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Cinema, agenda 2030 e ambiente

I temi dell'Agenda 2030 come abbattere la povertà, eliminare la fame, tutelare la salute, proteggere l’ambiente sono stati affrontati spesso e da molti punti di vista dal cinema, attraverso opere di finzione e documentari. Spesso, nonostante ci si possa aspettare il contrario, sono proprio le opere di finzione quelle che più si avvicinano al nocciolo delle questioni in campo.

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Il 2030? È dietro l’angolo. Dieci anni non sono nulla, e l’umanità ha davvero molto da fare se vuole mettersi sulla strada giusta per raggiungere gli obiettivi indicati dall'Agenda per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Abbattere la povertà, eliminare la fame, tutelare la salute, proteggere l’ambiente e…  Davvero un compito immane. E il cinema? Il cinema ha affrontato e affronta questi temi da molti punti di vista. Apocalittici, molte volte; indicando le vie da seguire, in qualche rara occasione; ricordando altre volte un’età dell’oro che, forse, non è mai esistita. Opere di finzione e documentari. E molto spesso, nonostante ci si possa aspettare il contrario, sono proprio le prime quelle che più si avvicinano al nocciolo delle questioni in campo.  

Il Signor Rossi a Venezia, di Bruno Bozzetto (Italia 1974)

Poco più di 11 minuti: è davvero cortissimo il disegno animato di Bruno Bozzetto. Eppure, in un tempo così limitato, riesce a dirci (divertendoci) tutto, ma proprio tutto quello che serve per capire quali sono le più gravi emergenze che stanno di fronte all'umanità. E l’incredibile è che questo cortometraggio risale a quasi 50 anni fa… Vi si racconta di un omino qualunque, il signor Rossi appunto, che decide di passare una “bella” giornata a Venezia. Il film è un condensato iperbolico di disavventure: il malcapitato protagonista si ritrova fin dai primi istanti intruppato in un diabolico ingorgo automobilistico, avvolto da nubi di smog e assordato dallo strombazzare di clacson inferociti. E poi, finalmente, Venezia! Ma è una Venezia da incubo: folle strabocchevoli di turisti, abitanti e visitatori uniti dalla maleducazione, le grandi navi (già allora!) che passano a pochi centimetri dai palazzi, la maledizione dell’acqua alta, rifiuti nei canali e gondolieri meccanici che si mettono in moto come tanti automi. Dunque, anche allora, negli ormai remoti anni 70 del secolo scorso, le persone più sensibili (come Bozzetto) avevano già intuito la necessità di fare qualcosa per preservare Venezia, uno dei luoghi più incantevoli, e insieme più fragili del mondo. Ma non solo Venezia: è evidente che il regista la prende a simboli del nostro pianeta, minacciato dall'incuria e da una concezione dello sviluppo senza futuro.

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L’uomo di Aran, di Robert J. Flaherty (Gran Bretagna 1981)

Ma un altro mondo è possibile? Come possiamo immaginare un rapporto più equilibrato fra gli esseri umani e la natura? Fra le tante risposte possibili date dalla storia del cinema, quella del film di Flaherty (un grande classico della storia del cinema) resta una delle più convincenti e coinvolgenti. Siamo di fronte a un documentario, dedicato alla dura lotta per la vita degli abitanti delle piccole isole Aran, di fronte alla costa atlantica dell’Irlanda. Dobbiamo fare uno sforzo per abituarci al bianco e nero: ci accorgiamo quasi subito, però, che proprio la mancanza del colore, che ai nostri occhi contemporanei appare irrinunciabile, dà alle immagini un “di più” di verità. Quei volti e quei corpi così provati dalla lotta per la sopravvivenza quotidiana vengono resi ancor più potenti proprio da questo gioco continuo di luce e ombra, bianco, nero e ogni tonalità di grigio. La vita a terra, cercando di strappare ogni centimetro ai sassi per coltivare piccolissimi orti, difesi grazie ai labirinti dei muri a secco dalla furia dei venti oceanici; ma, soprattutto, l’uscita delle barche in mare, ogni giorno a sfidare la morte, con le mogli che attendono a riva il ritorno dalla pesca dei loro uomini. Il film di Flaherty, che ha segnato profondamente tutta lo sviluppo successivo della pratica documentaristica, non vuole raccontare una natura da fiaba, “disneyana”. Il rapporto tra l’umanità e l’ambiente è sempre stato problematico, a qualsiasi latitudine, dal gelo dell’Artico all'estrema aridità dei deserti. E qui sta il suo “Messaggio” più profondo: mai dimenticare il rispetto per questa natura, che in ogni momento può ritornare a essere matrigna.

