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Perseo e il mestiere di scrivere

Michela Mariotti si concentra sulla prima delle Lezioni americane di Calvino, “Leggerezza”. In questo testo Calvino è sulle tracce di Ovidio e propone un’idea di letteratura in grado di attraversare i secoli.

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Lo scrittore e la realtà: Calvino come Perseo contro Medusa

La prima delle Lezioni americane che Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard nel corso dell’a.a.1985-86 (progetto tragicamente interrotto dalla morte improvvisa dell’autore, nel settembre 1985), pubblicate postume nel 1988, contiene un’intelligente riflessione sul mestiere di scrivere. La lezione ha un titolo profetico, Leggerezza, intesa come categoria di interpretazione della realtà. Calvino confessa che spesso la realtà, materia prima di ogni scrittore, gli appare come una massa inerte, pesante, opaca, un magma pronto a solidificarsi appena si tenta di rappresentarlo, quasi fosse soggetto allo sguardo inesorabile di Medusa, la Gorgone dalla chioma serpentina che tutto pietrifica. Una materia prima, la realtà nella sua caotica complessità, che si rivela refrattaria alla parola poetica, inadatta per natura a un’idea di letteratura che vuole offrire una visione coerente e ordinata del mondo.

Ecco allora che lo scrittore in ambasce chiede aiuto a Perseo, l’unico eroe capace di tagliare la testa a Medusa e usare quella spoglia mostruosa per padroneggiare la pietrificazione della realtà. Proprio il mito di Perseo può suggerire una via, indicare all’autore un metodo per avere ragione di una realtà troppo pesante per farsi letteratura. Perseo vola perché indossa i calzari alati, dono di Mercurio, e sfugge al potere micidiale degli occhi di Medusa perché non volge mai lo sguardo sul volto della Gorgone, ma solo sulla sua immagine riflessa nello scudo di Minerva. Il mito di Perseo funziona per Calvino come un’allegoria del rapporto possibile tra lo scrittore e la realtà. Per capire perché ripercorriamo le tappe principali del mito.

Da Argo a Serifo

Perseo è un eroe della «leggerezza», a partire da quella nascita favolosa da una pioggia d’oro, il sembiante assunto da Giove per unirsi a Danae, sua madre, figlia di Acrisio re di Argo. Avvertito da un oracolo che Danae gli avrebbe dato un nipote destinato a ucciderlo, Acrisio aveva chiuso la figlia in una torre a tutti inaccessibile, ma non al re degli dèi, che raggiunse la principessa sotto forma di un’aurea, eterea pioggia fecondatrice. Accaduto ormai l’irreparabile, Acrisio gettò in mare la figlia e il neonato chiusi in una cassa di legno, ma la corrente marina fece approdare la cassa all’isola di Serifo, dove i due naufraghi furono tratti in salvo. Perseo fu allevato alla corte del tiranno dell’isola, Polidette, e una volta cresciuto divenne un ostacolo alla passione che questi nutriva per Danae. Fu perciò allontanato con l’incarico di compiere un’impresa apparentemente impossibile: uccidere Medusa, l’unica mortale tra le Gorgoni, le mostruose figlie delle divinità marine Forco e Ceto, che abitavano l’estremo Occidente, e riportarne indietro la testa.

Decapitare Medusa, missione impossibile senza aiuto divino

Aiutato da Mercurio e Minerva, Perseo si recò prima dalle Graie, anch’esse mostri nati da Forco, che avevano in tre un solo occhio e un dente solo. Perseo se ne impossessò mentre se li passavano, e le costrinse a indicargli la via per le Ninfe, che custodivano gli strumenti necessari all’impresa: oltre ai calzari alati, un sacco, dove riporre la testa recisa di Medusa, e l’elmo di Ade, che rendeva invisibile chi lo indossasse. Così equipaggiato, Perseo raggiunse le Gorgoni, che sorprese nel sonno. Levatosi in volo con i calzari alati, evitando la visione diretta di Medusa, ma guardandone l’immagine riflessa come in uno specchio sullo scudo bronzeo impugnato da Minerva, recise la testa del mostro con l’affilatissima spada ricurva fornitagli da Mercurio, e sfuggì all’inseguimento delle sorelle protetto dall’elmo di Ade, che lo rendeva invisibile.

Dal caos al cosmos

Dal sangue sgorgato dalla testa recisa di Medusa nacquero un gigante, Crisaore, e il cavallo alato Pegaso, con cui un altro eroe, Bellerofonte, avrebbe vinto la lotta contro la mostruosa Chimera. Ma prima, da un colpo di zoccolo sferrato da Pegaso sul monte Elicona scaturì la fonte Ippocrene, sacra alle Muse; un tratto del mito significativo, questo, che mostra come la realtà mostruosa, la pesantezza della pietra, può essere rovesciata nel suo contrario, originando la leggerezza di una creatura alata e il mondo della poesia.

