«L'amore ha bisogno anche delle condizioni materiali sennò diventa un lusso di pochi» cita Stefano Rodotà, da una canzone veneta, nel suo lungo intervento al Festival della Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo che nel 2013 era dedicato all'amare. Nel video che proponiamo, girato da una persona del pubblico che ha ripreso buona parte del suo discorso, Rodotà riesce a coniugare, con la sua ben nota verve, note storiche e riferimenti molto diretti ed espliciti alla condizione attuale. Conferma, Stefano Rodotà, di essere un relatore di altissimo livello. Non divaga mai, non si perde nelle citazioni storiche erudite, rimane centrato sul tema dall'inizio alla fine. E racconta com'è evoluta la costruzione di un sistema giuridico che tutela il rapporto d'amore seguendo, talvolta anticipando, le condizioni storiche del momento. Ma il suo rimane un discorso appassionato dove l'amare, che come egli stesso esplicita è stato volutamente scelto come tema del Festival nella forma verbale per evitare le sdolcinate declinazioni e rime facilmente associate alla parola amore, è protagonista e insieme indicatore della capacità di una società di dare piena cittadinanza ai diritti, anche a quelli più intimi. E così si passa in un attimo dall'impossibilità degli schiavi neri di veder riconosciuto il proprio diritto a rimanere insieme, come marito e moglie, alla difficoltà dei tanti precari e poveri dell'era attuale che, in assenza di adeguate condizioni materiali, non sono messi in grado di poter costituire una famiglia.
Se fosse stato fatto da un altro giurista, questo discorso sarebbe probabilmente stato ricco di distinguo, di riferimento a norme, di terminologie specifiche, di divagazioni. Forse anche per evitare di affrontare il nodo della questione, che non è riducibile solo a un problema normativo. E invece Stefano Rodotà ci porta con sé lungo il filo di un ragionamento che, senza rinunciare mai a importanti riferimenti culturali, li rende vivi, vissuti, immediatamente riferiti alla conoscenza storica e sociale del suo pubblico, passando dal diritto alla riflessione politica e socio-culturale. E così il discorso sull'amare non può prescindere, ci ricorda Rodotà, dai diritti fondamentali delle persone, dalla libertà, dalla soggettività. E deve portare con sé i cambiamenti fondamentali della nostra società. L'ha fatto in passato quando eliminando l'equazione peccato-reato e il reato di adulterio e riconoscendo il percorso di liberazione ed emancipazione delle donne. L'ha fatto con la riforma del diritto di famiglia, nel 1975, che, sottolinea Rodotà, era forse una delle più avanzate a livello europeo. Oggi, invece, il nostro paese è rimasto fermo. Non riconosce né applica i diritti fondamentali contenuti nella Carta dei diritti dell'uomo e sostenuti e rinforzati dalla nostra Corte di Cassazione. Diritti che parlano della necessità di riconoscere la libera scelta della forma da dare alla propria unione. Svolgendo il suo discorso giuridico sull'amare, Stefano Rodotà ci porta a riflettere sulle unioni di fatto, sui matrimoni omosessuali, sulle scelte che il nostro paese oggi nega, sistematicamente, a molti suoi cittadini. Un discorso appassionato, che non perde mai il gusto della narrazione e al tempo stesso che fornisce numerosi elementi di riflessione. Conta tutto, certo nell'efficacia oratoria di Rodotà: il fatto che parli in modo chiarissimo, che evidentemente conosca a fondo il tema che propone, che guardi negli occhi il suo pubblico e a questo pubblico si rivolga direttamente, che sia appassionato in prima persona e che riesca a trasmettere questa sua passione, come se dietro di lui ci fosse una moltitudine di persone che lo incita. È empatico, non si rifugia in atteggiamenti intellettuali e in dissertazioni teoriche, ma non cade mai nella tentazione ideologica e nell'argomentazione faziosa di chi ha poca dimestichezza con la teoria. Utilizza con molta accuratezza i riferimenti pop, a film e canzoni, e al tempo stesso tiene alto, altissimo, il livello di tensione fino alla fine. Fa riferimento alle esperienze concrete rilevabili nella società italiana, da attento osservatore, senza cedere mai alla tentazione assai diffusa di giustificare e fare sconti all'incapacità, tutta italiana, di affrontare le contraddizioni culturali e sociali della contemporaneità. Definisce la condizione attuale «a bassa istituzionalizzazione dell'amore», una condizione che consente maggiore spazio di libertà in assenza di una capacità non solo del diritto ma perfino del dibattito nella sfera pubblica, di includere tutte le scelte possibili. Ma ricorda, nella fase conclusiva del suo discorso, che la libertà di scelta non può e non deve mai sconfinare nell'abuso, nella tentazione e volontà di controllo e possesso del corpo dell'altro e quindi nella violenza, nello stalking, nel femminicidio. Un discorso impeccabile, che lascia numerosi spunti di riflessione ma anche la sensazione vivace di voler reagire e di voler essere protagonisti di un cambiamento. Sostanzialmente, un discorso molto carismatico e capace di motivare chi ascolta anche se proposto all'interno di un Festival che, per sua natura, è più dedicato alla riflessione e alla discussione che non alla elaborazione di una proposta e di una azione politica. «Spero di non avere troppo abbassato il livello» così Massimo Gramellini, giornalista vice-direttore de La Stampa, in una intervista a margine del suo intervento nell'ambito dello stesso Festival dove ha parlato al suo pubblico di amore citando, leggendo e riferendosi in particolare al Simposio di Platone, in un intervento intitolato «La biblioteca di Eros». Un discorso molto diverso da quello di Rodotà (nel video qui sotto ne vediamo solo alcuni estratti) e sicuramente molto più sintonizzato sul registro dell'espressione diretta di sentimenti, del bisogno di costruire fiducia nel futuro.
Come lo stesso Gramellini dichiara nell'intervista è evidente che il suo riferimento è quello di Cuori allo specchio, una rubrica del genere Posta del cuore, che ha curato sul quotidiano torinese per anni. Ma l'accostamento tra il discorso semplice, diretto, sui sentimenti e le paure è il testo di un libro di oltre 2400 anni è, se non altro, curioso e divertente. Peraltro, Gramellini dimostra di avere un buon grado di autoironia e di saper cogliere la sfida di portare un discorso che punta più sull'empatia e sulla comunanza del sentire che non a riferimenti forzatamente colti e intellettuali e a una assai diffusa propensione didascalica. E ammettendo, come pochi farebbero in quel contesto, che il Simposio l'ha «scoperto di recente» e che per questo desidera condividerlo con il maggior numero di persone possibili, compie un passo fondamentale per chi si prepara a un incontro pubblico, quello di essere accogliente e non supponente, quello di mettersi esattamente al livello e alla portata di chi ha di fronte. Due discorsi molto lontani quello di Rodotà e quello di Gramellini, nella struttura, nel linguaggio e nella forma espositiva, ma accomunati da un dato unico e non sempre riscontrabile in chi parla in pubblico, soprattutto nell'ambito di occasioni culturali come il Festival della Filosofia: il rispetto profondo e la voglia di entrare in contatto con il pubblico che si è riunito per ascoltare e interloquire.
L’immagine del banner in apertura è l'immagine ufficiale del Festival Filosofia 2013