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Il femminicidio è l’omicidio di una donna?

Il femminicidio è l’omicidio di una donna?

No, questa non è una buona definizione. Capire perché non lo sia è utile per chiarire una delle più frequenti perplessità in tema di femminicidio: se già esiste il reato di omicidio, che copre indistintamente l’uccisione di uomini e donne, che bisogno c’è del femminicidio? Questo interrogativo se ne porta dietro altri: perché mai le donne dovrebbero godere di un autonomo tipo di reato? Forse uccidere una donna è più grave che uccidere un uomo? Non è questa un’indebita ipervalorizzazione della donna rispetto all’uomo, in contrasto col principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione (“tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”)? Vediamo quindi di fare chiarezza usando gli strumenti del diritto, della sociologia criminale e della statistica.  

Come riconoscere un femminicidio

Immaginiamo che un automobilista investa una donna causandone la morte. Oppure pensiamo a un rapinatore che irrompe in banca e spara alla cassiera, uccidendola. Sono questi due casi di femminicidio? Anche intuitivamente sappiamo che la risposta è negativa. E infatti, come dicevamo, non tutti gli omicidi che abbiano per vittima una donna sono femminicidi. Certamente per parlare di femminicidio occorre che la vittima sia una donna, ma non basta. Servono altri due elementi.
  1. Un preciso contesto relazionale fra uccisore e vittima. Il delitto dev’essere maturato nell’ambito dei rapporti affettivi-sessuali-familiari. Statisticamente, il caso di gran lunga più frequente è quello del marito che uccide la moglie (49,5%), seguìto dal caso dell’ex marito/partner che uccide la ex moglie/ex compagna (11,7%). Ma può trattarsi anche di un altro familiare, come il padre, il fratello, lo zio.
  2. Le motivazioni che muovono l’omicida. Immaginiamo che moglie e marito litighino furiosamente per una questione di eredità e al culmine della lite lui uccida lei. Questo non è un femminicidio perché manca un elemento necessario. E cioè una dinamica di dominio e possesso da parte di chi uccide sulla vittima. Una dinamica che non tollera gesti di autonomia, distacco, indipendenza da parte della donna.
Per esempio, il femminicida uccide per un (reale o presunto) tradimento, o per l’incapacità di accettare la fine di un rapporto o l’inizio di una nuova relazione da parte della ex moglie/compagna. A tale proposito vale la pena sottolineare che la gelosia non è mai una scusante. L’idea dell’omicida “folle di gelosia”, e perciò in qualche maniera scusabile perché fuori di sé, è priva di ogni fondamento giuridico. Il codice penale (articolo 90) lo dice espressamente: gli “stati emotivi e passionali” non hanno alcuna rilevanza. Anche perché, altrimenti, si arriverebbe al paradosso per cui quanto più una persona è collerica e incline a perdere la testa, tanto più viene premiata da uno sconto di pena. Per avere uno sconto di pena è necessario che ci sia un vizio di mente. E la gelosia non è una patologia mentale.  
Le news ai raggi X La morte di Agitu Gudeta: un caso di femminicidio? Nel dicembre del 2020 un delitto colpisce profondamente l’opinione pubblica. La vittima è una donna stimata e conosciuta, Agitu Gudeta. Etiope, trapiantata da molti anni sulle montagne trentine, Agitu era diventata un simbolo di integrazione e imprenditoria femminile di successo: faceva la pastora in val Mochena, contribuendo a salvare dall’estinzione una specie locale di capra e producendo formaggi in modo biologico e tradizionale. Fino a quando un dipendente della sua piccola azienda agricola, per un dissidio economico, la uccide a martellate. Il giorno dopo, molti Tg e giornali titolano la notizia usando il termine femminicidio. Ma è un uso corretto del termine? Perché? Argomenta la risposta in almeno 15 righe.
 

Le dimensioni del fenomeno

La nozione di femminicidio è di matrice sociologico-criminologica, ed è stata introdotta per identificare una precisa casistica di omicidi, concettualmente distinta da altre forme di violenza. Per coglierne meglio la specificità ci vengono in soccorso le statistiche. Prendiamo in considerazione quelle pubblicate dall’Istat (Istituto nazionale di statistica), dal Ministero della Giustizia e dal Ministero degli Interni.
  • In Italia si registra circa una vittima di femminicidio ogni tre/quattro giorni (nel 2020 le vittime sono state 112; 111 nel 2019 e 133 nel 2018).
  • Ma quanto “pesano” i femminicidi sul totale degli omicidi di donne? Le statistiche giudiziarie riportano che su 100 casi di omicidi di donne, 85 sono femminicidi. Gli altri 15 sono dovuti per lo più a rapine finite tragicamente e al crimine organizzato. È chiaro quindi che se si riuscisse ad abbattere il numero dei femminicidi, si avrebbe un’immediata riduzione degli omicidi femminili, con un enorme beneficio in termini di vite salvate.
  • A questo punto è lecito chiedersi se esista, e che rilevanza abbia, il fenomeno reciproco: quante sono le donne che uccidono i loro uomini? La domanda è rilevante perché se gli omicidi di uomini per mano della partner fossero statisticamente apprezzabili, non ci sarebbe ragione per parlare solo di femminicidio e non, anche, di “maschicidio”.
Il grafico Istat classifica le vittime di omicidio, uomini e donne, in base alla relazione che avevano con l’omicida. Prendiamo i dati maschili (2019). Su 100 uomini vittime di omicidio, il 64,2% è vittima di uno sconosciuto/non identificato; quelli uccisi dalla partner/ex partner sono il 5,4%. Ma se guardiamo agli omicidi femminili la situazione si ribalta: il 61% è vittima del partner o dell’ex, mentre le vittime di sconosciuti sono l’11,7%. In conclusione, esistono moltissimi tipi di reati commessi tanto da uomini quanto da donne, in misura assolutamente equivalente. Ma in questo specifico ambito c’è un’evidente asimmetria di genere fra offensore e vittima. Ecco perché si parla di femminicidio e non di maschicidio. Con una precisazione probabilmente superflua: quando sono le donne a uccidere il partner per ragioni di gelosia e possesso, ovviamente vanno incontro a una condanna per omicidio, anche in forma aggravata, esattamente come quando a uccidere è un uomo. Ma poiché si tratta di casi episodici, non assurgono a una categoria criminologica ad hoc. Resta ora da aggiungere alla nostra analisi la dimensione diacronica. È cambiato qualcosa negli ultimi 30 anni?  

Le due curve a confronto

In questo grafico l’Istat presenta l’andamento degli omicidi dai primi anni Novanta a oggi. La curva aggregata (uomini+donne) mostra un calo evidente. Ma se andiamo a scomporre il dato, notiamo che mentre il numero degli omicidi maschili è fortemente diminuito, grazie soprattutto al calo degli omicidi legati alla criminalità organizzata, le vittime donne sono rimaste stabili. La curva è quasi piatta. Come si spiega? Abbiamo visto che negli omicidi di donne la componente decisiva è rappresentata dai femminicidi (circa l’85%). Ebbene, il principale motivo per cui in trent’anni la curva è rimasta piatta è perché il numero dei femminicidi si è mantenuto tendenzialmente costante, nonostante i cambiamenti avvenuti nella società, nel costume, nell’avvicendarsi delle generazioni. Ecco perché è fondamentale attuare politiche adeguate, non solo repressive ma preventive, investendo sul terreno dell’educazione alla parità, della gestione della frustrazione, della rabbia, e dell’abbandono e della gelosia. E del riconoscimento precoce dei segnali di violenza di genere.  

La violenza di genere e la conferenza di Istanbul

Il femminicidio è la punta estrema di un fenomeno più ampio, quello della violenza di genere. In quest’ambito un importante riferimento a livello internazionale è la Convenzione di Istanbul [1] del 2011. Dalla Convenzione impariamo che la violenza di genere può manifestarsi in diverse forme.      

Che cosa prevede la legge italiana?

