra esperienza della città sembra muoversi in questa oscillazione tra opposti, in una soglia che ne costituisce il limite e il passaggio. Forse così doveva apparire anche Despina, città del desiderio, a chi la raggiungesse per mare o su un cammello, come ci racconta Calvino: “ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti”.
Bibliografia minima Andersson D.E., Andersson A., Mellander C. (a cura di), Handbook of Creative Cities, Elgar, Cheltenham 2011. Aristotele, Politica, trad. it. di R. Laurenti, Laterza , Roma-Bari 2006. Benjamin W., Parigi capitale del XIX secolo, ed. it. a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino 1986. Calvino I., Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972. Gregotti V., Architettura e postmetropoli, Einaudi, Torino 2011. Nancy J.L., La città lontana, tr. it. di P. Di Vittorio, Ombre Corte, Verona 2002.
Crediti immagini Apertura: Veduta di Paestum (in provincia di Salerno), lato nord. Di Tyler Bell, su flickr. Link Box: Leo Von Klenze, Acropoli e Aeropago di Atene, 1846, Monaco di Baviera, Neue Pinakothek. Link

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