Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano.
Margaret Atwood, poetessa, scrittrice, critica letteraria e attivista.
Non sono libera, finché qualunque donna è senza libertà. Anche la tua prigione è parte della mia.
Audre Lorde, poetessa, scrittrice e attivista.
Il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza contro le donne, istituita nel 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Certo, non è sufficiente dedicare alla lotta alla volenza una giornata ma è necessario lavorare 365 giorni all’anno perché le donne, ma non solo loro, non debbano subire soprusi e violenze.
Da questa giornata, però, si può cominciare per portate il tema all’attenzione quotidiana e qui lo faremo partendo da coloro che molti secoli prima riflettevano già su questo argomento: artiste e artisti.
Come spesso accade, gli artisti hanno sensibilità particolari, “sentono” per primi temi sui quali noi ci troveremo a ragionare solo a distanza di tempo.
Del resto lo ha detto anche il Papa l’anno scorso nel suo Discorso agli artisti, pronunciato nella Cappella Sistina in occasione del 50° anniversario dell'inaugurazione della collezione d'arte moderna dei Musei Vaticani:
«l’artista prende sul serio la profondità inesauribile dell’esistenza, della vita e del mondo, anche nelle sue contraddizioni e nei suoi lati tragici».
Gli artisti sono in grado di narrare, smascherare e denunciare la violenza con un mezzo capace di trasformare il particolare in generale: davanti a un quadro, a una scultura, a una fotografia, a una performance, chi guarda non si ferma all’evento narrato nell’opera, ma è costretto a confrontarsi con il tema in generale. Le opere d’arte sono fatte per portarci alla riflessione, per farci conoscere noi stessi e per renderci persone migliori.
Nel 1945 Picasso raccontò un aneddoto avvenuto nel suo studio parigino nel quale un ufficiale nazista, guardando una riproduzione di Guernica, gli aveva chiesto, sbalordito e sconvolto: «Ma questo l’ha fatto lei?». L’artista gli aveva risposto: «No. L’avete fatto voi», intendendo che certamente a dipingere l’opera era stato lui, il pittore, ma a causare la violenza rappresentata e gli orrori di quell’episodio della Guerra civile spagnola erano stati proprio i tedeschi, e non solo loro.
Ebbene, se è vero, come è vero, che nelle opere si nascondono verità su cui riflettere, qui partiremo da Tintoretto, Tiziano, Artemisia Gentileschi, Bernini, per arrivare a Degas, Magritte, Nan Goldin. Tutti questi artisti hanno, ciascuno con il suo stile e lo spirito dei suoi tempi, raccontato e denunciato la violenza sulle donne, affermando a gran voce che la donna non è oggetto, ma soggetto e individuo libero.
Tiziano, Miracolo del marito geloso, 1511
Un marito viene a sapere del tradimento della moglie e la uccide. Ecco un triste classico della violenza sulla donna che, a distanza di oltre 500 anni da quando Tiziano ha dipinto questa scena, purtroppo non è cambiato molto.
La differenza è che nella storia narrata nell’affresco alla coppia viene data una seconda possibilità, che possiamo scorgere in secondo piano. Avendo saputo che la moglie in realtà non è colpevole di tradimento, l’uomo chiede perdono a Sant’Antonio che resuscita la donna. Ecco, nell’agiografia la storia si risolve positivamente, nella realtà questo non accade mai.
Il paesaggio idilliaco rappresentato da Tiziano si contrappone alla scena al centro dell’azione nella quale il marito è nell’atto di pungalare la moglie, che già ha il vestito sporco di sangue e che cerca di fermare il pugnale allungando le mani.
Nel ‘500, come in alcune culture e tradizioni ancora oggi, l’uomo che tradisce è accettato se non addirittura apprezzato per le sue conquiste, mentre alla donna tocca una sorte molto diversa. Solo la donna, in queste culture, deve fedeltà e obbedienza a un uomo che a volte non ha nemmeno scelto. Purtroppo tornano alla mente casi di cronaca ancora troppo frequenti.
Tintoretto, Susanna e i vecchioni, 1557
L’episodio di Susanna e i vecchioni, che è quello al centro dell’opera del 1557 di Tintoretto, ha origine biblica: è narrato nel capitolo 13 del Libro del profeta Daniele e racconta di una ragazza che viene avvicinata da due vecchi conoscenti del marito, giudici della comunità ebraica di Babilonia, mentre fa il bagno nel suo giardino.
I due le si avvicinanano per abusare di lei e al suo tentativo di resistere la minacciano di raccontare al marito di un suo presunto adulterio. Susanna resiste e viene per ciò accusata, portata in tribunale e condannata alla lapidazione.
Prima però che la sentenza venga eseguita si fa avanti il profeta Daniele, che svela la verità e salva Susanna.
“Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele, il quale si mise a gridare: ‘Io sono innocente del sangue di lei!’. Tutti si voltarono verso di lui dicendo: ‘Che vuoi dire con le tue parole?’. Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: ‘Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei’”. Daniele 13, 45-49
Anche questa vicenda racchiude la triste verità di tanti abusi dei nostri giorni: il ricatto e la minaccia di rovinare la vita della vittima e la sua reputazione, basti pensare all’origine del movimento “Me Too”.
Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610
Pochi anni dopo Artemisia Gentileschi dipinge la sua versione di Susanna e i Vecchioni. Pittrice romana di scuola caravaggesca, Artemisia è icona artistica della battaglia contro la violenza sulle donne, protagonista nel XVII secolo in un ambiente quasi esclusivamente maschile.
Molti critici vedono in quest’opera un elemento autobiografico e la rappresentazione della violenza subita quando era ancora adolescente da parte del pittore Agostino Tassi, artista della bottega del padre.
Artemisia denunciò il fatto al Sant’Uffizio e così iniziò un processo nel quale la pittrice da vittima divenne colpevole di avere sedotto il “povero” Tassi. Alla fine, il Tassi venne condannato dai giudici dello stato Pontificio con cinque gli anni di esilio ma scontò solo pochi mesi. Artemisia fu costretta a un matrimonio riparatore non voluto con il pittore fiorentino Pierantonio di Vincenzo Stiattesi e si trasferì a Firenze.
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1620
Dopo l’episodio narrato poco sopra, inizia la protesta pubblica di Artemisia contro il Tassi, contro la violenza subita e contro la violenza che tutte le donne sono costrette a subire. La sua vendetta arriva attraverso un dipinto di straordinaria bellezza, Giuditta che taglia la testa di Oloferne, un altro episodio biblico in cui però le parti si invertono.
La scena è cruda e violenta: una donna, Giuditta, con la vendetta e la soddisfazione dipinta sul volto, taglia la testa di un uomo, Oloferne, generale dell’esercito invasore di Nabucodonosor. Giuditta avvicina Oloferne con l’inganno per salvare il popolo di Israele dal nemico, Oloferne rimane affascinato da Giuditta e pensa di farla sua ma, ubriaco, si addormenta e nel sonno Giuditta lo uccide.
Il gesto è potente e consapevole, conscio del messaggio che porta con sé. Un’altra donna, la sua ancella, aiuta Giuditta in questo atto di “giustizia”. I corpi, che non sono tesi né affaticati, rappresentano la ragione di una vendetta in nome di tutte le donne.
Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621-1622
Atro triste tema trattato dall’arte e dalla mitologia a proposito della violenza sulle donne è il rapimento. Ne sono esempi eclatanti due episodi narrati da molti artisti, Il ratto di Proserpina e Il ratto delle sabine, per i quali prendiamo due esempi illustri.
Gian Lorenzo Bernini, maestro assoluto del Barocco, rappresenta questa scena di abuso femminile affidando al marmo e alla sua espressività tutta la tragicità e la forza del gesto.
L’episodio mitico racconta la triste storia di Proserpina, figlia di Cerere, dea della prosperità della terra. Di lei si innamora il dio dei morti, Plutone, attratto dall’allegria e dalla vitalità della fanciulla, che decide, con il consenso di un’altra figura maschile, Giove re degli dei, di rapirla e portarla con sé nell’aldilà. Cerere, disperata, smise di curarsi della terra provocando carestie e povertà fra i popoli. Così Giove propose un accordo a Proserpina e alla madre: la giovane avrebbe passato sei mesi sulla terra e sei mesi nell’oltretomba.
Luca Giordano, Ratto delle Sabine, 1680 ca
Tra gli episodi più noti della storia di Roma c’è il Ratto delle Sabine. Dopo la fondazione della città, Romolo si rivolse alle popolazioni vicine per trovare giovani donne che potessero, unendosi agli uomini di Roma, dare origine a una nuova stirpe. I popoli confinati rifiutarono così Romolo rapì le donne con la forza.
Jacques-Louis David, Il ratto delle Sabine, 1799
Jacques-Louis David, un secolo più tardi, in un clima sociale completamente diverso e fortemente influenzato dalla Rivoluzione francese, scelse invece di immortalare un momento diverso di quello stesso racconto, non il rapimento, ma l’atto di eroismo delle donne Sabine che parteciparono alla battaglia e si frapposero fra l’esercito di Roma e quello del loro popolo che combatte per la loro libertà.
Edgard Degas, Lo stupro, 1868-69
Con la metà dell’Ottocento la pittura si fa più realista, si discosta dalla sfera religiosa e dalla mitologia e predilige il racconto dei fatti. Quando poi si arriva verso la fine del secolo, gli artisti rappresentano anche la quotidianità: non solo quella degli ambienti ricchi ed eleganti ma anche quella meno piacevole e attraente. Tra gli artisti che guardano a questo tipo di ambientazione c’è sicuramente Edgar Degas.
