Guarda un breve documentario sull'Italia e la Grande Guerra:
Il prigioniero che imprigiona
Ma l’antonomasia è una figura prigioniera. La si può attribuire a qualcuno o a qualcosa, che automaticamente diventa "il" o "la" cosa "per antonomasia". È essa stessa prigioniera dell’espressione "per antonomasia": senza quel «per» quasi non la si può nominare, come non si nominano i ghingheri al di fuori dell’espressione "in ghingheri". Si vendica a sua volta imprigionando: una volta attribuita – ossia una volta che qualcuno diventa qualcosa "per antonomasia" - non abbandona più il suo oggetto, ma lo segnala, lo definisce e lo tramanda rimanendogli appiccicata e, a volte, facendolo perfino diventare uno stereotipo: provate infatti a dare a intendere che il "Sommo poeta" è Tasso, nessuno vi capirà.
Immagine in apertura: Gustave Courbet, "Autoritratto a Sainte Pelagie", 1872 (via Wikipaintings)
L’antonomasia in prigione
Figura retorica a metà strada tra la sineddoche e la perifrasi, l'antonomasia ha regalato alla lingua italiana espressioni e denominazioni ormai scolpite nell’uso comune: Garibaldi è "l’eroe dei due mondi", Maradona "il pibe de oro"; un uomo bellissimo è "un adone", una spiaggia esotica "un paradiso terrestre". E la prima guerra mondiale è diventata la "Grande guerra".