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Uguaglianza: la forza dell’ideale

L’uguaglianza è una condizione mai appartenuta alla realtà di questo mondo, tuttavia ci sono stati momenti in cui parti dell’umanità sembravano avvicinarsi alla sua realizzazione. Ludovico Testa analizza il concetto di uguaglianza nella storia, un ideale che ha vissuto una sorta di corale movimento a fisarmonica che risuona attraverso i millenni.

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La luce della speranza

Uguaglianza. La storia dell’umanità può essere osservata alla luce di questo principio ancora oggi lontano dal ricevere pieno riconoscimento in molte aree del pianeta. A dire il vero, anzi, la storia ci ha dimostrato che, nella sua accezione più pura, l’uguaglianza è una condizione mai appartenuta alla realtà di questo mondo. Il termine “uguaglianza” esprime piuttosto un principio teorico, un grande ideale che si staglia davanti al faticoso incedere della civiltà come lo specchio d’acqua generato nel deserto dal miraggio, irraggiungibile ma desiderato e, per tale motivo, capace di infondere speranza e spingere in avanti il cammino del viaggiatore. Vi sono momenti in cui parti dell’umanità sembrano avvicinarsi alla realizzazione dell’ideale e altri in cui, invece, se ne allontanano, in una sorta di corale movimento a fisarmonica che risuona attraverso i millenni.

Non è azzardato immaginare come, seguendo lo sviluppo delle gerarchie sociali che accompagnò la nascita delle prime civiltà, l’idea di uguaglianza abbia costituito inizialmente un anelito muto, una speranza inconfessata, un’aspirazione forse appena sussurrata e poi man mano rivendicata con crescente consapevolezza dai più umili, dalla massa dei lavoratori incaricati di garantire il sostentamento dei guerrieri e dei sacerdoti. Era quella che i greci chiamavano “isonomia” – da isos (uguale) e nomos (legge) – l’uguaglianza di fronte alla legge, fondamento della costituzione di Clistene, promulgata intorno al 500 a. C., e colonna portante della democrazia ateniese, che raggiungerà la sua piena maturazione nel secolo successivo.

Il processo di realizzazione di una concreta uguaglianza politica e sociale nell’Atene del IV secolo (dalla quale restavano però escluse le donne, gli stranieri e gli schiavi) si interromperà bruscamente con la fine dell’Età di Pericle e l’avvento della dominazione macedone, per poi riemergere attraverso le lotte tra i patrizi e i plebei nella Roma repubblicana e quindi nuovamente inabissarsi con il consolidamento dell’impero. Alle soglie del Medioevo, in un mondo romano profondamente barbarizzato, gli ultimi appaiono più che mai ultimi e la distanza con i primi si mostra incolmabile, istituzionalizzata, immutabile. Nella Roma del V sec d.C. il principio di aequalitas (uguaglianza) e il suo stretto legame con l’ideale di giustizia affermato da Cicerone risultavano del tutto fuori contesto, scollati dalla realtà come una voce proveniente da un altro mondo. Ed è infatti proprio verso l’altro mondo che si rivolge la dottrina del cristianesimo, elevato dagli ultimi imperatori a unica religione di Stato al fine di semplificare la ridda di dei e semidei che affollano il pantheon pagano, di sugellare la sacralità del potere imperiale e ad alleviare nel contempo le sofferenze degli umili, promettendo loro giustizia e riscatto nell’aldilà come compenso per la pazienza e la sopportazione dimostrate nell’aldiquà.

Sulla democrazia ateniese la lezione di Alessandro Barbero:   https://www.youtube.com/watch?v=2vxI5LnO_Tg
Per l’idea di aequitas nel mondo romano: https://www.romanoimpero.com/2019/06/culto-di-aequitas.html

Sommersi e saziati

Tra il Medioevo e l’età moderna i poveri, i deboli e i diseredati furono oggetto di regolare attenzione da parte della Chiesa cattolica (e poi delle chiese protestanti fiorite durante la Riforma cinquecentesca) attraverso le numerose articolazioni sul territorio formate dai movimenti pauperistici, dalle congregazioni religiose, dagli istituti di beneficienza. Un’opera di assistenza vasta e capillare finalizzata a lenire le pene e a soddisfare le necessità primarie, senza per questo mettere in discussione l’ordine costituito che imponeva la soggezione ai potenti e l’obbedienza alle sacre scritture. La promessa di Cristo circa il rovesciamento delle gerarchie nel mondo ultra terreno non turba più di tanto il sonno di papi e imperatori e, comunque, nel mondo terreno gli ultimi restano ultimi e i primi restano i primi. Neppure le grandi rivoluzioni settecentesche paiono contribuire nel concreto a mutare i fondamenti gerarchici della società: la ricchezza si sostituisce alla nascita come criterio per definire la nuova piramide sociale e i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza solennemente proclamati nelle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo non si rivelano sufficienti a riequilibrare le profonde diseguaglianze che caratterizzano la vita di tutti i giorni. Nel corso dell’Ottocento la mobilità sociale diviene certamente più accentuata e più frequente l’ascesa o la discesa lungo la scala gerarchica dello Stato borghese, ma questo parziale rimescolamento non accorcia la distanza che separa i sommersi dai saziati e non muta nella sostanza un quadro generale, dove il censo si impone definitivamente come unità di misura per definire il valore del singolo e destinarlo tra la massa dei “perdenti” o l’élite dei “vincenti” che popolano il mondo capitalista. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, inoltre, la laicità dello Stato rivendicata con crescente determinazione da governanti e liberi pensatori, porta al ridimensionamento del ruolo svolto dalla Chiesa; alla riduzione delle sue articolazioni territoriali attraverso lo scioglimento delle congregazioni religiose e alla soppressione di molti enti caritatevoli, le cui funzioni vengono accollate – con risultati spesso assai meno incisivi – alla pubblica amministrazione. La progressiva scomparsa delle antiche corporazioni, scavalcate dalla concorrenza offerta dal moderno sistema manifatturiero, priva nel contempo le classi subalterne di quel residuo di protezione e rappresentanza collettiva di fronte all’incedere del processo di industrializzazione.

Tra terra e cielo

Nella nascente società industriale il lavoratore inizia a smarrire la propria identità, perde il controllo su processo produttivo, diventa “forza lavoro”, una merce definibile con un prezzo di acquisto e facilmente sostituibile con altra merce più conveniente. Un incidente sul lavoro o l’insorgere di qualche malattia significava per molti precipitare nell’abisso della povertà totale; significava affidarsi all’intervento caritatevole di qualche associazione beneficenza oppure, come nel caso inglese, fare appello alla “Poor Law”, che imponeva il mantenimento del povero alla comunità, punendo gli assistiti con la limitazione dei diritti politici e civili.

Di fronte alla grande trasformazione in atto, l’assalto ai nuovi macchinari condotto ai primi del secolo dagli operai inglesi guidati dal mitico Ned Ludd o, qualche decennio dopo, nei colpi inferti con gli zoccoli di legno (i sabots) dagli operai francesi per sabotare il funzionamento delle macchine, trovò espressione il disperato tentativo di fermare il tempo e di arrestare l’inesorabile processo di industrializzazione in atto, condotto da masse di lavoratori e lavoratrici ansiose di sfuggire alle sempre più pesanti condizioni di indigenza e sfruttamento.

La miseria della vita quotidiana imposta dalla rivoluzione industriale ai ceti meno abbienti suscitò l’attenzione del mondo politico e culturale, favorendo la nascita delle prime commissioni di inchiesta, dei primi provvedimenti legislativi e di un filone artistico-letterario rivolto a gettare un fascio di luce sul “popolo degli abissi” disseminato nelle periferie cittadine o lungo i vasti spazi del mondo rurale. Costretti a lavorare senza orario e privi di ogni forma di tutela nel buio delle miniere di carbone, nelle campagne assolate o davanti ai telai della grandi manifatture, milioni di uomini, donne, vecchi e bambini si scoprirono sempre meno disposti ad attendere di ricevere giustizia e uguaglianza nella vita celeste. In molti di loro cominciarono a fare breccia parole che alimentavano la speranza di raggiungere quei traguardi nella vita terrena. A cavallo tra la prima e la seconda metà del XIX secolo, nuove scritture, nuovi messia, nuove parrocchie iniziarono a formarsi intorno alla nuova fede diffusa dal pensiero socialista. La proliferazione di società di mutuo soccorso, cooperative, partiti politici e organizzazioni sindacali segnò un punto di non ritorno in quel processo di laicizzazione degli ideali evangelici, che ha costituito uno dei più importanti contributi offerti dall’ideale socialista allo sviluppo del progresso umano. È in questi decenni che può essere infatti ravvisato un prezioso momento di evoluzione e di sintesi, caratterizzato dalla definitiva presa di coscienza da parte dell’essere umano circa la validità universale degli ideali di fratellanza, solidarietà e, soprattutto, di uguaglianza; ossia del loro valore laico, assoluto e autonomo rispetto al riconoscimento a essi offerto da parte di una verità rivelata o di una rivoluzione vittoriosa.


Crediti immagineGarment Workers on strike, ca 1913 (Wikimedia Commons)

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