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Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(E. Montale, Non chiederci la parola, 1925)
Nella prolessi anticipiamo quello che succederà. È una figura molto usata in narrativa, e ha dato vita ad alcuni incipit clamorosi, come quello di Cent’anni di solitudine di Gabriel García Marquez:
«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio».
García Marquez, qui, gioca d’anticipo: ci dice che la sua storia durerà molti anni e coprirà molte generazioni, che un certo Aureliano Buendía finirà davanti a un plotone d’esecuzione – e dunque promette, implicitamente, che ci racconterà le vicende che l’hanno portato alla condanna – e anticipa che, davanti alla morte, egli penserà a un momento dell’infanzia.
Genera insomma in chi legge molta curiosità: perché Aureliano si trova lì? Che cosa è successo, prima? Che cosa vuol dire «conoscere il ghiaccio»? Tutta questa attesa è creata proletticamente, ossia dando in anticipo qualche informazione, sapientemente dosata, su certi accadimenti futuri.
A proposito di incipit e di prolessi
Nel 1938, l’editore americano New Directions si trovò davanti un bizzarro oggetto narrativo: la versione inglese, condotta dallo stesso autore, di un romanzo originariamente scritto in russo da Vladimir Nabokov. Si chiamava Una risata nel buio e cominciava così:
«C’era una volta un uomo che si chiamava Albinus, il quale viveva in Germania, a Berlino. Era ricco, rispettabile, felice; un giorno lasciò la moglie per un'amante giovane; l'amò; non ne fu riamato; e la sua vita finì nel peggiore dei modi».
Era, letteralmente, il riassunto della trama, vale a dire che il romanzo non è che lo sviluppo dei fatti contenuti in queste tre righe, che vengono anticipati da una prolessi che non lascia spazio, per chi legge il romanzo, a nessuna sorpresa.
Perché Nabokov fece una cosa del genere? Nessuno lo sa. Eppure, leggere un romanzo il cui sviluppo è tutto annunciato nel suo attacco ha qualcosa di intrigante, come se fosse una sfida al contrario: vediamo se è vero che Albinus è felice, ci si chiede leggendo, vediamo se l’amante davvero non lo ama. La letteratura, in fondo, può anche essere una sfida e un gioco.
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