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Cinema e demografia

Il tema della demografia nel cinema è affrontato in molti modi diversi: ci sono film che raccontano di mondi futuri che si confrontano con il problema della sovrappopolazione, altri con quello della denatalità e altri ancora che invece offrono uno sguardo sulla realtà che stiamo vivendo. 

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Culle vuote, ospizi pieni: c’è chi riassume così, con uno slogan fulminante, la situazione demografica  italiana (e di molti altri tra i Paesi più sviluppati del mondo). Ma, allo stesso tempo, sono in molti a porsi l’eterna domanda: siamo troppi o siamo troppo pochi? Per rispondere, non ci resta che affidarci agli scienziati che studiano l’evoluzione delle popolazioni, anche in rapporto al tema cruciale delle risorse del nostro pianeta (ovvero la sostenibilità ambientale). E una buona introduzione al nostro tema può essere data da un breve servizio di SuperQuark (https://www.raiplay.it/video/2020/07/Superquark-Il-calo-demografico-29072020-5fad7398-4606-48c6-a798-0f9d72ffdb67.html) presentato dal grande Piero Angela, scomparso di recente e al quale rendiamo omaggio. Ecco, “armati” di questa nuova conoscenza, possiamo affrontare il difficile tema con una migliorata consapevolezza. E visionare film che, nella maggior parte, si sono fatti interpreti della seconda paura, quella di essere ormai diventati troppi. Senza dimenticare però, in alcuni casi, il problema altrettanto drammatico dello spopolamento e dell’invecchiamento, con il conseguente irreparabile e irreversibile abbandono di tanti “luoghi del cuore”.

2002: i sopravvissuti, di Richard Fleischer, Usa 1973

Eccola, la paura. Il film è del “remoto” 1978, e fa una certa impressione vedere che a quel tempo le peggiori previsioni sulla sorte dell’umanità venivano immaginate proprio per il… 2022! L’inizio è apocalittico: la nostra povera Terra si è enormemente surriscaldata, l’inquinamento è a livelli intollerabili, la popolazione talmente numerosa da disputarsi con ogni mezzo lo scarso cibo rimasto. Ma non è così per tutti: i poveri, di gran lunga maggioritari, sopravvivono in città che assomigliano a nidi di termiti, vivendo per strada o in enormi slum dove scarseggiano acqua e corrente elettrica. I benestanti, un’esigua minoranza, se la cavano un po’ meglio, ma anche loro devono fare i conti con la difficoltà di trovare qualcosa da mangiare. Per chi non ce la fa più a tirare avanti, c’è la possibilità legale di accedere al suicidio assistito: per molti la morte appare una prospettiva addirittura migliore della vita in queste condizioni. Questa la situazione di partenza sulla quale, ovviamente, si innesta una storia di “buoni “ contro “cattivi”, come nella migliore tradizione del cinema made in Hollywood. Qualcuno specula su questa miseria, traendone immensi guadagni. Chi è e come fa a ingannare tutto il resto dell’umanità? E, soprattutto, questa volta sarà possibile un vero happy end?

Z la formica, di Eric Darnell, Tim Johnson, Usa 1998

Dici formica, e pensi subito alla torma di animaletti che si accalcano in stretti cunicoli, ognuno con il suo compito obbligato, ognuno destinato a immolare la propria individualità al servizio della comunità. E infatti il “formicaio” è la perfetta metafora per le nostre città sovrappopolate, al limite di rottura per la crescita costante e irrefrenabile crescita dei loro abitanti. in 2022: i sopravvissuti ci si immaginava che New York avesse 40 milioni di abitanti… Fantascienza: allora forse, perché ai nostri giorni sono diverse le megalopoli che arrivano a numeri simili. Molto spesso nel cosiddetto Terzo Mondo, con problemi agghiaccianti di igiene, servizi pubblici, accesso all’acqua potabile e all’elettricità. Su tutto questo, un simpatico film d’animazione come Z la formica può fornire utili spunti di riflessione. A partire dal rapporto tra singolo e comunità, quando quest’ultima è talmente enorme e invasiva da impedire nei fatti lo sviluppo di una propria personalità libera e originale. Z, formichina che pensa, non accetta leggi imperscrutabili e immutabili: vuole vivere, vuole vedere, vuole sapere, vuole lottare e cambiare le cose. Un film di grande intelligenza, sempre con il sorriso sulle labbra. Un film che, per chi non si ferma alla superficie, offre molti spunti per capire meglio il mondo che ci circonda e il suo possibile futuro.