Un’arma micidiale

Perseo compie il viaggio di ritorno con il suo trofeo chiuso nel sacco. La testa di Medusa, di cui ha sconfitto lo sguardo pietrificante, diventa ora nella sua mano un’arma invincibile: basta sfoderarla e mostrarla al nemico, avendo cura di volgere altrove lo sguardo, per ridurlo alla statua di sé stesso. Ma Perseo non ne abusa, ricorrendo all’orrenda spoglia soltanto con chi compie grave ingiustizia.

Non vi fa ricorso per esempio quando lotta contro il mostro marino inviato da Poseidone a infestare le coste d’Etiopia per punire la colpa della regina Cassiopea, che si era vantata di essere più bella di tutte le Nereidi. Secondo l’oracolo, al cetaceo doveva essere data in pasto Andromeda, la bellissima figlia di Cassiopea e del re Cefeo. Perseo uccide il mostro con la spada ricurva e ottiene Andromeda in sposa, ma deve difendersi da un complotto ordito da Fineo, lo zio della ragazza, che avanzava pretese sulle nozze regali. L’eroe sfodera allora la testa di Medusa che riduce in statue di pietra i suoi avversari.

Di nuovo a Serifo e quindi ad Argo

Tornato a Serifo con Andromeda, Perseo si vendicò del torto subito dal re Polidette, pietrificandolo. Quindi restituì a Mercurio i calzari alati, il sacco e l’elmo di Ade, perché li riconsegnasse alle Ninfe, mentre Minerva pose la testa di Medusa al centro del proprio scudo, dove da allora fa mostra di sé. Infine l’eroe volle recarsi ad Argo, la patria da cui era stato allontanato. Acrisio, informato del ritorno del nipote, temendo ancora l’oracolo che gli aveva predetto la morte per mano del figlio di Danae, fuggì a Larissa nel paese dei Pelasgi. Proprio allora il re di Larissa indisse dei giochi funebri in onore del padre e Perseo pensò di prendervi parte. Fu così che Acrisio trovò la morte, colpito accidentalmente dal disco lanciato in gara dal nipote.

Dal mito un metodo

Perseo è protagonista di un mito complesso, che si arricchisce nella versione dei vari autori antichi di episodi secondari, inseriti nella struttura fondamentale della narrazione, che ruota intorno all’impresa fondamentale dell’eroe, la conquista della testa di Medusa. Calvino mette in luce in particolare due elementi, capaci di indicare allo scrittore un metodo per dare forma letteraria alla realtà, quand’essa sembra farsi di pietra.

Il primo elemento è il rifiuto della visione diretta, che permette a Perseo di non farsi pietrificare insieme alla realtà che lo circonda. Poiché conosce il potere inesorabile di Medusa, Perseo guarda solo la sua immagine riflessa, e così si salva. Ma attenzione: il rifiuto della visione diretta non significa affatto rifiuto della realtà popolata da mostri in cui a Perseo è toccato vivere; una realtà che l’eroe porta con sé, assume come proprio personale fardello (la testa racchiusa nel sacco).

L’altro tratto significativo del racconto mitico è la contrapposizione della natura mostruosa a immagini di delicata bellezza: dal sangue sprizzato dalla testa della Gorgone nasce il cavallo alato e la fonte poetica scaturita dal suo zoccolo. Il mostruoso può essere esorcizzato dal suo contrario: alla pesantezza della pietra lo scrittore può opporre la leggerezza come via di salvezza.

La grazia delicata del corallo

Calvino aggiunge un esempio illuminante, traendolo dal racconto del mito di Perseo nelle Metamorfosi di Ovidio. Perseo ha appena ucciso il mostro marino e così salvato Andromeda da una morte orribile. Dopo la scena epica del combattimento eroico, la narrazione (met. 4,740-752) si ferma a considerare una necessità molto umana del vincitore, che ora deve lavarsi le mani lordate di sangue. Per farlo deve però appoggiare a terra la testa di Medusa, ed ecco che l’uccisore di mostri ha un gesto di estrema delicatezza: preoccupato che la sabbia scabra non sciupi la Gorgone, rende soffice il terreno con foglie e rami di piante acquatiche e finalmente depone il prezioso, orrido carico. E, meraviglia!, a contatto con la testa di Medusa i ramoscelli marini si induriscono trasformandosi in coralli. Le ninfe accorrono ad ammirare e ripetere il prodigio con nuovi rami e da quelli traggono semi che gettano in aqua per moltiplicare la nuova specie marina. Al malefico orrore del mostro si contrappone la grazia sottile del corallo: la pietrificazione della realtà è esorcizzata attraverso la metamorfosi in qualcosa di delicato e prezioso.

Contrasti

Ma prima ancora della metamorfosi che spiega l’origine del corallo – il mito diventa eziologico, ricercando le dotte cause della forma attuale delle cose – c’è la delicata preoccupazione di Perseo, degna di un amante elegiaco nei confronti della donna amata perché condizioni ambientali meno confortevoli dei salotti romani non rechino offesa alle tenere membra (già Gallo, archegeta dell’elegia latina, nell’egloga 10 di Virgilio: A te ne frigora laedant!/ A tibi ne teneras glacies secet aspera plantas!, «Che il freddo non ti rechi danno! Ah che il ghiaccio non ti tagli le piante dei piedi delicate!», vv. 48-49). Solo che la preoccupazione dell’eroe epico è rivolta a una mostruosa «testa anguicrinita»: anguiferumque caput dura ne laedat harena. Il contrasto di immagini, secondo l’opposizione calviniana «pesantezza vs leggerezza», nella narrazione ovidiana è anche contrasto di generi letterari, codici e linguaggi poetici.

Ovidio e la narrazione mitica

Certo il poeta delle Metamorfosi dovette affrontare problemi di poetica in qualche modo affini a quelli segnalati da Calvino: il programma di In nova… mutatas dicere formas/ corpora, «cantare le forme mutate in nuovi corpi», le metamorfosi, cioè il divenire del mondo, in un carmen perpetuum, una narrazione ininterrotta, ab origine mundi fino alla contemporanea età augustea (così dichiara il poeta nel proemio, met. 1,1 ss.), metteva Ovidio davanti a una materia enorme e disomogenea, davvero un magma pronto a solidificarsi in pietra, e dare origine a un poema pesante, degno degli Annali di Volusio deplorati da Catullo, più che della raffinata poesia callimachea di cui l’autore è maestro. Tale appunto era la sfida. E Ovidio la risolve adottando, si potrebbe dire con Calvino, la categoria della «leggerezza». Indossa i calzari di Perseo per volare lungo la linea del tempo e selezionare nella catena di eventi che costituiscono un mito solo ciò che ritiene interessante, che non corrisponde necessariamente a ciò che è più rilevante nella struttura del mito.

Il narratore regista del racconto

Quando entra in scena nelle Metamorfosi, Perseo sta percorrendo a volo gli spazi celesti, ai piedi i calzari alati, nel sacco la testa della Gorgone. La decapitazione di Medusa, la sua impresa più importante, è già compiuta: sarà l’eroe stesso a darne un resoconto sommario (appena 15 versi per un discorso riportato in forma indiretta) al banchetto di nozze con Andromeda, dopo che il poeta ha narrato la metamorfosi in montagna di Atlante, episodio prima inattestato, e si è diffuso sul salvataggio della principessa etiope. La narrazione ovidiana inizia quindi in medias res (grazie a una padronanza assoluta delle tecniche di passaggio da un mito all’altro, che gli consente di accostare alla metamorfosi di Cadmo, che precede nel racconto, il ricordo di Acrisio), e gioca con le attese del lettore, mettendone alla prova le competenze mitologiche e letterarie.

Gioco di immagini riflesse

Prendiamo il salvataggio di Andromeda (met. 4,663-739). Perseo è in volo quando scorge la ragazza legata a una roccia, in attesa del destino crudele. L’eroe che non si è lasciato pietrificare dalla Gorgone rischia ora di cadere, pietrificato da tanta scultorea bellezza, dimenticando di battere le ali. Alla ragazza rivolge un discorso galante, che esordisce con l’immagine delle catene d’amore, queste sì degne di lei; poi le chiede il nome suo, del paese, e la ragione per cui si trova incatenata, ma anche queste domande, che ripetono un modulo epico-omerico, nel nuovo contesto sortiscono un effetto elegiaco. La fanciulla si coprirebbe il volto con le mani, ma le catene glielo impediscono, un motivo tragico, impiegato già da Virgilio per Cassandra in Aen. 2,406, che qui però concorre al ritratto, delineato con sottile erotismo, della ragazza casta e bellissima. Quando, dopo poco, l’eroe lotta con il mostro, scena epica per eccellenza, la tensione drammatica è accresciuta dal susseguirsi delle similitudini (costruite tutte su modelli letterari collaudati) che conferiscono veridicità al racconto e moltiplicano le immagini della lotta. Il testo è denso di memoria letteraria: il poeta padroneggia l’universo della letteratura e ne utilizza sapientemente i testi, ognuno immagine riflessa del mondo, per costruire una sua narrazione coerente e spettacolare.

La narrazione del mito di Perseo nel libro IV delle Metamorfosi è rappresentata in una sintesi visionaria nella Liberazione di Andromeda (1510-1513) del pittore fiorentino Piero di Cosimo: puoi trovarne qui una breve illustrazione: https://www.uffizi.it/video/il-mito-perseo-e-andromeda

Nel suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, del 1947, Calvino sceglie di dare al tema della Resistenza, dolorosa esperienza anche autobiografica, una forma agile e favolistica: per un’introduzione puoi seguire questa lezione di A. Asor Rosa: https://www.youtube.com/watch?v=ibE47F3q8Gg

(Crediti immagine: Perseo e Andromeda, Tiziano, 1554-56, The Wallace Collection Wikimedia Commons)

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