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Il sale della Terra, di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado (Brasile, Italia, Francia 2014)

Già, la natura matrigna. Il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado ha attraversato per decenni tutto il pianeta, con lo scopo di documentare, attraverso i suoi scatti, la durezza, e insieme la sublime bellezza dell’ambiente che ci circonda. Immagini che hanno un impatto devastante, come ad esempio quelle della gigantesca miniera d’oro a cielo aperto in Brasile, vero e proprio girone infernale in cui migliaia di uomini alla ricerca di fortuna distruggono se stessi e la natura, in un circolo vizioso che pare non avere fine. Il documentario che Wenders ha realizzato insieme al figlio del fotografo si sofferma continuamente su questa opposizione: la bellezza degli ambienti più vari, dai ghiacciai dell’Antartico alle foreste vergini del Congo e dell’Amazzonia, continuamente minacciata dalle azioni sconsiderate degli uomini. Ancora un’altra immagine, terribile, insieme a quella della miniera d’oro: l’incendio apocalittico dei pozzi di petrolio in Iraq, con il conseguente enorme inquinamento dell’atmosfera. Ma c’è anche, seppur flebile, un cenno di speranza. Lo stesso Salgado, insieme alla moglie, si è dedicato nelle pause del suo lavoro alla riforestazione di una vasta tenuta. La natura, che sembrava ferita a morte, pian piano si è ripresa, dando di nuovo spazio al rifiorire della vita.

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Una scomoda verità, di Davis Guggenheim (USA 2006)

Seguendo la lotta per la difesa dell’ambiente dell’ex presidente degli Stati Uniti Al Gore, è da questo film di quasi 15 anni fa che la problematica del riscaldamento ambientale ha cominciato a uscire dalla cerchia degli scienziati e delle persone più sensibili a questo genere di problemi. Il messaggio è arrivato così al grande pubblico, mettendolo nella condizione di non poter più dire “Io non sapevo”. Che cosa dice il film? Fa il punto sulla “malattia” principale del nostro pianeta, individuata nell'aumento senza freni dei “gas serra”, con conseguente innalzamento della temperatura media globale. Gli effetti sulla vita dell’umanità sono, e soprattutto saranno, terribili: scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, uragani più devastanti e “delizie” di questo genere. Resta aperto un interrogativo: per far circolare questo genere di allarmi, usare la “forma documentario” è un’idea corretta? In effetti il vedere immagini così dure ha un impatto emotivo molto forte. Manca però la fase critica, quella che permette alle persone di ragionare, di leggere, di confrontarsi anche con chi, per mille ragioni, può pensarla diversamente. Insomma, siamo alla fase 1, quella della prima presa di coscienza. Poi, però, non bisogna fermarsi, ma mettere il massimo dell’impegno a studiare, studiare, studiare.  E, per quanto possibile a ciascuno di noi, agire.

P.S. Nel 2017 è uscito “Una scomoda verità 2”, in cui Al Gore fa il punto della situazione 11 anni dopo l’uscita del suo primo film. Con dati, purtroppo, ancora più catastrofici.

Clicca qui per leggere alcuni spunti utili per analizzare il film-documentario di Al Gore Clicca qui per leggere un articolo dedicato a "Una scomoda verità 2”

La donna elettrica, di Benedikt Erlingsson (Francia, Islanda, Ucraina 2018)

Mai, però, agire come fa la protagonista nella prima parte di questo film! Stanca di vedere il suo bellissimo Paese, l’Islanda, sconvolto dalle mire di una compagnia elettrica multinazionale, decide di passare all'azione sabotando i tralicci (con i metodi più ingegnosi). Insomma, diventa un’ecoterrorista. Ma, per fortuna, la sua sbandata verso la lotta violenta rientra presto, anche grazie alla comparsa di una bambina ucraina che ha bisogno di essere adottata. In realtà i gesti della “donna elettrica”, più che essere veramente violenti, esprimono la sua rabbia verso una concezione del progresso che esclude del tutto la dimensione umana. E dunque, il suo ritorno verso forme di lotta corrette diventa un naturale sviluppo della sua concezione del mondo. La difesa dei valori giusti non ha assolutamente bisogno di violenza, anzi questa ne è la diretta negazione, essendo lo specchio dei comportamenti distruttivi degli avversari della natura. La bellezza dei paesaggi, la loro fragilità evidente sono una delle cose migliori del film, che sceglie un tono trasognato, quasi da fiaba o racconto mitico. Lo sviluppo armonico, la sete di giustizia, il bisogno di rapporti affettivi, la sostenibilità ambientale, i cambiamenti climatici, la salute, la difesa della vita: sono molti, pur in un piccolo film di finzione, i temi dell’Agenda 2030 toccati dalla surreale storia di questa giovane e “aliena” donna islandese.

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Crediti immagini: Peter Zurek - Shutterstock

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