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Uomini, la parità di genere è anche un vostro problema

Un linguaggio nuovo e immediato per parlare di diritti e prospettive di genere: l'esempio di Emma Watson e Lorella Zanardo
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«Le mie recenti ricerche mi hanno fatto scoprire che femminismo è diventata una parola impopolare» così Emma Watson, alias Hermione Granger, protagonista femminile della saga cinematografica di Harry Potter. L’attrice, la cui carriera cinematografica è in grande ascesa, è stata nominata lo scorso luglio Goodwill Ambassador, ambasciatrice di buona volontà, per la sezione delle Nazioni Unite che si occupa della parità di genere nel mondo. Il 20 settembre scorso Watson ha tenuto un discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite per promuovere la campagna HeForShe che punta sull’inclusione e sul lavoro condiviso di donne e uomini, in particolare giovani uomini e donne, per l’affermazione dei diritti di uguaglianza tra i generi. Il video completo dell’intervento di Watson è in inglese ma esiste una traduzione del testo in italiano pubblicata dal magazine online Linkiesta.

«Vogliamo provare a convincere il maggior numero possibile di ragazzi e uomini a diventare sostenitori della parità di genere. E non vogliamo semplicemente parlarne, vogliamo essere sicuri di fare qualcosa di tangibile». Questo l’intento dichiarato da Watson nei suoi 11 minuti di discorso, che è stato ampiamente condiviso, discusso e commentato in rete, visto da oltre 3 milioni di persone su Youtube, ripreso da molti media. Purtroppo, a dimostrazione del fatto che i temi proposti sono ben lontani dall’essere patrimonio comune, il video ha anche generato reazioni violente e aggressive su molti siti e social media.

Al di là del contenuto e delle reazioni, cosa funziona nel discorso di Emma Watson?

Giovanna Cosenza, semiologa dell’Università di Bologna, sostiene nel suo blog Dis.amb.iguando che Watson è «Molto più efficace e potente, nella sua semplicità, di mille distinzioni e discussioni fra femminismi, veterofemminismi, postfemminismi».

La scelta di partire da sé, dalla propria esperienza è ancora una volta vincente. Watson non si fa schiacciare dalla necessità di stare dentro i formalismi e le definizioni accademiche. Sceglie di parlare liberamente della sua visione di femminismo e della necessità di liberare i generi dalle gabbie di stereotipi, aspettative, ruoli in cui sono imprigionati. E riesce a capovolgere la prospettiva, a comunicare il percorso di riflessione che porta lei, una ventiquattrenne di oggi, dalla scoperta che la parola «femminismo» è diventata impopolare a proporre un’azione, un movimento che è più in linea con la propria esperienza culturale, storica, personale e sociale. E risulta così immediatamente accessibile ed empatica, fresca, non retorica (anche se di retorica fa ampio uso e non sempre in modo originale) e non respingente. Giulia Siviero, in un articolo su Il Post commenta positivamente il discorso di Emma Watson ma al tempo stesso approfitta delle parole dell’attrice britannica per fare alcune precisazioni sulla natura e definizione della parola femminismo, prendendo a prestito la definizione offerta dall’Enciclopedia Treccani. Siviero poi specifica che l’interpretazione adottata da Watson è una tra le molteplici che animano i diversi movimenti e le correnti in cui si è sviluppato il pensiero femminista nelle scorse decadi. Quello di Siviero è un articolo utile a completare il discorso di Watson ma al tempo stesso ne snatura l’immediatezza e freschezza riconducendolo a un contesto molto più articolato e complesso.

Una scelta analoga, quella di usare un linguaggio nuovo, semplice, immediato e che fa riferimento a una esperienza concreta, era già stata fatta da Lorella Zanardo quando ha raccontato la scomparsa delle donne reali dalla televisione italiana. Lo ha fatto con il documentario Il corpo delle donne e poi con un libro che ha lo stesso titolo edito da Feltrinelli. Nella video presentazione del libro, un monologo di 8 minuti, Zanardo sceglie un tono pacato, semplice, un registro immediato per dare conto delle scelte fatte nella realizzazione del suo lavoro.

Anche qui Zanardo sceglie l’esperienza personale come punto di partenza: dopo anni all’estero lei torna in Italia, accende la TV e scopre che il corpo delle donne, quelle reali che si vedono tutti i giorni a scuola, in giro, negli ambienti di lavoro e in famiglia, è scomparso. Al suo posto c’è una rappresentazione completamente diversa e del tutto artificiale del corpo femminile. Anche in questo caso Zanardo sceglie di non rifarsi a un linguaggio tecnico-specifico. Sceglie invece di privilegiare la fruibilità dei contenuti del suo lavoro per un pubblico nuovo, quello delle scuole, degli studenti e delle studentesse di oggi, che non hanno familiarità con le riflessioni, le evoluzioni, le molteplici interpretazioni del pensiero femminista ma che sentono comunque il desiderio e la volontà di ragionare sull’uguaglianza dei generi.

Scopriamo, da questo breve discorso di Zanardo come dalla presentazione di Watson, che c’è bisogno di lavorare molto sui linguaggi, sulla narrazione e sul discorso pubblico per rendere condivisa una prospettiva e una comunicazione di genere. È innegabile, infatti, che sia necessaria e utile una continua ricerca teorica, lo sviluppo di un linguaggio specialistico e l’analisi dei motivi e dei contesti che stanno dietro alle disuguaglianze di genere, un ambito che ha conosciuto una fortissima crescita negli ultimi 40 anni. Ma è altrettanto vero che è urgente e necessario trovare, sperimentare, mettere in campo un linguaggio corrente e una comunicazione efficace a sostegno di politiche concrete e pratiche di inclusione, di parità, di uguaglianza di opportunità e diritti tra tutti i generi.

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