L'on. Lucia Annibali (foto: dati.camera.it)
In anni recenti il Parlamento ha introdotto una serie di misure per contrastare la violenza di genere e prevenire il femminicidio. Le misure vanno a colpire più duramente una serie di comportamenti abusanti come i maltrattamenti in famiglia, lo stalking, la violenza sessuale. In questi casi le vittime hanno diritto all’assistenza legale gratuita. Il giudice può vietare al soggetto abusante di avvicinarsi a meno di 500 metri dalla vittima. A tal fine, la legge del 2019 chiamata “Codice rosso” consente il controllo tramite braccialetto elettronico. La stessa legge ha introdotto pene molto severe (fino a 14 anni di carcere) per lo sfregio permanente al viso, come accaduto nelle purtroppo note vicende di Lucia Annibali e Jessica Notaro. Però attenzione, queste leggi non hanno introdotto il reato di femminicidio in quanto tale, che resta una categoria sociologica e criminologica. Tutt’ora quindi, aprendo il codice penale, continuiamo a trovare il solo reato di omicidio, valido tanto per gli uomini quanto per le donne.    
Donne vittime di violenza: a chi rivolgersi? Che cosa fare?
  • Una prima risorsa è il telefono rosa antiviolenza e antistalking: il numero è 1522. Esiste anche la App 1522, che consente di chattare con operatrici specializzate.
  • Ogni donna può rivolgersi ai centri antiviolenza, strutture diffuse in tutta Italia (sul sito del Dipartimento delle pari opportunità si trova la mappa interattiva) che offrono diversi servizi. Fra questi, l’ospitalità nelle cosiddette case rifugio, che consentono alle donne di uscire di casa e trovare accoglienza anche con i figli minori, con tutte le accortezze per evitare una denuncia per sottrazione di minori.
  • Se la violenza è in atto, chiamare il 112, senza esitare né rimandare.
  • Rivolgersi al Pronto Soccorso: gli operatori sociosanitari, oltre a fornire le cure mediche, sanno indirizzare la persona vittima verso un percorso di uscita dalla violenza.
  • Per lanciare una richiesta di aiuto silenziosa, in pubblico o in call, c’è un apposito gesto da fare con la mano, illustrato qui. Chi nota il gesto è invitato a chiamare le forze dell’ordine o il 1522.
 

Le molestie verbali (catcalling)

Tra le molestie di genere rientrano anche le cosiddette molestie verbali da strada (catcalling): apprezzamenti, fischi, gesti, strombazzi e avance sessuali in aree pubbliche come strade, centri commerciali, parchi e mezzi di trasporto. A lungo considerato come fenomeno di costume tutto sommato innocuo, il catcalling è ora oggetto di una rivalutazione negativa, come manifestazione di molestia di genere. Nel 2018 la Francia ha approvato una legge che sanziona il catcalling con multe fino a 750 euro. Nel nostro Paese l’attenzione al fenomeno è crescente, soprattutto da parte delle generazioni più giovani e alla mobilitazione sui social.   [1] “Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”. La violenza domestica include anche violenze contro bambini, anziani e in generale i membri della famiglia senza riferimento al genere. Nel 2021 la Turchia, dove la Convenzione era stata siglata, ha clamorosamente revocato l’adesione per volere del governo Erdogan.  

ATTIVITÀ DI FINE CAPITOLO

GLOSSARIO CIVICO
  • In questo capitolo hai incontrato alcuni concetti chiave, come:
femminicidio; violenza di genere; violenza economica; violenza psicologica; stalking; catcalling.
  • Con le tue compagne e compagni di classe crea un file condiviso su Google Drive. Lavorando in modo cooperativo scrivete, per ogni concetto chiave, la definizione e almeno un esempio.
Potete arricchire il vostro glossario civico con ulteriori contenuti, link, immagini, collegamenti interdisciplinari, documentandovi in base alle vostre curiosità e interessi. COMPITO DI REALTÀ “Uno spot per il 25 novembre” Lo spunto In occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la vostra classe è stata incaricata di preparare materiale informativo per le studentesse e gli studenti della scuola. Risultato atteso Creare uno spot informativo utilizzando la fotocamera dello smartphone o, in alternativa, creare una presentazione PowerPoint. Fasi del lavoro
  • Fase 1, a scuola: Dividetevi in quattro gruppi, ciascuno si occuperà di uno dei seguenti argomenti:
1) cos’è il femminicidio: definizione e statistiche (cercate le più recenti); 2) la Convenzione di Istanbul e i tipi di violenza di genere; 3) che cosa prevede la legge italiana; 4) che cosa fare in caso di violenza di genere. Ogni gruppo prepara la sceneggiatura dello spot (contenuti, dialoghi, ambientazione, etc.) tenendo presente a) il target: ragazzi/e della vostra età; b) lo scopo: riuscire a comunicare informazioni in modo esatto e accurato; c) la durata: al massimo 30 secondi; d) il titolo: efficace e coerente.
  • Fase 2, a casa: Una volta stesa la sceneggiatura, il gruppo divide i ruoli (attori, registi, addetti al montaggio e agli effetti, voce fuori campo) e realizza lo spot.
  • Fase 3, a scuola: Ogni gruppo presenta il video alla classe spiegando brevemente l’idea che ha voluto sviluppare. In alternativa, ciascun gruppo realizza una presentazione in Power Point presentandola a turno alla classe.

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