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Nella mente dell'atleta

Oltre a medici e allenatori gli sportivi oggi ricorrono anche alla figura dello psicologo dello sport, che insegna all'atleta come usare al meglio un organo tutt'altro che secondario: la mente.
In un racconto del 1973, intitolato I maghi dello stadio, lo scrittore Gianni Rodari immagina che alla guida del Barbarano, un'oscura squadra di calcio di provincia, i cui giocatori hanno nomi emblematici come Brocco I, Brocco II ecc, capiti un vero e proprio mago, capace di provocare allucinazioni negli avversari e di spostare la palla con la sola forza del pensiero. Da quel momento il Barbarano scala tutte le classifiche e vince ogni competizione. Nessuno è in grado di sottrarsi alle allucinazioni del mago, ma neppure ha il coraggio di confessare di aver visto un pianoforte a coda arrivargli addosso o un anaconda fargli lo sgambetto, lasciando liberi Brocco I e tutti i suoi omonimi di collezionare gol su gol. Rodari era forse stato sedotto dalla figura di Helenio Herrera, celebre allenatore dell'Inter negli anni Sessanta, spesso ricordato come il “mago”. Oggi, a distanza di molti decenni, in un'epoca di scienza e di tecnica, i maghi del pallone sembrano sempre meno maghi e sempre più politici e comunicatori, che nel loro arsenale hanno una nuova arma: la psicologia dello sport. Che cosa fa uno psicologo dello sport Come disciplina, la psicologia dello sport non è nuova, ma risale almeno agli anni Cinquanta, anche se a lungo ha vissuto in modo più o meno sotterraneo. I suoi fondamenti sono radicati nelle correnti della psicologia moderna, soprattutto nel cognitivismo e nel costruttivismo, secondo le quali la nostra mente può sbagliare (così come possono essere sbagliate la postura di un corridore o la presa di un ginnasta), ma un buon psicologo può aiutarla a correggere gli errori di cognizione, la percezione di sé, degli altri e delle situazioni. Uno psicologo dello sport interviene in molti ambiti: insegna le tecniche di rilassamento e di comunicazione; spiega come aumentare la concentrazione; suggerisce esercizi mentali per incrementare le prestazioni. Insomma, non mette lo sportivo sul lettino per sondarne i sogni, ma indirizza processi mentali e fisici verso un obiettivo: la prestazione. Lo psicologo non si occupa quindi del corpo, ma di come la mente può sfruttare il corpo al meglio. In una situazione ideale, possiamo immaginare lo psicologo come un membro dello staff tecnico a tutti gli effetti, un “consigliere del principe”, che spiega all'allenatore come gestire un gruppo di atleti giovani, pieni di energie, ma anche ribelli ed egocentrici. La psicologia al servizio di una squadra Molti sport si praticano in squadre e anche una squadra è un oggetto psicologico interessante. Una squadra, infatti, non è un gruppo casuale: ha una finalità comune, riconosce autorità esterne, come l'allenatore e i dirigenti, ma al proprio interno ha propri leader naturali. Inoltre, una squadra ha, o dovrebbe avere, una sua identità ed è animata da uno spirito di collaborazione, anche se gli atleti sono spesso in competizione tra loro per un posto da titolare. In una situazione ideale il “gruppo squadra” viene costruito in più fasi (spiegano Marisa Muzio e Luca Argenton nel saggio Guardare avanti, in F. Nascimbene, Guida alla psicologia dello sport, Libreria dello sport, Milano 2011): viene reso consapevole del contesto in cui si trova, costruisce relazioni interne, impara a esprimere e a gestire in modo proficuo i contrasti, diventa capace di risolvere i problemi e accogliere elementi nuovi. Tutte queste fasi corrispondono a un miglioramento della prestazione, all'armonia del gioco, alla disciplina e alla gestione delle emozioni (per esempio, all'apice di questo percorso di formazione, i giocatori non sbraitano più contro le decisioni arbitrali, ma le accettano con compostezza). Entrare nella mente dello sportivo Qualche volta una squadra sembra raggiungere un traguardo miracoloso: gioca bene, ottiene risultati, gli atleti rendono il massimo, il clima dello spogliatoio è armonioso. In questo caso a compiere la magia è stato spesso l'allenatore, che alle competenze tecniche ha unito quelle di una psicologia spontanea o coltivata sui libri e ha saputo capire i giocatori, comunicare con chiarezza le proprie idee e motivarli. In alcuni casi le squadre ricorrono a un mental coach, come ha fatto la nazionale di rugby italiana nel 2007, per rendere gli atleti più consapevoli di tutto ciò che sta loro accadendo.
Qui trovi un riferimento alla figura del mental coach
L'incantesimo della motivazione Motivare è il nuovo incantesimo che l'allenatore deve saper praticare sugli atleti (non pensiamo solo ai ricchi giocatori di una squadra di calcio di serie A, ma anche a chi gioca in serie inferiori, o ad atleti di sport “minori”, cioè più poveri). Come motivare l'atleta pigro o depresso? Chi sembra destinato a scaldare la panchina e a non scendere mai in campo? Il bravo allenatore si muove in un orizzonte complesso: deve capire come motivare gli atleti, ma anche, più semplicemente, quali atleti non sono adattati a certe gare per via delle loro motivazioni. Giovannini e Savoia (in Psicologia dello sport, Carocci, Roma 2002), per spiegare questo concetto, propongono l'esempio delle squadre di nuoto a staffetta: perché in alcuni casi, nelle squadre nazionali, non è presente il nuotatore più forte, quello in grado di vincere le gare individuali? La ragione è semplice: talvolta il grande campione è meno motivato al successo di gruppo rispetto al successo individuale e quindi, nella gara a squadre, renderebbe meno di un altro atleta, meno dotato, ma più votato al successo collettivo.
Qui trovi alcune considerazioni sul rapporto tra allenatore e giocatore
Torniamo ora ai maghi dello stadio. Nel racconto di Rodari la magia prende il sopravvento sullo sport. Un giorno, infatti, il Barbarano affronta il Robur dell'Inghilprussia, guidato anch'esso da un mago. Il campo si popola di folletti, orchi e altri personaggi da fiaba. I giocatori, alle prese con queste bizzarre creature, si dimenticano di giocare fino a quando compare il pifferaio di Hammelin che al suono del flauto porta tutti fuori dallo stadio: giocatori, allenatori, spettatori e fa loro dimenticare il calcio per tre mesi. Una fine poco gloriosa per dei maghi del pallone, ma un salutare monito per ogni allenatore a dosare con cura le tecniche per la vittoria. Immagine di apertura: "Staffetta 3000 m short track, italiane medaglia di bronzo", di Marco Armellino (via flickr) Immagine per il box: "Six Nations 2013: Italy v Wales", di Simone Ramella (via flickr)

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