Costruire una memoria collettiva
Nella sfera pubblica, l’esercizio della memoria è espressione di scelte politiche, dettate da specifici contesti storici nonché dalle fisiologiche fasi di rielaborazione di eventi drammatici del passato. A riflettere sui diversi usi della memoria, mettendo in guardia anche da quelli poco lodevoli, è stato il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov (1939-2017), in saggi quali Gli abusi della memoria (1996) e Memoria del male. Tentazione del bene (2001). Scrive Todorov: «[la memoria] non è affatto assimilabile a una registrazione meccanica di ciò che accade; essa ha forme e funzioni fra cui è obbligatorio scegliere, la sua istituzione conosce fasi che possono subire perturbazioni specifiche, essa può essere assunta da attori differenti e condurre ad atteggiamenti morali opposti».
Tra gli strumenti attraverso cui la memoria si rende visibile nello spazio pubblico, vi sono monumenti e memoriali che possono essere frutto sia di progetti architettonici ex novo sia della riqualificazione di edifici e spazi preesistenti a cui sono attribuite nuove funzioni e significati. In entrambi i casi, come sottolineato da Todorov, non ci si trova mai di fronte a oggetti neutri, ma ad oggetti che recano in sé segni di precise idee, sensibilità e necessità e, con esse, anche inevitabili ambiguità e interrogativi. Tra le città europee, Berlino è certamente tra quelle in cui il processo di costruzione di una memoria collettiva è stato ed è maggiormente tangibile in tutte le sue diverse stratificazioni.
A seguito dell’istituzione della Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto da parte dell’Onu a partire dal 2005, si assiste in questa città a una rapida moltiplicazione (dopo decenni di relativo silenzio) di memoriali, luoghi di memoria e monumenti: il Memoriale degli ebrei assassinati in Europa (2005), il Memoriale per gli omosessuali perseguitati durante il nazionalsocialismo (2008), la Topografia del Terrore (Centro di documentazione sorto nella ex sede della Gestapo, 2010), il Memoriale ai Rom e ai Sinti uccisi dal nazismo (2012), il T4 – Memoriale per le vittime del programma nazista di sterminio “Eutanasia” (2014). Se da un lato, l’istituzione della Giornata della Memoria ha dato evidente impulso al processo di rielaborazione, dall’altro questo processo pone diverse questioni non tanto sull’importanza della memoria, ma sul come facciamo memoria e, quindi, sulla sua efficacia perché non resti un esercizio di vuota retorica.
Personalità come James E. Young (pioniere degli studi sul legame tra memoria e monumenti e tra i membri della giuria del concorso per il Memoriale di Berlino, n. 1951) e lo storico francese Pierre Nora (n. 1931) si sono interrogati sulla relazione tra l’ostentazione delle forme monumentali che assumono i luoghi di memoria e il significato profondo dell’atto del ricordare.
Ai luoghi di memoria si rischia infatti di delegare la responsabilità della memoria, in una sorta di lavaggio della coscienza e acquietamento del senso di colpa. In un paese come la Germania, anche altri aspetti controversi sono stati evidenziati: la difficoltà per una nazione di trovare un modo per commemorare i crimini da lei stessa commessa; la sfida per gli artisti non appartenuti alla generazione dei carnefici, ma eredi di quella storia, di trovare linguaggi per parlare di quegli eventi; il fatto che molti monumenti ricordino le vittime, ma non affrontino identità e responsabilità degli effettivi carnefici.
Indimenticabile e Memorabile: l’esempio del Memoriale di Eisenman
Dopo quasi vent’anni di concorsi e dibattiti pubblici molto accesi, nel 2000 viene posata a Berlino la prima pietra del Memoriale progettato dall’architetto statunitense Peter Eisenman (n. 1932) e che sarà inaugurato cinque anni più tardi.
Si tratta di un’opera imponente che si estende per circa 19.000 mq tra la Porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz e in cui si alternano, secondo una griglia ortogonale, 2.711 steli. Il Memoriale riflette una precisa modalità di concepire il rapporto con il ricordo: nelle intenzioni del suo creatore non vi è infatti alcuna indicazione di “cosa” riportare alla mente e viene superata l’identificazione tra memoria e conoscenza degli eventi (quest’ultima rimandata al Centro informazioni sotterraneo).