Il titolo del suo dipinto Le viol, ovvero “lo stupro”, dichiara fin da subito il contenuto dell’opera. Una giovane ragazza sta in un angolo della stanza da letto, è spaventata, ha gli occhi abbassati e una spallina della sottoveste scesa, per terra si vede il suo corsetto. Dall’altra parte della tela, e della stanza, c’è un uomo adulto, in posizione arrogante, con le mani in tasca, appoggiato alla parete. L’uomo guarda verso di lei con sguardo fiero. Preda e predatore.
Degas decide di porre la luce e il suo sguardo al centro. Forse non sta giudicando, ma certamente sta denunciando una situazione che non deve essere poi così insolita: uno stupro.
L’artista ci fa entrare in punta di piedi nella stanza, ci racconta i particolari dell’arredamento e ci svela la scena, non ci mostra la violenza, ce la fa solo immaginare; è appena avvenuta, ma la tensione dei personaggi è ancora nell’aria.
Dal Novecento a oggi
Nei primi anni del Novecento, quando si respira l’aria del dadaismo di Marcel Duchamp, quando tutti i paesi escono esausti dalla Prima Guerra Mondiale, la situazione sociale è complessa e gli atti di violenza in genere proliferano, compresi quelli a sfondo sessuale. In questo clima un autore come Otto Dix, dallo stile a cavallo fra il realismo e l’espressionismo, dipinge molte tele con scene decisamente forti che rappresentano questo tipo di violenza.
Pochi anni dopo, a metà del “secolo breve”, con uno stile del tutto diverso rispetto a quello di Degas, anche René Magritte dipinge un’opera dal titolo Le Viol. Qui però la scena non è narrata nei fatti accaduti come nella tela di Degas, ma possiamo solo immaginarla con gli occhi del surrealismo: il volto stilizzato di una donna ha al posto degli occhi i seni, al posto del naso l’ombelico e al posto della bocca la vagina. Ed eccola ritratta come puro oggetto di desiderio, privata di identità, senza nome né espressione, conferma dello sguardo che spesso gli uomini rivolgono al corpo delle donne.
Da qui arriviamo alla fine del secolo scorso e all’inizio del 2000, con un gran numero di artisti, soprattutto donne, che denunciano, raccontano e mostrano, nel vero senso della parola, i segni della violenza. Tra loro ricordiamo Marina Abramovic, Valie Export, Regina José Galindo, Nan Goldin.
Tutte queste artiste raccontano la violenza e lo sguardo indiscreto degli uomini, chi con ironia come Export nella performance Touch Cinema nella quale indossa sul torace nudo una scatola di polistirolo, con un buco sul davanti e una tendina, come fosse un televisore, invitando i passanti a mettere le mani nell’apertura e toccarle i seni; chi con dolore come Nan Golding nella fotografia Un mese dopo essere stata picchiata, nella quale si autoritrae ben vestita, pettinata, con gli orecchini e la collana al collo, ma con i segni sul volto delle recenti volenze.
Crediti immagini: Jacques-Louis David, Il ratto delle Sabine, 1799, olio su tela, Parigi, Museo del Louvre (Crediti – immagine caricata da Wilfredo Rafael Rodriguez Hernandez su Wikipedia)
Tiziano Vecellio, "Miracolo del marito geloso". 1511, Padova, Scuola del Santo. Crediti: Wikipedia
Tintoretto, "Susanna e i vecchioni". 1557, Vienna, Kunsthistorisches Museum (Crediti: Wikipedia)
Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621-1622. Roma, Galleria Borghese (crediti: foto di Daderot – Wikipedia)
Jacques-Louis David, Il ratto delle Sabine, 1799, olio su tela, Parigi, Museo del Louvre (Crediti – immagine caricata da Wilfredo Rafael Rodriguez Hernandez su Wikipedia)
Edgar Degas, Lo stupro, 1896, olio su tela, Philadelphia, Museum of Art (crediti: Wikipedia)
Luca Giordano, Ratto delle Sabine, 1680, olio su tela, Chicago, Art Insitute. (Crediti: immagine caricata da saliko su Wikipedia)
Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610, olio su tela, Pommersfelden, Schloss Weißenstein (crediti: Wikipedia)
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne (1614–1620). Olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi (crediti: Wikipedia)
Cinzia Cogoni
17 novembre 2024 alle 06:24
Ricorro anch’io spesso alle opere della storia dell’arte per spiegare fatti, movimenti e avvenimenti storici di grande rilevanza. Ho trovato questo articilo molto interessante e ricco di spunti. Complimenti all’autrice