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Precisi e concisi: il tempo conta

Rimanere nei tempi previsti è una regola d'oro del parlare in pubblico. Scaletta, mappa o format rigido: tanti strumenti per un unico risultato, una presentazione ritmata e precisa
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Una delle sfide più difficili, quando si parla in pubblico, è stare nei tempi previsti. Una presentazione o un discorso troppo lungo fa slittare la durata di una conferenza, toglie tempo al dibattito con il pubblico, riduce lo spazio riservato ad altri, rischia di annoiare chi sta ascoltando o infastidire chi deve parlare dopo. Il mancato rispetto dei tempi assegnati è in primo luogo una manifestazione di scarsa considerazione sia nei confronti degli altri relatori sia del pubblico cui ci si rivolge. Spesso peraltro la lunghezza non è proporzionale all’interesse e molti relatori tendono a essere ridondanti e a fare lunghe prolusioni.

Stare seduti ad ascoltare diversi relatori che ripetono tutti la stessa cosa, uno dopo l’altro, è un’esperienza molto sfibrante per chi sta tra il pubblico. Altrettanto sfibrante è cercare di seguire un relatore mentre espone in modo frammentato, accelera improvvisamente, salta di slide in slide perché è in ritardo e arriva alla conclusione con il fiatone.

Tale è l’importanza data al tempo e al ritmo dell’esposizione che negli ultimi anni sono stati proposti format molto precisi adottati dagli organizzatori di eventi, festival, incontri pubblici e perfino conferenze formali e accademiche. L’elemento che li accomuna è proprio la richiesta di rispettare in modo inderogabile il tempo assegnato, indipendentemente dal contenuto e dal nome di chi parla. Sembra eccessivo? Eppure funziona. Tanto che c’è chi ne ha fatto un vero e proprio marchio di fabbrica.

Technology, Entertainment and Design - TED conference: Ideas worth spreading. La conferenza TED e tutti i suoi derivati (i TEDx, incontri che si tengono in varie città del mondo; le TEDed, specificamente dedicate al mondo della formazione e i TED talk, video assemblati e raccolti sul sito e condivisi da milioni di persone) sono un ottimo esempio di successo nell’organizzazione di presentazioni pubbliche da parte di un ente no profit ormai riconosciuto come comunità globale. Fin dall’inizio delle sue attività, nel 1984, la fondazione, oggi guidata dal visionario Chris Anderson, ha imposto una regola unica a tutti i relatori: ogni presentazione dura al massimo 18 minuti, mai uno di più. Al TED hanno parlato diversi premi Nobel, Pulitzer, scrittori e scienziati, imprenditori, geniali artisti e via dicendo. TED sceglie con cura i relatori e uno specifico team li accompagna nella preparazione del proprio talk anche per mesi. E nemmeno il presidente degli Stati Uniti può sottrarsi alle regole e sforare i tempi.

Nel video vediamo il fotografo brasiliano Sebastiao Salgado che, durante la TED conference del febbraio 2013, racconta, alternando parole e immagini, come combatte la sua battaglia in difesa del pianeta e delle popolazioni che lo abitano.

Pecha Kucha - The art of concise presentations. Stanchi delle eccessive digressioni dei loro colleghi, che possono parlare per ore di un dettaglio urbanistico, nel 2003 i due architetti europei Astrid Klein and Mark Dytham hanno lanciato la prima Pecha Kucha night nella sede del loro studio e locale giapponese, a Tokyo, il Super Deluxe. Il formato è rigidissimo: 20 slides proiettate esattamente per 20 secondi ciascuna, 6 minuti e 40 secondi in tutto. La presentazione viene impostata per andare in automatico. Il discorso è dunque cronometrato alla perfezione, slide dopo slide, per non risultare asincrono rispetto alle immagini e ai testi proiettati. Le Pecha Kucha night hanno avuto immediato successo e si tengono, ogni anno, in più di 700 città in tutto il mondo. Ma il formato è stato adottato anche in altre conferenze perché è molto efficace quando sono previsti molti relatori in una sessione.

Josh Alves, scrittore di libri per bambini, che racconta il processo creativo dietro la produzione del suo libro illustrato “Lilly Bristol, Dinosaur Wrangler.”

Elevator’s pitch - convincere qualcuno a sostenere la tua idea in 2 minuti. È nato nel mondo delle aziende, degli incubatori di impresa, in luoghi come la Silicon Valley o New York. L’espressione, tipicamente americana, si riferisce all’ipotesi fortuita che ci si trovi a condividere l’ascensore con il mecenate ideale e che quindi si debbano utilizzare al meglio i due-tre minuti a disposizione, prima di arrivare ai piani alti, per convincerlo a sostenere la propria idea o progetto. In questo breve lasso di tempo si possono comunicare sostanzialmente solo i concetti di base: il problema cui si cerca di dare una risposta, le messe in campo, le risorse necessarie, l’obiettivo nel breve e medio periodo. La formula funziona per capire se un progetto è stato strutturato in modo chiaro, se la logica complessiva tiene e se il proponente ha davvero ragionato su tutti gli elementi essenziali.

Negli ultimi tempi l’elevator’s pitch è stato spesso applicato anche nei concorsi che vedono classi o gruppi di studenti competere per un premio, un finanziamento a un progetto educativo, una applicazione o un percorso didattico. Oppure nelle giornate aperte di scuole, università e enti di ricerca.

Come si prepara un discorso che sta nei tempi assegnati senza rinunciare a comunicare i contenuti desiderati? Ecco alcuni passaggi essenziali:

- preparare una scaletta dei temi

- assegnare un tempo massimo a ciascun punto

- costruire la propria storia, curando la struttura come abbiamo descritto nel post precedente

- scegliere un percorso lineare, non aprire parentesi, non divagare

- eventualmente tracciare una vera e propria mappa grafica e concettuale del proprio intervento da utilizzare per orientarsi, tagliare, riorganizzare

- sottrarre tutti gli elementi che aggiungono confusione e non facilitano la narrazione

- andare dritti al punto: il discorso orale funziona meglio quando procede in modo lineare senza divagazioni

- tenere concisa l’introduzione e dare più spazio alla parte centrale della storia

- parlare a un ritmo sostenuto senza affannarsi: il discorso accelerato genera ansia e rende difficile la comprensione per chi ascolta

Immagine in apertura: "Vortrag" di Oliver Tacke (via Flickr)

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