Elysium, di Neill Blomkamp, Usa 2013

Dal sorriso di nuovo nel baratro della paura. Ancora un mondo sovrappopolato, ancora un mondo diviso radicalmente tra poveri e ricchi. Qui – per nostra fortuna! – la visione distopica è spostata molto in avanti, al 2154… La parte fortunata dell’umanità, che possiede tutto, vive in un mondo meraviglioso, Elysium appunto, racchiuso in un’immensa astronave, in perenne volo sopra la Terra; su quest’ultima, invece, una massa enorme di diseredati sopravvive in condizioni ambientali disastrose, causate dal pazzesco inquinamento e da una popolazione che non smette mai di crescere. Ovvio che i poveri aspirino a emigrare con tutti i mezzi su Elysium, affidandosi a loschi figuri che promettono dietro fortissimi compensi di “traghettarli” attraverso lo spazio e farli entrare illegalmente; ed è altrettanto ovvio che le autorità di Elysium vedano l’immigrazione dalla Terra come uno dei maggiori pericoli, da scoraggiare con ogni mezzo, anche il più brutale. Assolutamente trasparente il collegamento con la situazione dei nostri giorni: masse di persone disperate che fuggono da zone sovrappopolate, in guerra o prive di risorse, come l’Africa, il Medio Oriente, l’America meridionale, inseguendo il sogno di poter finalmente “atterrare” in Europa o in America. Anche qui, come in 2022: i sopravvissuti, sulla situazione iniziale si innesta una trama avventurosa, con l’eroe buono in lotta con un intero esercito di cattivi. E chissà che, almeno in questo caso, non abbia partita vinta…

Un paese quasi perfetto, di Massimo Gaudioso, Italia 2015 - La grande seduzione, di Jean-François Pouliot, Canada 2003

Altra faccia del problema, la denatalità, il conseguente invecchiamento della popolazione, la desertificazione dei borghi minori. Un paese quasi perfetto è il rifacimento italiano del film canadese La grande seduzione del 2003, a riprova che il problema è di vecchia data e non riguarda certo solo l’Italia. Il paese del titolo si trova in Basilicata (nel film originale era in Canada), in passato è stato un centro minerario di una certa importanza, ma ora è abitato praticamente solo da anziani e cassintegrati. Grande è dunque l’eccitazione collettiva quando si sparge la notizia che l’Unione Europea è pronta a finanziare l’apertura di una nuova fabbrica. C’è però un problema: in paese deve avere la residenza un medico condotto, cosa che invece non è. Come fare? Colpo di genio: si cercherà di convincere un chirurgo estetico del Nord, di passaggio in quel luogo sperdutissimo, a stabilirsi in loco, almeno fino a quando arriverà la certezza della costruzione del nuovo impianto. Il film sceglie il tono della commedia leggera, con tutti i pericoli (e gli stereotipi) del genere, ma offre comunque, tra una gag più riuscita e un’altra meno, la possibilità di riflettere su problemi reali. In Italia, come in Canada e in quasi tutti i Paesi più ricchi, la denatalità, insieme allo spopolamento dei centri minori, rappresenta una delle massime sfide per il futuro.

The millionaire, di Danny Boyle, Gran Bretagna 2008

Il motivo principale per cui il film figura in questa lista è perché permette di dare uno sguardo non superficiale alla drammatica situazioni delle megalopoli, con il proliferare degli immensi quartieri più poveri, dove le condizioni di  vita sono davvero al di sotto di ogni limite di accettabilità. Qui siamo nella città indiana di Bombay (ora chiamata Mumbai), oltre 20 milioni di abitanti, ma potremmo essere a Lagos, in Nigeria, oppure al Cairo, o a Calcutta, o a Nairobi, o a Città del Messico, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Il film è in realtà una favola moderna, con un poverissimo ragazzo qualunque, dotato però di intelligenza e memoria strabilianti, che riesce a primeggiare in un seguitissimo quiz televisivo. Dalle stalle alle stelle, tra mille disavventure, balli e canti com’è nello stile dei film indiani (Bombay è la sede delle più importanti case di produzione della cinematografia indiana, conosciuta proprio con il nome di “Bollywood”). Anche in questo caso la trama avvincente e la coloratissima realizzazione (il film è stato premiato con 8 Oscar) possono e devono essere guardate in profondità dallo spettatore. Il nostro sguardo, se riesce ad andare oltre le convenzioni del genere, vede in filigrana una realtà tragica, dalla quale sembra  quasi impossibile trovare una via di uscita. Se non nelle favole in Technicolor.


(Crediti immagine: Pixabay)

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