La demografia linguistica ha lo scopo di studiare da un punto di vista statistico la distribuzione delle lingue tra le popolazioni. Nel 2017, nel contesto di un saggio di una rivista canadese, i Cahiers Québécois de demographie, ci si riferiva a un “cantiere di ricerca” più che a un “sentiero di ricerca”, parlando di demolinguistica, proprio per la complessità della materia. Gli autori infatti parlavano della demolinguistica sì come di una branca della demografia, ma la consideravano un insieme di studi complessi che puntano a confrontare i comportamenti demografici di gruppi linguistici che vivono in un territorio, intrecciandosi così con la politica e con i movimenti e le necessità umane, sempre in evoluzione.
Per poter enumerare le lingue è necessario identificarle, e non si tratta di un processo semplice da effettuare. In Italia per esempio, c’è una varietà linguistica importante. Ce ne accorgiamo per esempio se osserviamo i dialetti, che per il loro funzionamento e la gestione degli stessi da parte del nostro cervello si tratta di lingue a tutti gli effetti. Quella che oggi è definita lingua italiana è “un dialetto che ha fatto carriera” in quanto scelta tra i vari dialetti.
La demografia linguistica stima il numero di parlanti di una determinata lingua e risponde alla domanda: ”Quali sono le lingue più parlate in una determinata zona?”. Per farlo è necessario distinguere tra “L1” ovvero la lingua di primaria acquisizione, la cosiddetta “lingua madre” e le altre eventuali lingue conosciute e parlate da un individuo indifferentemente da quando acquisite. Questo cambia molto il conteggio: se con “parlata” ci si riferisce a “L1”, allora al mondo la lingua più parlata è la lingua cinese mandarino, a seguire si ha lo spagnolo, l’inglese e l’hindi. Questi dati provengono da Ethnologue.com, un’associazione che cerca di mettere ordine tra le circa 7000 lingue parlate sul pianeta. La “L1”, ovvero la lingua madre, è anche celebrata da una giornata mondiale, L’international mother language day che cade ogni anno il 21 febbraio.
Se prendiamo in considerazione non solo le persone che parlano una determinata lingua come “L1” ma anche tutti coloro che la parlano indipendentemente dalla natura acquisizionale (L2), nel mondo la classifica cambia così: al primo posto c’è l’inglese, al secondo il cinese mandarino e a seguire hindi e spagnolo. Queste classifiche cambiano nel tempo per dinamiche politiche e sociali. Anche solo nel 2010, per esempio, le classifiche erano diverse da oggi.
In conclusione, le lingue circolano con le persone, con le loro esigenze e con la loro sfera emotiva.
(Crediti immagine: Foto di José David Castillo Arias da Pixabay)