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Charlotte Salomon, la salvezza nell'arte

Segnata da drammi familiari e da una grave depressione, mentre l’Europa si avvia agli orrori della Seconda guerra mondiale, l’artista tedesca (ed ebrea) di origini francesi Charlotte Salomon riesce a trovare la salvezza in un’opera che sembra anticipare le moderne graphic novel, dal titolo Vita? O teatro? Quando la persecuzione nazista si fa feroce, Salomon trova rifugio in una città francese ma non riesce a sfuggire a un destino tragico.

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Una vita nella Storia

La breve vita della giovane artista tedesca Charlotte Salomon s’intreccia all’evolversi della nefasta politica del Terzo Reich, tanto che la sua unica opera, Vita? o Teatro? rappresenta un tentativo estremo di resistenza sia alle barbarie degli eventi della Shoah, sia al disagio di un animo sensibile in preda a una profonda crisi esistenziale. Arte e vita sono indissolubilmente legati tanto che entrambi vanno ricordati parallelamente per comprenderne il valore assoluto di testimonianza.

I Salomon erano una agiata famiglia ebraica berlinese, perfettamente integrata nella comunità, che abitava nel raffinato quartiere di Charlottenburg. Il padre, Albert Salomon, era un medico chirurgo in carriera e la madre, Franziska Grunwald, lavorava come infermiera anche se apparteneva all’aristocrazia cittadina. Si erano conosciuti durante la Prima guerra mondiale, si erano sposati nel 1916, e la loro unica figlia Charlotte nasce a Berlino il 16 aprile 1917. Mentre Albert è impegnato a costruirsi una solida carriera universitaria, la madre è una figura fragile, soggetta a frequenti crisi depressive. Quando Charlotte ha otto anni, Franziska si suicida gettandosi dalla finestra, emulando, a distanza di un decennio, il gesto di sua sorella, della quale la piccola Charlotte portava il nome. Inconsapevole di queste tragedie, la bambina viene protetta dallo scandalo con la pietosa bugia che la madre fosse morta per una grave forma influenzale.

Mentre frequenta un rinomato liceo cittadino, Charlotte Salomon vive un lungo periodo di precarietà emotiva, senza una figura materna stabile, con un carosello di governanti e il padre spesso assente per lavoro. La situazione si stabilizza quando Paula Levi, una promettente cantante lirica, entra in casa in qualità di governate. Paula, che nel frattempo cambia cognome in Lindberg per evitare le prime discriminazioni antisemite, diventa un celebre contralto, nota per le sue interpretazioni delle Cantate di Bach. Nel 1930 Albert e Paula si sposano e la nuova situazione familiare, emotivamente più stabile e serena, permette a Charlotte di frequentare la vita mondana berlinese, vissuta tra concerti d’opera, eventi culturali e letterari.

Nonostante nel 1933 l’ascesa al potere di Hitler dia inizio alla politica discriminatoria a sfondo razziale contro gli ebrei, Charlotte riesce a continuare a frequentare le Scuole Statali per le Arti. È l’unica studentessa ebrea dell’anno, e questo privilegio le è “concesso” grazie allo status di figlia di un reduce della Prima guerra mondiale. La formazione artistica di Charlotte si nutre anche delle vacanze in Italia presso i nonni materni Grunwald, emigrati prontamente a Sud per sottrarsi alle insorgenti angherie del nazismo. L’arte classica ammirata in Italia in chiese e nei musei completa la sua formazione con la visita alle mostre berlinesi di pittura contemporanea. Il suo stile si basa sulla produzione di Edvard Munch, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Paul Gauguin e Vincent Van Gogh, facendole matura una sensibilità espressiva incisiva e introspettiva che ibrida componenti visive, letterarie e musicali.

La follia del regime purtroppo non si ferma. “La Notte dei Lunghi coltelli” del giugno-luglio 1935 dà un impulso decisivo alle epurazioni e le successive Leggi di Norimberga del settembre dello stesso anno fanno accelerare la segregazione razziale verso la “soluzione finale”. Nel 1937 entra in casa dei Salomon Alfred Wolfsohn, professore di canto ebreo espulso dalle istituzioni pubbliche, che diventa maestro di Paula. Nonostante le restrizioni imposte dal regime, musica, canto, letteratura e filosofia nutrono l’ispirazione di Charlotte, che le condivide con Alfred. Per lui realizza l’illustrazione del Lied di Franz Schubert, “La morte e la fanciulla”, su testo poetico di Matthias Claudius. Nonostante Charlotte sia una giovane ventenne introversa, intreccia con quest’uomo quarantenne una relazione clandestina: è l’amore della sua vita. Amore reale o solo vagheggiato, questo poco importa, perché Alfred diventa il protagonista della sua dimensione sentimentale. La matrigna, decenni dopo, negherà ogni coinvolgimento sentimentale tra i due.

