Aula di lettere

Aula di lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Come si parla
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Storia dell'arte

Cibo e arte: la natura morta

Cibo e arte sono legati in molti modi, ma una forma decisamente privilegiata sono i dipinti di nature morte. La natura morta in pittura ha una storia lunga ma anche piuttosto recente, come dimostrano le opere novecentesche dell'artista italiano Giorgio Morandi
di Simona Pinelli e Chiara Pilati Nel 2015 si svolgerà l’Expo di Milano, e il tema sarà il cibo, per il quale, insieme all’arte, l’Italia è famosa in tutto il mondo. Durante Expo non poteva quindi mancare una mostra tutta dedicata a questo rapporto: Art&Food, un percorso curato dal critico Germano Celant e ospitato dalla Triennale di Milano, dove capolavori della storia dell’arte dialogheranno con opere d’arte contemporanea commissionate appositamente. Parlare di arte e cibo è come parlare dello stesso DNA, di ciò che identifica un popolo o una nazione agli occhi del resto del mondo, senza trascurare che è proprio attraverso l’iconografia del cibo nelle varie epoche che oggi conosciamo tanto degli stili alimentari (e culturali) del passato, fin dalla più remota antichità.
Molto interessante a questo proposito è la rivista multimediale Taccuinistorici.it che offre una ricognizione completa delle varie modalità in cui è rappresentato il cibo nell’arte: dal pesce alla frutta, dai legumi alla verdura, dal vino alle stoviglie ma anche dal banchetto delle feste alle tante “Ultima Cena”, dalle botteghe alle taverne, dalle cucine ai refettori religiosi.
Osservando l’evoluzione della rappresentazione del cibo nell’arte, ci rendiamo però conto che il punto più elevato di questo dialogo è riposto in un genere per molto tempo ritenuto “minore” rispetto ai grandi temi della religione e della mitologia, in cui l’uomo è centro assoluto delle rappresentazioni: la Natura Morta, dove i protagonisti sono invece solo oggetti inanimati, spesso di fortissimo valore simbolico, sempre e comunque nitidi ritratti di lontanissime quotidianità. Il Cibo da oggetto a soggetto: la natura morta  «La natura morta rende immutabile, nella immobilità della posa, un frammento di tempo e di spazio che appartengono alla quotidianità a differenza del tempo del "sacro" e della "mitologia" che appartengono al "per sempre" (…): questo il cambiamento concettuale che occorre sottolineare, indipendentemente dall'eventuale portato simbolico che gli oggetti presenti possono aver contratto» (Alberto Veca in Evaristo Baschenis, 1997, tratto dal sito italipes.com). Quotidianità in cui cibo, scansione dei pasti e ricorrenze conviviali costituiscono il ritmo. E infatti le prime nature morte della storia partono dalla stretta vita domestica e sono rappresentate direttamente all’interno delle case: si tratta degli xenia (doni) e degli asarotos oikos (pavimento non spazzato) che vanno dal II sec a.C. fino al II d.C. I primi, dipinti direttamente sulle pareti della casa, rappresentavano i doni di benvenuto per gli ospiti; i secondi, spesso mosaici pavimentali, illustravano i resti dei banchetti che rimanevo sul pavimento, destinati ai parenti defunti.
Il più famoso esempio di asarotos oikos è questo mosaico conservato ai Musei Vaticani. Come si può vedere, gli scarti sono molto simili a quelli della nostra tavola di oggi, eseguiti con grande precisione e maestria. Con una piccola differenza: rispetto a oggi mancano gli imballaggi – e quindi i rifiuti erano molto più ridotti - e il “riciclaggio” del cibo, invece che nella raccolta differenziata finisce… nella pancia di un topolino! https://www.econote.it/wp-content/uploads/2013/01/337752_495477137165850_1312015540_o.jpg Asarotos oikos, mosaico da una villa di Vigna Lupi, Roma, II Sec. d. C. (copia romana di un originale di Sosos di Pergamo, II sec. a.C.), Roma, Musei Vaticani
Passano poi molti secoli prima che la Natura Morta si ripresenti come genere a sé. Nel Medioevo e fino alle soglie dell’Età Moderna gli oggetti erano rappresentati quasi solo per la loro valenza simbolica. Tantissime Ultima Cena, Nozze di Cana, Banchetto di Erode, diventano però via via ottimi pretesti per lanciarsi in raffinati virtuosismi stilistici in un trionfo di frutta e verdura, vassoi traboccanti di pesci e cacciagione, stoviglie, alzate, trasparenze di vetri e cristalli, trine e pizzi finissimi, sfarzose sale da pranzo o spoglie cucine descritte nei minimi particolari. Un dipinto che viene spesso portato ad esempio per la descrizione di un’altolocata tavola imbandita è lo splendido Banchetto di Erode di Filippo Lippi. Nella tipica modalità dell’epoca, vediamo Salomè comparire tre volte: a sinistra mentre riceve la testa del Battista, al centro mentre balla e a sinistra mentre si inginocchia con la testa davanti alla madre; è in quest’ultima parte che l’artista concentra la nostra attenzione sulla tavola con un’alzata di mele (sempre loro, il male, il peccato) piatti, coltelli, altri cibi tipici dell’epoca.
Filippo Lippi, Banchetto di Erode (dal ciclo di Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista), affresco, 1452-1465, Prato, Duomo (via Wikimedia Commons)
Nel Cinquecento si cominciano a diffondere i quadri di genere. Le “cose” diventano importanti: partendo dal Nord Europa, fanno capolino scene di mercati e cucine, cronache di feste e banchetti, interni di botteghe. Anche in Italia si comincia a sentire questo ”cambiamento”: già gli ironici ritratti di Arcimboldo hanno come protagonisti frutta, fiori, pesci, uccelli e le straordinarie scene di vita quotidiana di Annibale Carracci vedono in primo piano quarti di bue e piatti di fagioli.

