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I tormenti della demografia tra dati e interpretazioni culturali

Claudio Fiocchi analizza il ruolo strategico della demografia. Essa registra da un lato l’aumento complessivo della popolazione mondiale, dall’altro la diminuzione della popolazione e il suo progressivo invecchiamento in alcune aree del pianeta, come l’Italia. Tali variazioni incidono sulla percezione che un paese ha di sé e della sua vitalità, della sua forza lavoro, del suo peso internazionale.

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È vero che la demografia è il destino, secondo una citazione attribuita a Auguste Comte? O la forza di una cultura è in grado di reagire in modo incisivo sulle dinamiche demografiche?

Democrazia è una parola di uso comune. Nelle discussioni pubbliche sta però guadagnando terreno un altro termine che a democrazia è imparentato per origine etimologica, ma che possiede un significato ben diverso, ossia demografia. Almeno in teoria, la demografia non riguarda il governo delle persone, ma l’andamento quantitativo di una popolazione. Il timore però che la demografia possa incidere sulla vita di una società democratica, mettendo in crisi i suoi valori e i suoi meccanismi di solidarietà, è tutt’altro che infondato.

Perché la demografia è importante?

La demografia si occupa della variazione quantitativa delle comunità umane e dell’umanità presa nel suo complesso. Come studio quantitativo, la demografia si avvicina alla statistica; come analisi dei fattori in gioco nelle trasformazioni sociali si avvicina invece alla sociologia e alla psicologia.
Perché oggi la demografia ha assunto un ruolo strategico? Basta ricordare due dati ben noti che essa ci fornisce: da un lato l’aumento complessivo della popolazione mondiale, dall’altro la diminuzione della popolazione e il suo progressivo invecchiamento in alcune aree del pianeta, come l’Italia.
Tali variazioni incidono sulla percezione che un paese ha di sé e della sua vitalità, della sua forza lavoro, del suo peso internazionale. L’Italia non è l’unico paese dove questi temi vengono sollevati. Per esempio, lo spopolamento di alcune aree dell’Europa dell’Est per effetto dell’emigrazione dei giovani verso l’Ovest provoca forme di risentimento tra la popolazione residente verso i paesi dell’Europa occidentale e verso gli immigrati.

Un interessante articolo proposto da «Internazionale» illustra questa dinamica tra spopolamento e desiderio di rivalsa. https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/01/29/democrazia-demografia-europa-est

Questi fenomeni vanno inoltre colti nell’orizzonte di lungo periodo offerto dalla demografia. Secondo i dati raccolti dal giornalista inglese Fred Pearce, autore del volume Il pianeta del futuro (Bruno Mondadori, Milano 2013), sembra che l’aumento della popolazione sia determinato più dal crescente numero di persone anziane (e quindi da una diminuzione del tasso di mortalità) che da un nuovo baby boom. A livello planetario, infatti, solo in un numero limitato di Stati, come l’India o Haiti, è il tasso di fecondità (il numero medio di figli per donne in età feconda) a determinare un aumento della popolazione.
Questa tendenza, individuata una decina di anni fa, viene confermata oggi dalle previsioni delle Nazioni Unite, che pur evidenziando il continuo aumento della popolazione, segnalano anche la costante diminuzione del ritmo di accrescimento della popolazione a livello mondiale.

Per saperne di più si può leggere l’articolo Le nuove previsioni delle Nazioni Unite, scritto da Stefano Mazzucco per il sito Neodemos. https://www.neodemos.info/2022/07/15/le-nuove-previsioni-delle-nazioni-unite/

Numeri e cultura

Come governare questi cambiamenti? Come evitare che mettano in crisi gli equilibri delle società democratiche? Rispetto, al passato, ricorda il demografo Livi Bacci (Storia minima della popolazione del mondo, Il Mulino, Bologna 2002), non ci sono più territori su cui riversare le eccedenze demografiche come l’America e l’Australia. In compenso, però, i mezzi per regolare nascite e morti sono molti più efficaci e soprattutto nelle società democratiche possono essere usati con consapevolezza: per questo l’umanità potrebbe assomigliare a un abile pilota automobilistico alla guida di un’auto agile, capace di adattarsi alle situazioni.

A rafforzare il concetto con un’altra metafora è il demografo Joel Cohen, autore di un voluminoso saggio dall’inquietante titolo Quante persone possono vivere sulla terra? (Il Mulino, Bologna 1998), dove afferma: «Le popolazioni, l’ambiente, l’economia, la cultura interagiscono congiuntamente; si pensi a un quartetto d’archi: l’effetto combinato supera quello prodotto dai singoli suonatori o da un loro sottoinsieme». Perciò, la semplice previsione demografica basata sulle tendenze passate non equivale a una profezia inevitabile.

Dalla demografia alla psicologia

Prendendo spunto dall’analisi di Cohen, consideriamo un caso di calo demografico, quello italiano, favorito da un fattore “culturale”. Secondo il demografo Giuseppe Micheli, autore di Effetto generazione (Carocci, Roma 1999),  l’accento va posto sulla tendenza delle ultime generazioni a evitare scelte irreversibili, come quella di mettere in piedi una famiglia. Lo studioso nota una singolare simmetria tra il crescere di fenomeni di tossicodipendenza, l’aumento dei casi di anoressia e la minor propensione a creare una famiglia: in poche parole, ormai diverse generazioni, indipendentemente dal livello di istruzione, manifestano forme di insicurezza ansiosa e di inadeguatezza ai ruoli. La posticipazione o il rifiuto della genitorialità sarebbe espressione di questo fenomeno.
Questa analisi, proposta dall’autore tra molte cautele, ci offre una suggestione importante: il modo in cui un paese, una cultura, una generazione percepisce se stessa e il proprio futuro può incidere sulle dinamiche demografiche.

Per essere aggiornati sui dati demografici dell’Italia, si consulti il sito demo.istat.it

Determinismo demografico o libertà di reazione?

I dati demografici vanno dunque considerati insieme al modo in cui una società li interpreta. A questo proposito, con una certa ironia, lo storico Scipione Guarracino, in Allarme demografico (il Saggiatore, Milano 2016) nota che quando si parla di previsioni demografiche due paure antitetiche fanno la loro comparsa: quella del pianeta trasformato in un brulicante formicaio di esseri umani e quella di un completo deserto. La coesistenza di questi timori segnala l’importanza della nostra interpretazione dei dati. Per esempio, secondo l’economista John Keynes,  il calo demografico diffonde pessimismo nella società e nell’economia. Se abbracciamo questa tesi, forse siamo anche convinti che la demografia determini un destino ineluttabile. Al contrario, possono essere la nostra visione del mondo e del futuro a determinare una positiva reazione al calo demografico, inducendo in una società democratica – come suggerisce il demografo Alessandro Rosina – un forte impulso all‘innovazione, alla qualità della formazione, allo sviluppo tecnologico per mitigare gli effetti sociali ed economici. Abbracciata alla demografia – è l’auspicio di molti studiosi, la democrazia non è destinata a esserne strangolata.

La tesi di Keynes è ricordata dal demografo Livi Bacci in un interessante articolo del 2016 pubblicato su Limes e dedicato ai rischi dell’invecchiamento delle popolazione europee e all’opportunità dell’immigrazione. http://www.limesonline.com/cartaceo/demografia-e-destino?prv=true
La tesi di Alessandro Rosina può essere letta sulla rivista dell’Istituto Ispi. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/demografia-occidente-prova-di-qualita-31794

Crediti immagine: Pixabay

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