La politica del Reich non conosce sosta: inizia la campagna contro l’arte contemporanea non accademica, bollata come Arte Degenerata, espressione che diventerà tristemente famosa grazie all’esposizione di Monaco del luglio 1937 con il titolo di “Entartete kunst”. È in questo momento che il talento di Charlotte viene notato, quando vince il primo premio in un concorso indetto dall’Accademia di Belle Arti, tuttavia non viene premiata perché ebrea. Quest’ultima angheria convince la studentessa a ritirarsi da scuola.

Dopo la “Notte dei cristalli" del 9 novembre 1938, Albert Salomon viene arrestato e mandato in un campo di prigionia. Lo status glorioso di reduce della Prima guerra mondiale e le conoscenze altolocate della moglie riescono a farlo scarcerare. Impaurito dalla certezza di esser scampato alla morte, il padre impone a Charlotte di fuggire da Berlino e a rifugiarsi presso i nonni materni Grunwald in Costa Azzurra. Qui, a Villefranche-sur-mer, grazie all’amicizia con l’americana Ottilie Moore, Charlotte si inserisce in una comunità di rifugiati, profughi e orfani di guerra, tutti ospitati nella villa dell’eccentrica statunitense, chiamata l'Ermitage.

Nel marzo 1939 Charlotte perde ogni contatto con i suoi genitori quando i coniugi Salomon riescono a fuggire da Berlino per rifugiarsi ad Amsterdam. Con l’invasione della Polonia del 1° settembre 1939 inizia la Seconda guerra mondiale, mentre in Germania s’intensificano le deportazioni e le persecuzioni contro gli ebrei.

Nonostante questi eventi, Charlotte in Costa Azzurra vive una stagione relativamente serena. “Era felice di vivere all’Ermitage. Errava tutto il giorno per il giardino, disegnando e dipingendo, oppure restava ore sdraiata sotto un arancio, gli occhi persi nell’azzurro del cielo. […] Ovunque si trovasse, tirava fuori di tasca il taccuino da disegno. Aveva bisogno di liberarsi e il suo linguaggio era quello della matita e del pennello.” ricorda il suo amico Emil Straus. Questa atmosfera idilliaca, satura di colori e di fiori, la ritroviamo anche nella narrazione di sé dipinta in una tavola della prima parte della sua opera.

L’avanzata del conflitto e la difficile convivenza con i nonni turbano però questa fragile serenità. La nonna Marianne, affetta da una depressione invalidante, nel marzo del 1940 si suicida, e così Charlotte scopre il tragico segreto familiare.

La catena di suicidi che ha interessato il ramo femminile della sua famiglia - la madre, la zia, la nonna – è vissuta dalla giovane come una tara genetica e una maledizione. In preda al disorientamento, Charlotte sprofonda in una depressione che le fa vivere una sorta di predestinazione verso il suicidio come l’unica soluzione possibile al suo male di vivere. Ad aggravare la sua dimensione personale si aggiunge l’invasione tedesca della Francia e la capitolazione di Parigi del 14 giugno 1940. L’armistizio che ne consegue stabilisce che gli ebrei vengano consegnati alla Gestapo.

A seguito in un rastrellamento, Charlotte e il nonno Ludwig sono internati nel campo di concentramento di Gurs. Vengono liberati dopo un mese a causa dell’età avanzata del nonno, ma gli orrori della prigionia acuiscono la depressione di Charlotte, tanto da far temere per la sua incolumità. È in questo momento che un medico che frequentava il circolo di Ottilie Moore, il dottor Moridis, le consiglia di dipingere per affrontare in modo proattivo le sue paure e il suo disagio. Charlotte finalmente trova la forza di sfuggire a quello che considera un destino già segnato. Si allontana dal nonno e si trasferisce in un albergo, per sperimentare un po’ di indipendenza che le permetta di esprimersi liberamente.