Il mangiatore di fagioli di Annibale Carracci è, non a caso considerato un capolavoro, non solo per la capacità dell’artista di intuire, in epoca non sospetta, che tirava un’aria nuova, con la pittura di genere, ma anche per l’abilità di rendere un rozzo e umile paesano per quello che è, rozzo e umile senza intenti grotteschi. La minuziosa rappresentazione di un pasto popolare – vera e propria natura morta - non fa che perfezionare l’intenzione del pittore.

Annibale Carracci, Il Mangiafagioli, olio su tela, 1584-1585 circa, 57 x 68 cm, Roma, Galleria Colonna (via Wikimedia Commons)
E finalmente, nel ‘600, la Natura Morta è pronta ad affermarsi nella pittura al pari degli altri generi, in particolare nei Paesi Bassi e nelle Fiandre. La diffusione del protestantesimo aniconico, il sempre maggior ruolo della borghesia e la sua “fame” di vedere riconosciuto il suo status sociale, consentono una grande diffusione del genere, tanto che, pian piano, la figura umana scompare del tutto. In Italia, primo fra i primi – e non solo in questo caso -  Caravaggio “osa” sfidare l’iconografia a lui contemporanea dipingendo la celeberrima Canestra di frutta. La precisione fotografica con cui Caravaggio dipinse la sua canestra è a dir poco sorprendente, tanto che consigliamo di guardarlo da vicinissimo per coglierne al meglio i particolari; ogni frutto e ogni foglia diventa letteralmente un protagonista proprio come se fosse una rappresentazione sacra o mitologica. I frutti fragranti e succosi, che vengono verso di noi grazie ad un sapiente gioco di prospettiva, sembra abbiano voce propria, colti nell’attimo prima di raccontare le tante avventure che li hanno portati davanti a noi.
Michelangelo Merisi di Caravaggio, Canestra di frutta, olio su tela, 1599, 31 x 47 m, Milano, Pinacoteca Ambrosiana (via Wikimedia Commons)

Da questo momento in poi, i dipinti (e poi le sculture, le fotografie, le installazioni) di nature morte andranno di pari passo con gli altri generi; anche il cibo lascerà sempre più spazio ad altri oggetti, ad altri simboli, ad altre riflessioni.

