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I costumi come icona: The Handmaid’s Tale e la lotta politica

Negli ultimi anni, donne di diversi Paesi hanno manifestato per i diritti civili indossando il costume delle Ancelle, protagoniste della serie tv The Handmaid’s Tale, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood. L’interferenza tra finzione e realtà fa riflettere su come i contenuti proposti dai media possano diventare oggetto di riappropriazione da parte del pubblico, facendone strumenti di comprensione del mondo e di costruzione della propria identità sul piano personale e collettivo.
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Texas, Stati Uniti, marzo 2017. Un gruppo di donne vestite con una tunica rossa e un copricapo bianco occupa il Campidoglio di Austin per protestare contro una proposta di legge che limita il diritto all’aborto. Nel settembre del 2018, manifestanti abbigliate nello stesso modo contestano la nomina alla Corte Suprema degli Stati Uniti di Brett Kavanaugh, accusato di violenza sessuale. In quegli stessi mesi, in varie parti del Paese, cortei di donne in rosso si ribellano contro le sempre più numerose limitazioni ai diritti riproduttivi femminili, frutto della politica del neo Presidente Donald Trump. Contemporaneamente, gli stessi indumenti vengono indossati nelle piazze di Argentina, Brasile, Regno Unito, Irlanda, Italia, Polonia, Croazia, ogni qualvolta le decisioni governative mettono in discussione la libertà di scelta delle donne sui propri corpi. Il costume che accomuna le manifestanti di Paesi diversi è quello indossato dalla protagonista della serie tv The Handmaid’s Tale, andata in onda negli Stati Uniti sulla piattaforma Hulu nella primavera del 2017, e poi circolata nel resto del mondo. Ideata da Bruce Miller, la serie è un adattamento dell’omonimo romanzo di Margaret Atwood, pubblicato nel 1985 e tradotto col titolo Il racconto dell’ancella. Dopo l’uscita della serie, Atwood ha scritto il seguito letterario della storia dell’Ancella, The Testaments (2019). L’“interferenza” tra la finzione narrativa e la realtà suggerisce una riflessione su come i contenuti proposti dai media possano diventare oggetto di riappropriazione da parte dei pubblici, che ne fanno strumenti di comprensione del mondo e di costruzione della propria identità, sul piano personale e collettivo.  

The Handmaid’s Tale: dal romanzo alla serie

The Handmaid’s Tale è un romanzo distopico ambientato in un futuro imprecisato, nella Repubblica di Gilead, corrispondente a una parte degli Stati Uniti. In seguito a un disastro ambientale, un governo autoritario, militare e patriarcale, ha assunto il potere con la forza. La fertilità è drasticamente ridotta e le poche donne ancora in grado di procreare, definite “Ancelle”, sono private della loro libertà e costrette a vivere nelle case dei governanti, con i quali devono unirsi per generare figli che dovranno poi cedere alle loro mogli. La società e il suo perpetrarsi si basano dunque su una violenza sistematica e legalizzata, sublimata da un rituale denso di echi biblici. Non stupisce che il romanzo, diventato immediatamente un best-seller, sia stato oggetto di letture in chiave politica, in un contesto segnato, negli Stati Uniti, dalla presidenza di Ronald Reagan e da un riemergere di movimenti cristiani rigidamente conservatori. La scrittrice, che ha dichiarato di non aver preso l’attualità a modello, ha tuttavia ammesso di essersi ispirata a situazioni che si erano effettivamente verificate, in diverse società e momenti storici. Il trailer della serie The Handmaid’s Tale (incorporato dal canale YouTube ufficiale di Hulu Original) Nei decenni successivi, il romanzo è stato trasposto al cinema (The Handmaid’s Tale, Volker Schlöndorff, 1990), all’opera (Poul Ruders, 200) e in una graphic novel (Renée Nault, 2019). Ma è stata, dopo il libro, la serie tv ad avere l’impatto più forte. Non solo per la capacità della serialità contemporanea di intercettare le tensioni che circolano nell’immaginario collettivo, ma anche per la risonanza con il coevo rinvigorirsi, a livello globale, dell’offensiva lanciata ai diritti civili delle donne e di altre minoranze etniche e religiose. Ma per quali motivi l’abbigliamento delle Ancelle è stato scelto come “divisa” per le manifestanti in tutto il mondo, diventando un vero e proprio simbolo di lotta per i diritti civili delle donne?

