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I nomi della paura all’epoca del Covid-19: psicosi, fobia, angoscia

"Paura", ma anche "psicosi", "angoscia" e "fobia". Sono parole che usiamo e stiamo sentendo molto spesso in questo periodo segnato dall'emergenza sanitaria. Andiamo a conoscere più da vicino come la psicologia definisce e studia questi termini
L’epidemia del Covid-19 è nata come un problema medico, ma di lì a poco ha investito tutte le dimensioni della nostra esistenza. È nata in un paese che sembrava lontano, la Cina, ma ha saputo sfruttare le connessioni della globalizzazione per diffondersi rapidamente. Ha stimolato la ricerca, ma anche provocato un’ondata di notizie fasulle. Molto presto, quindi, esperti e mass media sono intervenuti con un avvertimento generale« Niente psicosi, ma... ». Le parole, però, sono raramente una descrizione neutra della realtà : suscitano reazioni emotive, stimolano rimandi ed associazioni di idee, contengono messaggi più o meno espliciti. Cerchiamo quindi di chiarire il significato delle parole della paura.  

La paura

Senza paura la nostra vita rischierebbe di essere molto breve: mancherebbe un freno emotivo importante che ci tiene lontani da un burrone, da un cibo dall’odore sospetto, da un vicolo buio in un quartiere malfamato. Per contro, una paura immotivata e irrazionale condiziona pesantemente le nostre vite : per paura degli squali, potremmo decidere di non fare mai il bagno al mare e il timore del cloro potrebbe tenerci lontani anche dalle piscine. In alcuni casi, le paure sono reazioni naturali e motivate; in altri, sono fondate ma amplificate dalla nostra mente ; in altri ancora, sono solo il frutto di un’alterazione della nostra psiche. Dalla parola « paura » dobbiamo allora distinguere alcuni termini, come psicosi, fobia e angoscia, che spesso si usano nel linguaggio comune per indicare paure diffuse nella società, ma che hanno un saldo radicamento nella riflessione psicanalitica.  

La psicosi

Di fronte alla diffusione di un rischio, come nel caso di una malattia o di ripetuti atti criminali, la parola che viene utilizzata per indicare una paura profonda,diffusa, che supera i limiti della ragionevolezza è psicosi. Il termine "psicosi"  è in uso da tempo in psicologia, anche se oggi non ne esiste una definizione univoca ed essa indica in generale un quadro di sintomi. Sigmund Freud adotta questo termine per distinguere un gruppo particolare di patologie mentali diverse dalle nevrosi. In che cosa consiste tale distinzione ?
Puoi rivedere brevemente qui la vita di Freud https://biografieonline.it/biografia-sigmund-freud
In un breve scritto del 1923, intitolato Nevrosi e Psicosi, Freud ricorda che l’Io è soggetto a notevoli pressioni da parte dell’Es, la componente pulsionale della psiche, e della realtà esterna. Sulla base di questa considerazione,lo psicoanalista viennese formula una distinzione genetica tra nevrosi e psicosi : la prima ha origine da un conflitto tra l’Io e l’Es, la seconda da un conflitto tra l’Io e la realtà. All’origine della nevrosi vi è dunque la rimozione di desideri e ricordi che non devono emergere alla consapevolezza : la dinamica che porta alla nascita della nevrosi  è quindi tutta interna. Nel caso di alcune  psicosi sembra invece che il mondo esterno non venga percepito o che la sua percezione non sortisca alcun effetto. Più in generale, una psicosi nasce da una frustrazione : in qualche caso  l’Io sta dalla parte del mondo esterno e sacrifica la sua parte pulsione (e con ciò potrebbe nascere una nevrosi), in altri invece si fa sopraffare dall’Es ed è come strappato via dal mondo (e il soggetto diventa quindi psicotico). Successivamente Freud precisa meglio che nella psicosi il soggetto rinnega la realtà e cerca di rimpiazzarla, pescando materiale dalla fantasia. Talvolta la realtà si ripresenta però al soggetto sotto le sue autentiche sembianze, provocando attacchi di angoscia. Lo psicotico è dunque affetto da forme di allucinazioni e deliri. Questa spiegazione dell’origine del termine ci fa capire che quando parliamo di psicosi in termini non tecnici finiamo comunque per alludere a una percezione alterata della realtà. In poche parole, temiamo un mondo che non corrisponde a quello effettivamente esistente all’esterno della nostra mente. Di qui l’uso frequente del termini « psicosi » nei giorni del coronavirus, per ricordare di tenere sotto controllo i nervi e informarsi da fonti attendibili.  

Fobie e pensiero magico

In altri casi la paura appare più una forma di fobia, come le reazioni estreme di fornte a microbi,  cavalli o spazi aperti. Le fobie sono considerate da Freud un sintomo di conflitti più profondi. Il suggerimento che viene dalla psicoanalisi è quindi di non fermarsi a una considerazione superficiale, ma di chiederci sempre il senso delle nostre paure. Dietro il legittimo timore che si prova in certe circostanze, e che può indurci a mettere in atto misure necessarie alla nostra tutela, infatti, potrebbero nascondersi forme patologiche che attendono solo l’occasione per emergere. È una considerazione che propone lo psicosociologo francese Sylvain Délouvée, secondo il quale alcune circostanze è come si riattivasse un modo di pensare arcaico e magico, che associa il toccare un oggetto o una persona al trasferimento di proprietà benefiche o nocive.  

Le forme dell’angoscia

Ma che fare quando, dietro l’incombere degli eventi, sembra che la linea di divisione tra cautela ragionevole e comportamento patologico sia confusa e indistinguibile? Quanto meno ricordare che la conoscenza è un’arma potente, perché come sottolinea Freud (Inibizione, sintomo e angoscia, 1925), la paura si prova per un oggetto, l’angoscia reale è una paura sproporzionata, mentre l’angoscia nevrotica è una paura più profonda legata alle pulsione interne. Fare chiarezza sul nostro tipo di timore è un primo passo avanti per gestire le situazioni di tensione.

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