Vita? o Teatro? Un’opera d’arte totale

In una stanza d’albergo a St. Jean Cap Ferrat, nel biennio dal 1940 al 1942 Charlotte si consuma nella creazione dell'opera Vita? o Teatro? Un Singspiel, un dramma narrativo musicale suddiviso in tre parti (prologo, parte principale, finale).

Crea 769 disegni a guazzo, in cui la libertà del segno espressionista e del colore è massima: all’inizio il timbro è squillante, il cromatismo intenso, nel prosieguo dell’opera il tono si fa più cupo, il disegno sfilacciato, quasi evanescente, in accordo all’evolversi della narrazione. Impiega solo i tre colori primari (blu, rosso e giallo), non sappiamo se per scelta estetica o se di necessità per le ristrettezze patite. I disegni sono liberamente alternati a pagine convulse di commento, portando il totale dei fogli a circa 1300. È il suo capolavoro, il suo testamento spirituale che per forza espressiva universale e personale si può allineare al Diario di Anna Frank e al Diario di Etti Hillesum.

Nell’autoritratto, Charlotte si rappresenta come una “ragazza con i capelli biondo scuro, gli occhi celesti, le gote rosa, minuta, fresca e un po’ impacciata nei movimenti, timida come un giovane cerbiatto” come l’aveva descritta l’amico Emil Straus ai tempi del loro primo incontro.

Con una narrazione ritmata, a volte lenta a volte convulsa, con scene semplificate o simultanee come nelle visioni medievali o nelle cronofotografie ottocentesche, Charlotte rievoca e riscrive, in chiave biografica e autobiografica, la storia della sua famiglia e della sua fragilità emotiva per sfuggire alla maledizione che sente su di sé.

Il prologo racconta la prima parte della sua vita berlinese fino al 1937 e sullo sfondo, illustra anche la progressiva ascesa del Reich. Si rivede bambina, coccolata nel letto con la madre, che però già cova i propositi suicidi, come descritto dalle parole che accompagnano il disegno: «In Cielo è molto più bello che su questa Terra e quando la tua mammina sarà diventata un angioletto, verrà quaggiù dal suo tesoro e le porterà una lettera in cui le racconta come si sta in Cielo, come si sta lassù in Cielo».

L’artista interpreta, come a teatro, tutti i ruoli, tutti i personaggi della storia, creando un transfer psicologico che assume la dimensione della catarsi. La finzione teatrale si recupera a partire dai nomi di battesimo reali dei personaggi, abbinati a cognomi fittizi.

La parte centrale dell’opera racconta la sua formazione artistica e il suo amore per Alfred (Amadeus Daberlohn) reso clandestino dalla presenza della matrigna Paula (alias Paulinka Bimbam).

Le composizioni di massa, come quella che ritrae la “Notte dei Cristalli”, denunciano con impressionante vigore la furia cieca della violenza che porterà all’Olocausto, e riportano lapidarie le parole della folla inferocita “Morte agli ebrei. Prendete tutto quello che potete

L'epilogo dell’opera riassume gli ultimi anni, dal 1939 al 1942, trascorsi nel sud della Francia, nel pieno della giovinezza e della sua attività, contro l’incalzare della storia.

Vita? o teatro? è stata creata come viene mostrato nel disegno che segue.

Accovacciata in riva al mare, Charlotte si ritrae di spalle mentre dipinge e probabilmente canta - com’era solita fare - e sulla schiena porta il titolo dell’opera che la sta salvando dalla depressione e che le dona il coraggio di non arrendersi alla barbarie del nazismo.

Charlotte era un’artista colta e moderna, che sperimenta vari registri in uno stratificarsi di contaminazioni di generi. Definito dall’artista un dramma in musica, l’opera si può considerare anche una “graphic novel ante litteram”, e una sceneggiatura di un film, con colonna sonora. Le parole dei monologhi, come nei cartoon, si espandono nella scena in stile fumettistico.

Vita? o teatro? è conclusa alla fine del 1942, e nei primi mesi del 1943 Charlotte rientra a Villefranche-sur-Mer, ma non trova la sua amica Ottilie, che è fuggita in America per portare in salvo alcuni bambini. Per paura che la sua unica opera venga perduta, Charlotte la sigilla in una valigia e la consegna al dottor Moridis, affinché la custodisca e la protegga dalla furia iconoclasta antisemita. Queste le sue parole all’atto della consegna: «C'est toute ma vie» ("è tutta la mia vita”).