 

L’abbigliamento femminile in The Handmaid’s Tale

A Gilead gli uomini sono definiti dal proprio grado militare; le donne, sottomesse, dalla loro funzione: mogli e riproduttrici, ma anche domestiche (le Marte) e istitutrici (le Zie). A segnalare l’appartenenza a una di queste caste è il vestiario, in particolare il colore: blu petrolio per gli abiti delle mogli, grigio-verde per i grembiuli delle Marte e marrone scuro per l’uniforme delle Zie. Le Ancelle indossano una tunica e un mantello rosso acceso, cui si aggiunge un copricapo bianco con alette che coprono lateralmente il volto, vagamente simile a quello dei vestiti dei Puritani. L’abbigliamento delle Ancelle riflette il ruolo che hanno deciso per loro i governanti. Da un lato il colore acceso degli abiti spicca in un contesto dominato dai colori cupi, e le rende immediatamente visibili, segnalando l’importanza del loro ruolo: esse hanno il compito di perpetrare la specie umana. Dall’altro queste donne sono prive di qualsiasi capacità di azione, come rivela simbolicamente l’impaccio della tunica e soprattutto del cappello, che rende possibile guardare con facilità solo in basso. Le Ancelle sono sotto gli occhi di tutti (e possono quindi essere controllate meglio), ma non è previsto che diventino soggetto di uno sguardo sul mondo. Per vestire i suoi personaggi, Atwood si è ispirata all’iconografia religiosa occidentale, e la costumista delle prime stagioni della serie, Ane Crabtree, ha enfatizzato questa influenza. Lo stile delle tuniche suscita immediatamente la sensazione di trovarsi nel passato, per quanto l’ambientazione del romanzo, ribadita visivamente dalla serie, rimandi a un imprecisato futuro. Nello stesso tempo, a livello tematico è molto forte l’eco con la realtà del presente: da questa stratificazione temporale scaturiscono i significati politici della serie.  

L’uso politico dei costumi

Se per i governanti di Gilead il rosso delle Ancelle simboleggia la fertilità, per queste ultime indica invece una condizione di oppressione. In particolare, per la protagonista June/Difred, il riconoscimento della propria impotenza si accompagna alla presa di consapevolezza che sarebbe stato necessario ribellarsi al sistema molto prima, quando ancora si poteva fare qualcosa di concreto. Nello stesso tempo, piccoli gesti di resistenza quotidiana, prima individuali e poi condivisi, le permettono di non perdere il contatto con la sua identità precedente, che il sistema cerca di annullare espropriandola anche del nome: Difred (Offred nell’originale) è infatti il nome assegnatole per sancire l’appartenenza al suo padrone, Fred. L’urgenza di protestare contro le minacce all’autodeterminazione femminile è espressa dalle manifestanti vestite da Ancella. Indossare la tunica rossa significa dichiarare provocatoriamente ai governanti che le loro scelte sono in stretta relazione con quelle compiute nel regime ultraconservatore della serie, il quale non fa che portarle alle estreme conseguenze. Nello stesso tempo, le donne che protestano si riappropriano della propria capacità di parola e azione. La forza del loro dissenso deriva proprio da questa apparente contraddizione. Da un lato un abbigliamento pensato, nella finzione, per essere strumento di oppressione, dall’altro la presenza “resistente” dei corpi reali, che occupano i luoghi pubblici e rivendicano la propria visibilità anche grazie al rosso squillante dei tessuti. Una nota di colore che, osserva la stessa Atwood, crea una dissonanza nei luoghi ufficiali del potere, in genere dominati dal nero-blu dell’abbigliamento. Siamo di fronte a una declinazione peculiare della pratica del cosplay, che prevede che gli appassionati si vestano come i protagonisti delle loro serie tv (o fumetti, film, videogiochi) preferiti. Ciò permette di creare una relazione tra sé e i personaggi degli universi finzionali, di cui si vestono letteralmente i panni, portando allo scoperto, attraverso la visibilità del costume, i lati della propria identità che la narrazione intercetta e contribuisce a modellare. Se il cosplay si lega tradizionalmente a occasioni di socialità ludica come le convention o le fiere del fumetto, nel caso di The Handmaid’s Tale assume più spiccatamente una dimensione politica, che riesce a estendersi al di fuori della cerchia dei fan. Il costume dell’Ancella è stato infatti assunto come simbolo e strumento di lotta anche da chi non ha visto la serie o letto il romanzo, ma ne ha colto le risonanze nell’immaginario collettivo. La forza iconica dei costumi disegnati da Ane Crabtree è dimostrata dal fatto che l’abito indossato dall’attrice Elisabeth Moss nei panni di June/Difred è stato acquistato dallo Smithsonian Institution, il Museo Nazionale di Storia Americana. Il curatore ha infatti riconosciuto l’impatto che il romanzo e la serie hanno avuto sul clima culturale coevo, arricchendo i significati di cui si facevano portatori entrando in relazione con l’attualità.  

