Parlare di videogiochi non è un affare prettamente ludico.
Giocare è una delle occupazioni cui grandi e piccoli dedicano enormi quantità di tempo ed energia, da sempre. Oggi i videogames rappresentano uno dei settori di mercato più ricchi. Al gioco online vengono dedicate miliardi di ore in tutto il mondo ogni anno. Entusiasmo, sorpresa, divertimento ma anche gusto della sfida, capacità di attivare meccanismi di risoluzione dei problemi, collaborazione, immaginazione e molto altro.
Lungi dall'essere una perdita di tempo, come purtroppo ancora vengono spesso dipinti da chi evidentemente non ha mai apprezzato il valore intrinseco del giocare, i videogames rappresentano al contrario oggi un potente mezzo di lavoro collettivo, condivisione, costruzione di relazioni, progressiva crescita e sviluppo delle capacità cognitive. Un'opportunità enorme, secondo gli osservatori più attenti sia in campo educational che in quello delle teorie cognitive e dell'economia dell'innovazione, per lavorare sui meccanismi costruttivi, sulla voglia di mettersi alla prova, sul metodo del trial and error, e cioè del procedere per errori.
Sul valore intrinseco del videogame come strumento che potenzia una attitudine costruttiva e, in ultima analisi, la volontà di risolvere dilemmi grandi e piccoli c'è una letteratura ormai ben consolidata. Un bel contributo in video viene da Jane McGonigal che nel febbraio 2010 ha presentato il TEDtalk «Gaming can make a better world». Jane McGonigal è Ph.D alla University of California, Berkeley, game designer di fama mondiale e Direttrice del Games Research and Develoment all'Institute for the Future. McGonigal è una brava comunicatrice. Entusiasta senza essere eccessivamente esuberante. Capace di gestire una audience molto esigente, come quella del TEDtalk anche di fronte a un evidente scetticismo di fronte all'argomento che propone.
Affiancare il gioco online con le capacità necessarie a risolvere i grandi problemi del pianeta sembra una delle trovate retoriche tipiche di tanti discorsi pubblici all'americana. Ma McGonigal non demorde «Se vogliamo risolvere problemi quali la fame, la povertà, i cambiamenti climatici, i conflitti globali, l'obesità, io credo che dobbiamo avere l'ambizione di giocare online per almeno 21 miliardi di ore alla settimana (erano 3 miliardi nel 2010, ndr).» Il pubblico scoppia a ridere, ma lei aggiunge con nonchalance «No, sono seria. Davvero» Difficile immaginare un simile espediente in un discorso nostrano.
Eppure, nel giro di una manciata di minuti McGonigal riesce a mettere in fila una serie di considerazioni che capovolgono la situazione in sala: le risate ci sono ancora, è vero. Ma il clima è cambiato. Si percepisce che il pubblico adesso segue con maggiore trasporto. Perché nell'arco di due minuti, lei è passata dalle premesse ai dati. Invece di una lista di termini o di una tabella usa una foto che rappresenta l'espressione tipica del giocatore che sta per vincere. «Se non siete giocatori abituali è possibile che vi perdiate alcune delle sfumature di questa foto.»
Ma la foto rappresenta un momento speciale del gioco, la vigilia di una «vittoria epica»: una espressione che si vorrebbe vedere sul viso di milioni di risolutori di problemi nel mondo quando stanno affrontando ostacoli seri che, contro tutte le aspettative, sono a un passo dal superare. Il punto è, sostiene McGonigal, che molti di noi sentono che nel gioco c'è molta più motivazione, resistenza e resilienza, voglia di fare qualcosa di importante in forma cooperativa. Nella realtà non siamo così bravi quanto nei giochi. E a questo punto il discorso si fa davvero serio. Lei mantiene lo stesso registro, vivace, autoironico, talvolta spiritoso. Ma gli argomenti che porta sono invece molto solidi e pongono delle questioni fondamentali.
Perché le nostre energie migliori riescono a essere convogliate nel gioco e difficilmente emergono quando dobbiamo affrontare altri compiti quotidiani? Cosa rende possibile una vittoria epica? Intanto la sfida è spesso al limite delle capacità ma non è mai impossibile e ci sono moltissimi collaboratori con cui affrontarla. La difficoltà aumenta con il progredire del gioco e si riceve sempre un feedback che incoraggia e ti sprona a non desistere. E a questo punto McGonigal fa un esempio banale ma molto efficace: nel momento in cui questo talk sarà completato, sostiene, non riceverò nessun punteggio per avercela fatta. «Non ricevo quel tipo di feedback nella vita reale.» Ecco un punto di grande intelligenza comunicativa.
Esplicitare di fronte al proprio pubblico il fatto che si è consapevoli di essere nel mezzo di una partita. Non avere la presunzione che l'essere un relatore ti metta in una situazione di forza, nemmeno nel corso di un TEDtalk. Chi parla in pubblico deve sapere che la partita è aperta dall'inizio alla fine, perché nella vita reale è molto più difficile incontrare la stessa disponibilità a cooperare e giocare insieme. L'intero discorso di McGonigal è costruito secondo tutte le regole già più volte discusse in questo blog. Ha aperto con un sogno, un volo verso l'alto. Poi cerca di portarsi il pubblico dalla sua parte, con qualche esempio diretto. E poi passa ai dati della ricerca e della letteratura scientifica. Solo a questo punto, in questo quadro molto chiaro e praticamente a metà del talk, mette sul piatto le sue considerazioni.
Qui McGonigal elenca quelli che secondo lei sono gli elementi di forza dei giocatori: un ottimismo urgente, una forma estrema di auto-motivazione, il desiderio di agire immediatamente per affrontare un ostacolo. Ma anche il fatto che «sono dei virtuosi nel tessere una robusta trama sociale... E la ragione è che ci vuole molta fiducia per giocare con qualcuno: abbiamo fiducia che passeranno il loro tempo con noi, che giocheranno con le stesse regole e con gli stessi obbiettivi, e che rimarranno fino alla conclusione del gioco.» E qui il discorso punta al sogno, all'ambizione iniziale: come possiamo usare queste energie per applicarle a situazioni reali? Prima di rispondere, ancora un po' di suspense e una storia, una digressione narrativa.
E infine, la chiusura sulla domanda iniziale: Immagino cosa state per chiedere, "Come facciamo a risolvere i problemi del mondo reale in un gioco?" Beh, questo è ciò a cui ho dedicato il mio lavoro durante gli scorsi anni, presso l'Istituto per il Futuro.» E solo a questo punto presenta al pubblico il suo lavoro: tre giochi di strategia, che affrontano temi diversi e diversi livelli di complessità. Accomunati da un fattore comune: liberano energie creative, coinvolgono migliaia di persone che collaborano per immaginare, disegnare, sviluppare soluzioni creative ma fattibili ad alcuni grandi problemi. Soluzioni che sono diventate anche punti di partenza concreti per processi innovativi in collaborazione con grandi istituzioni, come Università o la Banca Mondiale. Eccoci alla fine. McGonigal invita tutti a giocare di più, a considerare i giocatori delle risorse di grande potenzialità. Sono certa di due cose, aggiunge, «che possiamo realizzare qualunque futuro riusciamo a immaginare, e che possiamo giocare a qualsiasi gioco vogliamo. Quindi, io dico: diamo inizio ai giochi che cambieranno il mondo». E qui il pubblico in sala la segue e applaude convinto.
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