Per approfondire, puoi scaricare il documento (in inglese) "House and Holmes: A Guide to Deductive and Inductive Reasoning"
Naufragare su un archetipo
Lost ha messo 48 possibili declinazioni di Robinson Crusoe su uno dei più classici archetipi della narrativa di sempre: l’isola deserta. I 48, sopravvissuti al più moderno dei naufragi, un disastro aereo, passano le prime puntate a imparare a sopravvivere nella natura. Ma ben presto i protagonisti capiscono di trovarsi in un luogo strano: l’isola è un’isola misteriosa. Non compare sulle mappe, vi accadono fenomeni inspiegabili e soprattutto sembra averli “chiamati” a sé per qualche motivo. È abitata da un numero di coloni che furbescamente gli sceneggiatori hanno chiamato "gli altri": per sviluppare il tema dell’incontro con il “diverso” non c’è modo più facile. Al cronotopo robinsoniano, Lost aggiunge con il prosieguo della vicenda una serie di trovate sempre più sorprendenti che complicano la trama e inseriscono un altro cronotopo classico: quello del viaggio nel tempo. I personaggi visitano l’isola nel corso della sua storia e ogni loro viaggio ha ricadute sulla vicenda principale, nel presente.
Qui puoi guardare le prime cinque stagioni di Lost in 40’.
La ricaduta sull’immaginario
Sono le serie tv, insieme ai grandi videogiochi, i nuovi padroni dell’immaginario contemporaneo: è significativo tra l’altro che il pubblico della nuova televisione possieda generalmente una cultura medio-alta. Negli Stati Uniti, a proposito di un’altra delle serie più amate e seguite di questi anni, I Soprano, è stato il New York Times a decretare che si tratta della "più grande opera di cultura pop americana dell’ultimo quarto di secolo".
Si tratta, insomma, di grandi narrazioni a puntate (come lo erano le opere di Dickens o Dumas) i cui personaggi ormai entrano nei discorsi delle persone molto più facilmente che i protagonisti dei romanzi contemporanei: è difficile che qualcuno, per descrivere un personaggio malvagio e sprezzante, nomini il Maximilian Aue delle Benevole di Jonathan Littell – che pure è un capolavoro riconosciuto ed è stato un bestseller mondiale; c’è qui pronto il Walter White di Breaking Bad, la cui parabola è una riedizione di un altro grande archetipo della narrativa: la discesa agli inferi, il viaggio iniziatico nella “selva oscura” del vizio e della delinquenza. In una parola, del male: è la storia di un professore in crisi (economica e personale) che, una volta scoperto di essere affetto da una malattia mortale, decide di dare un futuro degno ai suoi famigliari mollando tutto e spacciando droga purissima. Inizia così una discesa nei bassifondi della malavita: ogni puntata ruota attorno a un dilemma etico che White, il professore, deve affrontare. Egli ha distrutto la propria vita, ma ha deciso di distruggere anche quella degli altri. È insomma un personaggio che, se all’inizio muove a pietà, con il passare delle puntate diventa più cinico, indifferente e crudele. Breaking Bad è la parabola dell’uomo qualunque messo di fronte al male – di cui è in parte responsabile.
L’immaginario contemporaneo si nutre sempre più di queste nuove forme di narrazione: si aspetta una nuova stagione come, un tempo, i lettori aspettavano l’uscita settimanale dei feuilleton ottocenteschi. Oggi si parla delle serie come si parlava del cinema: lo stesso Bernardo Bertolucci, invitato all’American Academy di Roma, nel 2013 ha detto: "I film che mi piacciono oggi non arrivano da Hollywood, ma dalle serie tv come Mad Men, Breaking Bad, The Americans".
Leggi l'intervista di Bernardo Bertolucci a proposito serie tv su Reuters.
Cambiano le forme, non le regole
La letteratura, o meglio gli archetipi della narrazione, sembrano comunque essere il compagno-ombra delle serie tv: tutti i grandi motivi che hanno reso grande, nel corso dei secoli, l’arte della narrativa sono oggi rovesciati in questi enormi e costosi contenitori di immagini, che dai romanzi traggono spunti per i personaggi o rinverdiscono vecchi archetipi narrativi. C’è Conan Doyle dietro il Dr. House, Defoe e Stevenson dietro Lost, Mario Puzo dietro I Soprano e c’è un po’ dello Stendhal del Rosso e il Nero e dei personaggi maledetti di Dostoevskij dietro Breaking Bad.
Questo significa due cose: da una parte, è cambiato il medium che guida il nostro immaginario: non sono più i libri a creare i grandi personaggi. O meglio, benché tuttora esistano libri che sono in grado di creare grandi personaggi non è ad essi che il pubblico si rivolge per placare la propria sete di storie. Dall’altra, non è cambiato il messaggio: i grandi motivi della narrazione continuano a creare o plasmare il nostro immaginario, solo che, per farlo, hanno bisogno di nuove forme. E la televisione gliele sta dando.