L’omicidio a Parigi, il 10 gennaio 2013, di tre donne alte dirigenti del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) riporta al centro dell’attenzione la questione curda, che si mostra particolarmente delicata perché s’intreccia con la difficile situazione del Medio Oriente e con la guerra civile siriana. Da qualche tempo erano in corso trattative fra il primo ministro turco Recep Erdogan e il capo degli indipendentisti del PKK Abdullah Öcalan (in carcere dal 1999), che avrebbe dovuto porre le basi per la soluzione di un conflitto ormai trentennale.
Gli osservatori vedono una molla alla trattativa nella guerra civile in Siria, dove nessuno sembra in grado di prevalere rapidamente. Il timore del governo turco (schierato in appoggio alla coalizione dei resistenti contro Assad) è che la Siria possa disgregarsi, con il sud in mano agli alawiti (sciiti) di Assad, il nord sotto gli oppositori sunniti. In questa situazione i curdi di Siria, che vivono in una piccola zona al confine turco, potrebbero formare una regione autonoma destabilizzando la contigua regione curda di Turchia.
In realtà le forze in gioco sono più numerose ancora e non è facile interpretare l’omicidio di Parigi. Le ipotesi degli osservatori sono tre. Potrebbe essere una faida interna al PKK, per fermare le trattative col governo turco. Potrebbe essere una provocazione di forze nazionaliste turche, legate a politici, settori delle forze armate o dei servizi, che intendono negare in maniera radicale la questione curda. L’omicidio potrebbe infine essere frutto di un intervento esterno, organizzato dai servizi siriani o iraniani per mantenere un potere di pressione sulla Turchia impedendo qualsiasi soluzione del problema curdo.