In classe

Se pensiamo alla serialità contemporanea, The Handmaid’s Tale non è il solo caso in cui i costumi sono stati usati in manifestazioni a sfondo politico. Pensiamo ai rapinatori di La Casa di Carta (La casa de papel, Álex Pina, 2017-): la tuta rossa e la maschera di Dalì sono state indossate in diversi Paesi, durante proteste animate da uno spirito di ribellione al sistema, declinato di volta in volta in modo diverso. Trailer della serie La casa di carta (incorporato dal canale YouTube ufficiale di Netflix)
Provate a individuare quali sono stati i movimenti o gruppi che si sono appoggiati all’iconografia della serie per dare visibilità alla propria protesta, e che tipo di relazione avevano con l’immaginario proposto dal mondo finzionale. Alcuni spunti per la discussione: 1. Nella trama è abbozzato uno sfondo politico: il Professore, mente dietro i colpi della banda, afferma di ispirarsi ai valori della Resistenza, tramandati da suo nonno. Inoltre, nella prima stagione, in un momento culminante del colpo, i rapinatori ballano trionfanti sulle note di “Bella ciao” (ep. 11), canzone legata alla lotta di Liberazione italiana. Ci sono altri elementi, oltre a quelli citati, che suggeriscono una connotazione politica delle azioni criminali della banda? Quali scene incoraggiano questa lettura? Che nuovi significati assumono gli ideali partigiani evocati dai personaggi? 2. Quali sono gli elementi della serie che si prestano a una connessione con la realtà socio-politica contemporanea, e che sono stati recuperati da chi ha manifestato con tuta e maschera? 3. La serie riesce a proporre un punto di vista preciso e coerente, che entra proficuamente in dialogo con l’attualità, oppure i costumi, per quanto d’impatto sul piano visivo, non riescono ad assumere una reale forza iconica?
  Elisa Mandelli ha conseguito una Laurea in Cinema, televisione e produzione multimediale (Università di Bologna) e un dottorato di ricerca in Storia delle Arti (Università Ca’ Foscari Venezia). È stata assegnista presso l’Università Link Campus di Roma e docente a contratto presso l’Università di Cagliari. Collabora con istituti scolastici dell’Emilia Romagna per l’alfabetizzazione audiovisiva e mediale ed è esperta formatrice per il progetto “Operatori di Educazione Visiva a Scuola” nell’ambito del Piano nazionale Cinema per la scuola (Mic-Mi). Cura rassegne cinematografiche e corsi sul cinema. Ha pubblicato monografie sulla serialità televisiva (In Treatment. La serialità in analisi, 2017), la cultura cinematografica (Le belle donne ci piacciono, e come! Cinema Nuovo, cultura comunista e modelli di mascolinità, con Valentina Re, 2021) e l’uso degli audiovisivi nel museo (Esporre la memoria. Le immagini in movimento nel museo contemporaneo, 2017; The Museum as a Cinematic Space, 2019).   Crediti immagini: Apertura e box: Antonio Cansino,Pixabay (Licenza)
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