Eisenman suggerisce piuttosto uno spazio di riflessione che possa essere attraversato e vissuto individualmente, nella rete di innumerevoli percorsi possibili. La griglia solo apparentemente è ordinata e razionale: le steli di altezze e inclinazioni diverse, il suolo ondulatorio che “inghiotte” il visitatore ma man vi si addentra, l’estensione stessa del Memoriale: questi sono tutti elementi che definiscono un’esperienza destabilizzante e alienante, un’esperienza di «perdita e contemplazione».
In parallelo all’inaugurazione, il filosofo Giorgio Agamben (n. 1942) scrive il saggio Le due memorie, in cui suggerisce la distinzione tra l’“Indimenticabile” e il “Memorabile”, evidenziando come l’opera di Eisenman abbia il merito di contenerle entrambe, sebbene tenendole distinte.
Mentre il Memorabile è il risultato di un processo attivo e consapevole, quello attraverso cui apprendiamo, sollecitato nel monumento di Eisenman dalla sua parte informativa e di archivio, l’Indimenticabile si presenta come una forma che sfugge al controllo razionale della mente umana, riemergendo improvviso sulla base di percezioni e sensazioni che non seguono nessi di causalità precisi e identificabili. Per Agamben, la griglia di Eisenman è capace di sollecitare proprio questa modalità di ricordare che è la più pura, profonda e radicata.
Struttura e forme, che sembrano replicarsi ossessivamente all’infinito, hanno per Eisenman anche l’obiettivo di mostrare come ordine e razionalità nel regime totalitario si siano ribaltati in follia. Un tema, quello del lato oscuro della ragione, ben sviscerato decenni prima nella Dialettica dell’illuminismo (1944) di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, i quali vedono in Auschwitz l’esito inevitabile di un lungo processo in cui la ragione occidentale si è tramutata in dominio irrazionale. L’opera di Eisenman appare così come la raffigurazione visibile dell’argomento dei due filosofi della Scuola di Francoforte.
Spazi dell’orrore. La difficile eredità dei campi di concentramento
I luoghi della memoria più difficile da trattare restano i teatri veri e propri degli stermini. Nel 2016 esce nelle sale cinematografiche il film documentario Austerlitz di Sergei Loznitza attraverso cui il regista ucraino si interroga su questi spazi, sul loro significato e sul modo in cui in epoca contemporanea li attraversiamo.
Girato in bianco e nero in alcuni dei campi di concentramento tedeschi più tristemente noti (Dachau, Ravensbrück, Sachsenhausen e Dora-Mittelbau), l’occhio di Loznitsa tenta un’operazione di osservazione oggettiva rimandando allo spettatore una riflessione morale sulle modalità in cui viviamo spazi con una tale eredità di ingiustizia e dolore. La macchina da presa è fissa e ripercorre via via quella che potrebbe essere una giornata tipo del turista che li visita, dal momento del suo ingresso fino all’uscita.
Quello che vediamo colpisce e disturba: i selfie sorridenti davanti ai cancelli, le guide che rassicurano avventori insofferenti sulle pause pranzo, gli abbigliamenti da spiaggia, le persone che fingono di essere torturate, le orde di gruppi che si alternano tra baracche vuote e piazzali desolati. Loznitsa ci mostra uno spaccato che ci sollecita con forza riflessioni etiche: può essere un ex campo di concentramento una meta turistica di massa come un’altra? Esiste un modo “adeguato” di porsi all’interno di questi spazi? Perché abbiamo bisogno di vedere questi luoghi, spesso del tutto spogli o ricostruiti a uso e consumo dei turisti? Abbiamo forse bisogno di un’immersione emotiva negli eventi, oltre che di una loro conoscenza razionale?
Richiamando nuovamente il pensiero di Todorov, la memoria forse è realmente tale quando evitiamo di ridurla a culto intoccabile, senza sacralizzarla né banalizzarla, ma facendone un uso «esemplare», aspirando a trasformare le ingiustizie subite in nuove possibilità etiche.
Consigli bibliografici:
Giorgio Agamben, “Le due memorie”, in: Shoah: percorsi della memoria, Napoli: Cronopio, 2006, pp. 61-64.
W.G. Sebald, Austerlitz, Milano: Adelphi, 2002.
Renate Siebert, “Memoria e giustizia”, in: Memoria e saperi. Percorsi interdisciplinari, a cura di E. Agazzi e V. Fortunati, Roma: Meltemi, pp. 79-100.
Tzvetan Todorov, Memoria del male. Tentazione del bene. Garzanti, 2000.
Adachiara Zevi, Monumenti per difetto, Roma: Donzelli Editore, 2014.
Crediti immagini: Berlino, memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa – Credito: uhland38 / 123RF