Liberata dall’incubo della maledizione familiare, Charlotte vive quello che sarà il suo ultimo anno di vita in relativa serenità, frequentando l’Ermitage. Gli orfani rimasti alla villa vengono accuditi da Alexander Nagler, un rifugiato austriaco a cui Ottilie ha affidato la custodia di quel baluardo di civiltà. I due giovani si frequentano e s’innamorano. La guerra è alle porte, ma la forza di questo nuovo sentimento spinge nel giugno del 1943 Charlotte e Alexander a sposarsi. Le leggi razziali, però, impediscono i matrimoni misti, così Alexander rinuncia ai suoi documenti falsi, che lo certificavano ariano, e si autodenuncia come ebreo, per poter far celebrare il matrimonio. È la loro condanna a morte.

Il 21 settembre 1943 Charlotte Salomon e Alexander Nagler vengono denunciati e arrestati dalla Gestapo. Qualche giorno dopo vengono condotti al campo di transito di Drancy, per poi giungere ad Auschwitz il 10 ottobre 1943.

Alexander Nagler viene subito mandato ai lavori forzati e morirà nei primi giorni del 1944.

Charlotte Salomon, incinta di quattro mesi, viene considerata un peso perché inabile al lavoro, così viene inviata alla camera a gas probabilmente il giorno stesso del suo arrivo.

La Fondazione Charlotte Salomon

Finita la guerra, Ottilie Moore rientra all’Ermitage e riceve dal dottor Mordis la valigia di Charlotte, e scopre che l’opera le è stata dedicata. Non senza difficoltà, riesce a rintracciare i genitori dell’artista. I Salomon erano riusciti a salvarsi lavorando come infermieri nel campo di concentramento belga di Westerbork e, cogliendo l’occasione, erano fuggiti vivendo in clandestinità fino alla fine della guerra. Nel 1947 Ottilie consegna loro l'opera e un autoritratto di Charlotte, materiale che rimane inedito e di proprietà della famiglia per almeno un decennio. Nel 1959 l’opera di Charlotte viene donata al Rijksmuseum di Amsterdam ed esposta per la prima volta nel 1961. Nel 1971 l’opera viene trasferita allo Joods Historisch Museum di Amsterdam, dove è tuttora conservata a cura della Fondazione Charlotte Salomon.

Periodicamente, una parte dei disegni viene esposta in mostre-dossier itineranti in Europa e nel mondo, creando eventi che hanno lo scopo di far conoscere la vita e l’opera di Charlotte Salomon e di dare viva voce alla memoria della Shoah.

Per saperne di più:

Charlotte Salomon, Vita? O teatro?, (ed. integrale) Roma Castelvecchi, 2019

Charlotte Salomon: Vita? O teatro?, a cura di B. Pedretti; con la collaborazione dello Joods Historisch Museum Amsterdam, Venezia Marsilio, 2017

Charlotte Salomon, in E. Rasy, Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte, Milano Mondadori, 2020

Charlotte Salomon: i colori dell'anima, testi di I. Ferramosca; disegni di G. M. De Francisco, Becco Giallo, 2019


Crediti immagini: Charlotte Salomon - Jewish Historical Museum 4762 -Kristallnacht – Crediti: Wikipedia

Charlotte Salomon nel 1939

Charlotte Salomon dipinge in giardino. Foto del 1939 - Crediti: Wikipedia

C. Salomon, JHM, M004175

C. Salomon, JHM, M004175 – Wikipedia

Charlotte Salomon - JHM 4762 -Kristallnacht
Charlotte Salomon - JHM 4762 -Kristallnacht - Wikipedia
Charlotte Salomon - JHM 4925
Charlotte Salomon - JHM 4925 - Wikipedia
Charlotte Salomon - JHM 4175TC
Charlotte Salomon - JHM 4175TC - Wikipedia
Charlotte Salomon JHM 4351

Charlotte Salomon, JHM 4351, Museum page, Pubblico dominio – Crediti: Wikipedia

Charlotte Salomon - JHM 4155
Charlotte Salomon - JHM 4155 - Museum page, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32026836
Autoritratto di Charlotte Salomon

Charlotte Salomon, "Autoritratto", 1940, gouache su cartone, JHM, Amsterdam – Wikipedia

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