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Storia e Geografia

24 maggio 1915. L’Italia entra in guerra

L'Italia entra in Guerra dieci mesi dopo l'inizio del primo conflitto mondiale. Le ragioni di questa scelta e le perplessità suscitate.
Il 24 maggio 1915 è il giorno in cui l’Italia fece il suo ingresso come Stato belligerante nella prima guerra mondiale, circa dieci mesi dopo l’inizio vero e proprio del conflitto tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1914. Le modalità dell’intervento italiano hanno sempre suscitato molte perplessità. Com’è infatti ben noto, alla vigilia della guerra l’Italia era legata alla Germania e all’Austria-Ungheria dal trattato della Triplice Alleanza, siglato trent’anni prima (1882) e poi più volte rinnovato nei decenni seguenti. Quando iniziarono le ostilità, tuttavia, essa proclamò la propria neutralità (1-2 agosto 1914) per poi avvicinarsi poco per volta alle potenze della Triplice Intesa: Gran Bretagna, Francia e Russia. È con esse che il governo italiano firmò il 26 aprile 1915 il patto di Londra, rimasto segreto fino al 1917, impegnandosi a intervenire al loro fianco. Ed è con esse, e quindi contro i suoi vecchi alleati, che l’Italia prese effettivamente parte alla Grande Guerra. A partire, per l’appunto, dal 24 maggio 1915, quando ebbero inizio le prime (fallimentari) offensive del generale Cadorna sull’Isonzo contro l’Austria-Ungheria. Le ragioni della condotta dell’Italia alla vigilia e nei primi mesi della guerra sono estremamente complesse. Esse sono state talora liquidate come espressioni dell’ennesimo «giro di valzer» – la formula fu coniata dal cancelliere tedesco Bernhard von Bülow nel 1902 – di un paese strutturalmente inaffidabile. Spesso sono state oscurate da un’attenzione prevalente alle dinamiche interne dello scontro politico, ideologico e culturale tra interventisti e neutralisti. È rimasto invece sullo sfondo il complicatissimo gioco delle cancellerie europee con cui l’Italia si misurò tra l’estate del 1914 e la primavera del 1915. È proprio su questo sfondo che si devono ricercare molte delle ragioni più specifiche delle scelte e delle decisioni del governo italiano e della monarchia nella gravissima crisi che portò dall’attentato di Sarajevo alla guerra e alle prime ferocissime battute del conflitto. Del resto, prima di diventare definitivamente una «guerra di popoli», una «guerra totale», il primo conflitto mondiale fu infatti, almeno ai suoi inizi, una «guerra di governi»: una guerra tradizionale di gabinetti, cancellerie, diplomazie. Le ricerche più recenti – si veda in proposito il bellissimo volume di Christopher Clark I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla grande guerra, Laterza, Roma-Bari 2013 – stanno tornando a insistere su questo punto. Il caso italiano lo illustra in modo esemplare. La scelta della neutralità non rappresentò infatti il trionfo di una qualche propensione più generale alla pace delle masse contadine e operaie assecondate dal vecchio e saggio Giolitti e non fu nemmeno soltanto una reazione, più che giustificata, alla politica aggressiva e sprezzante di Vienna. Allo stesso modo la successiva decisione di intervenire a fianco dell’Intesa non fu il prodotto di una repentina conversione alla guerra e al bellicismo in nome della nazione e della sua «sacra missione», agitata con particolare virulenza dai fanatici del «radioso maggio». Quella scelta e quella decisione furono piuttosto il frutto dei freddi calcoli di una ristrettissima classe di governo e della monarchia, decise a trarre il massimo vantaggio (non solo le terre irredente, ma anche colonie e compensi nei Balcani) dai drammatici eventi che ebbero inizio nell’estate del 1914: dapprima con la neutralità e successivamente, caduta l’ipotesi di una vittoria fulminante degli imperi centrali su Francia e Gran Bretagna, con l’intervento a sostegno delle forze dell’Intesa. Il quale costituì – com’è stato detto – un vero e proprio «azzardo», giocato spregiudicatamente in nome sì della nazione, ma anche e soprattutto della politica di potenza e di conquista.

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