La natura morta e la sua essenza: Giorgio Morandi

Guardando ora al ‘900, quando ci si sofferma a riflettere e analizzare il tema della Natura Morta, viene subito alla mente il nome di Giorgio Morandi, uno dei protagonisti della pittura italiana del secolo scorso e tra i maggiori incisori contemporanei al mondo. Il grande maestro nacque a Bologna nel 1890 e nella stessa città studiò all’Accademia di Belle Arti, insegnò, dipinse e morì nel 1964, nella sua casa di via Fondazza.

L'originale dimora, dove il maestro bolognese ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ha dato il benvenuto al pubblico il 17 ottobre 2009. In via Fondazza 36 i vasi, le bottiglie, le conchiglie e i modelli di studio hanno ritrovano il loro posto nell'atelier e nel ripostiglio, ricostruiti per apparire così come erano ai tempi in cui viveva l'artista. In questo trailer del documentario di Mario Chemello La polvere di Morandi, puoi vedere immagine della casa di Via Fondazza (www.lapolveredimorandi.com)
Dal canale youtube ImagoOrbis, il trailer del documentario "La polvere di Morandi"

Uomo riservato, dai tratti nobili, gentile sia nella vita privata che in quella professionale, Morandi ha fatto discutere Bologna per la sua personalità enigmatica ma fortemente positiva. La sua formazione si basa sullo studio dei grandi maestri, da Giotto a Piero della Francesca, da Chardin a Corot, fino a Cézanne e fin dagli esordi Morandi predilige come soggetti delle sue opere paesaggi, nature morte e fiori, che costituiranno i temi essenziali di tutta la sua opera e che lo renderanno famoso nel mondo a partire dal 1948 quando si aggiudica il Primo Premio per la Pittura alla Biennale di Venezia.

Nei dipinti della maturità di Morandi non troviamo più frutta e fiori ma vasi e bottiglie, brocche e bicchieri. Le "bottiglie” di Morandi, però, non sono semplici contenitori, ogni tela, che le ritrae in colori tenui e sfumati, illuminate da una luce impalpabile ma viva, ha qualcosa di magico, ipnotico. Sono semplici oggetti in grado di evocare in chi li osserva sensazioni delicate e avvolte di una serenità semplice e duratura. Sulla tela l’artista spoglia l'oggetto di ogni elemento superfluo per restituire, limpido, il sentimento del visibile. Il rigore formale delle Nature Morte morandiane, si accompagna a un'atmosfera silenziosa e contemplativa.

A Bologna si trova oltre alla Casa Morandi anche un Museo Morandi ospitato all’interno del Mambo (Museo d’arte moderna di Bologna) che ha una ricchissima collezione esposta per aree tematiche.

Clicca qui per consultare il sito del Museo Morandi all'interno del Mambo

Il museo bolognese programma spesso mostre in cui affianca opere di Morandi lavori di grandi artisti contemporanei per rintracciarne i punti di contatto e testimoniare quanto sia attuale l’influenza di Morandi sulla cultura visiva contemporanea internazionale. Fra questi c’è il celebre artista statunitense Wayne Thiebaud, spesso associato alla corrente pop, famoso per i suoi dipinti con soggetti come dolci, caramelle, chewing gum e hot dog. Il cibo torna a dialogare con le bottiglie perché da uno stesso terreno – il grande filone della Natura Morta – entrambi provengono e vivono. Thiebaud ha donato l’opera Tulip Sundae (2010), al Museo Morandi che rappresenta una coppa di gelato e che resta esposta in collezione a fianco di un celebre vaso di fiori.

Guarda su Flickr, cliccando qui, la galleria di immagini con le opere esposte durante la mostra al Museo Morandi (dal profilo flickr de il Fatto Quotidiano)

Immagine di apertura: natura morta con mele e arance, Paul Cézanne. Olio su tela, 1895, Parigi, Musée d'Orsay (via Wikimedia Commons). 

Immagine box: Michelangelo Merisi di Caravaggio, Canestra di frutta, olio su tela, 1599, 31 x 47 m, Milano, Pinacoteca Ambrosiana (via Wikimedia Commons)

 

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento