Aula di lettere

Aula di lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Come si parla
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Storia dell'arte

Arte e tecnologia

Arte e tecnologia, un paradosso? Il loro, in realtà, è un rapporto inscindibile, che va molto più indietro nel tempo della scoperta della fotografia, ma che si rafforza e si intensifica soprattutto nel Novecento
di Simona Pinelli e Chiara Pilati Parlare di Arte e Tecnologia può sembrare, a una prima lettura, un paradosso. La parola tecnologia, infatti, deriva dal greco tékhne-loghìa, cioè ragionamento (o trattato) relativo all’arte (intesa come “capacità pratica”). Quindi, in teoria, arte e tecnologia “corrispondono”, visto che è l’etimologia stessa a portare dentro di sé e a definire lo stretto intreccio di questo rapporto. Ma è qui che entra in gioco il senso più ampio di arte, intesa come scintilla creativa e intuito, e il suo costante bisogno di strumenti tecnici atti a “tradurne” i contenuti e a “interpretarne” i significati. Arte e tecnologia, appunto. Un rapporto inscindibile.
Molto interessante a questo proposito, per entrare nel vivo dell’ argomento, è il blog Tecnologia e arte: dove la scienza si fonde con la fantasia, che tratta proprio gli elementi fondanti di questo rapporto
Il binomio eterno L’arte, quindi, ha usato la tecnologia fin dai tempi più lontani, cioè ha sempre attinto alle scoperte scientifiche per poter ampliare al massimo le possibilità espressive dei contenuti ad essa propri, esplorando e indagando senza sosta tecniche e materiali. Si può fare partire tutto dalla metà del Quattrocento, dall’invenzione della stampa (1455) ad opera di Johann Gutenberg, dopo la quale niente fu più lo stesso. Per capire la portata di questa invenzione basti pensare che uno dei più grandi pensatori contemporanei, Marshall McLhuan, ha dedicato un libro - La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo tipografico - e buona parte della sua vita allo studio di quanto l'influenza della stampa a caratteri mobili sia stata importante per la storia della cultura occidentale inclusa l’arte. E’ lo stesso periodo di Leonardo, la cui intera opera non vede distinzione tra l’uomo artista, l’uomo scienziato e l’uomo tecnologico arrivando a perfezionare tecniche contemporanee - come la prospettiva con la celebre “camera oscura leonardiana” - da una parte, e dall’altra a intuire possibilità che i mezzi di allora non gli permisero di realizzare, e che oggi sono conosciute come Macchine di Leonardo.

Molto divertente e tutto da esplorare, è un sito sulle macchine di Leonardo ricostruite e funzionanti, con vari video con la ricostruzione dell’ipotetico funzionamento delle macchine  (qui rappresentato è il sollevatore di metalli):

La fotografia, tecnologia per eccellenza Ripartiamo quindi dalla camera oscura (o camera ottica): molti artisti, nel corso dei secoli, ne hanno fatto largo uso, per esempio Vermeer, che abbiamo già visto qui nell’Aula di Lettere e poi, nel XVIII Canaletto, Bellotto e Guardi che, attraverso questa tecnica, poterono ottenere quell’incredibile precisione che ancora oggi ci sorprende. Una precisione fotografica. E qui spicchiamo un volo deciso fino all’800 quando, allo studio per il perfezionamento della camera oscura si è affiancato lo studio degli elementi chimici fotosensibili, quali i sali d’argento. Stava nascendo la fotografia (dal greco fotòs, luce + grafìa, scrittura), e tutta l’arte dovette ripensarsi dal profondo, quasi da zero.
La prima fotografia della storia viene, per convenzione, attribuita a Joseph Nicéphore Niépce, studioso francese, che già dal 1816 si era dedicato allo studio della luce e della camera oscura. Dopo una serie di complicati esperimenti chimico-fisici, Niépce, arrivò a definire la prima immagine fotografica impressa su Bitume di Giudea e che richiese ben 8 ore di esposizione per ottenere l’evanescente immagine qui riprodotta.

J. N. Niépce: Vista dalla finestra a Le Gras, 1826 (Wikimedia Commons)

Da questo momento – siamo intorno agli anni Trenta del XIX secolo – la riproduzione “dal vero” del mondo non aveva più senso, la fotografia era IL vero e la pittura doveva ritagliarsi un nuovo spazio per sé al di là della riproduzione fedele di paesaggi e figure. Non sarà un caso, a questo proposito, che la prima mostra del gruppo impressionista - che dalla metà dell’Ottocento, dipingendo il vero fra le vie parigine, comincia a farsi largo con grande “scandalo” dei borghesi - si tenne nello studio del fotografo Nadar. Fin dai suoi esordi, insomma, la fotografia ebbe a confrontarsi con la pittura proprio a causa della sua natura tecnologica, in cui l’abilità dell’uomo era invisibile, non presente. A fine ‘800 fu addirittura definita “la figlia bastarda abbandonata dalla scienza sulla soglia dell’arte”, e questo la dice lunga, dal nostro punto di vista. Ma se all’inizio la fotografia era vista come prolungamento o miglioramento del quadro, nel ‘900 si comincia a guardare al nuovo mezzo con occhi diversi, puntando l’attenzione sulle sue potenzialità concettuali.Siamo pronti dunque ad incontrare colui che per primo comprese le potenzialità del mezzo e le utilizzò da un punto di vista tutto nuovo, non più confrontandosi con il quadro per contenuti e bellezza ma proprio per la sua automaticità e tecnologia: Marcel Duchamp, il padre del dadaismo e di tutta l’era contemporanea. Nel 1921 si fa ritrarre da Man Ray (altro grande innovatore dell’arte attraverso la fotografia) travestito da donna nel lavoro Rrose Sélavy: è l’apertura della strada all’utilizzo concettuale del mezzo fotografico. La fotografia così intesa, come tutto il ready made dadaista, si oppone radicalmente alla logica estetica interpretata dal quadro, superando l’idea della capacità manuale come parametro di artisticità e sostituendola con l’atto mentale della scelta.
“Rrose Sélavy” è l’alter ego di Marcel Duchamp, un autoritratto travestito in cui l’artista impersona una altro sé al femminile. Il viso è quello di Duchamp, il sorriso misterioso cita dipinti molto noti, il cappellino e le mani sono stati prestati a Rrose da Germaine Everling, la compagna di Picabia, altro grande interprete del dadaismo (Immagine: Wikimedia Commons).
La fotografia si afferma definitivamente come elemento principe del ciclo culturale della modernità, diventandone dopo la stampa a caratteri mobili di Gutenberg, il nuovo medium emblematico. Così come il ready made, che spostato dal contesto originario a quello dell’arte diviene opera d’arte esso stesso grazie alla sola operazione concettuale dell’uomo-artista, la fotografia si propone ora come alternativa al quadro e all’arte intesa come abilità manuale. “La fotografia assomiglia a un quadro, ma di fatto funziona come un ready made” scrive Claudio Marra nel suo Fotografia e pittura nel ‘900. Una storia senza combattimento. Dalla fotografia al concetto: arte e tecnologia di nuovo unite Tornado un po’ indietro, una delle prime fotografie della storia ne è anche uno dei primi esempi di utilizzo concettuale (anche se inconsapevole). Hippolyte Bayard fu l’inventore di un procedimento noto come stampa positiva diretta ma fu persuaso con l’inganno a posticipare la presentazione della sua scoperta, favorendo in questo modo l’invenzione di Louis Daguerre, la dagherrotipia (1839), di fatto prima sperimentazione della stampa diretta. Bayard reagì a questa situazione realizzando un autoritratto nella postura di un annegato, con una didascalia che ne spiegava il suicidio a causa del mancato riconoscimento della sua invenzione.
Chi osserva la foto tende a dare per scontato una scena “vera” proprio per la sua capacità di ritrarre e fermare la realtà, per questo è in grado di fare sembrare reale anche ciò che non lo è.

Hippolyte Bayard "Drownedman" (Wikimedia Commons)

Altro esempio: negli anni Venti del ‘900 August Sander comincia una raccolta di ritratti suddivisi per tipi con intento catalogatorio, quasi volesse raccogliere tutto il popolo tedesco in una sorta di archivio. In questo caso, il progetto concettuale è spingere l’osservatore a non guardare le immagini per loro stesse ma a cogliere gli elementi dell’intera operazione.
Il primo libro di Sander Face of our Time fu pubblicato nel 1929. Contiene una selezione di 60 ritratti tratti dalla serie People of the Twentieth Century (Ritratti del Ventesimo Secolo). Qui puoi esplorare l’intero archivio Sander.
Un salto in avanti e siamo agli anni ’60 del XIX secolo. Anche il padre della Pop Art, Andy Warhol, ci ha regalato alti esempi di utilizzo della macchina fotografica per le sue potenzialità tecniche: i famosissimi ritratti di Marilyn Monroe o di Mao Zedong vanno nella direzione della poetica dell’automaticità resa esplicita dall’utilizzo della macchina.
Riproducendo all’infinito attraverso un mezzo tecnologico, e quindi senza intervento diretto dell’autore, il viso di personaggi famosi, Warhol li trasforma in oggetti di consumo tanto quanto le lattine di zuppa Campbell o le scatole di detersivo Brillo. Guarda  il video della mostra su Andy Warhol a palazzo Reale a Milano (24 ottobre 2013 - 9 marzo 2014) con molte opere di Wahrol
Chiudiamo con un italiano. Franco Vaccari (anni ’70) sperimentò un nuovo modo di utilizzare la fotografia, non più con intenti mimetici o rappresentativi, bensì come segno, come traccia di una presenza, di un'esperienza. Celeberrima, (1972, Biennale di Venezia) è Esposizione in tempo reale 4, che nel momento stesso in cui viene esposta mostra il meccanismo del suo farsi”.
Franco Vaccari ha basato la sua ricerca sul rapporto tra mezzi di comunicazione e processi artistici. In questa opera-performance l’artista espose una comune cabina per fototessere affiancata dalla scritta sul muro bianco “lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio”: il pubblico era invitato a fare la fototessera e attaccarla al muro. Alla fine dell’esposizione furono oltre 6000 le foto “esposte”. Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale - Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, 1972, Biennale di Venezia   Per approfondire il tema fotografia qui si trova un breve corso di storia della fotografia
 

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento