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Storia dell'arte

La scelta dell’arte fra mitologia, storia e religione

Nella storia e nella mitologia scelte decisive hanno originato guerre e leggende. È il caso del giudizio di Paride che deve scegliere la più bella tra le dee e di Ercole indeciso fra Virtù e Vizio. Ma anche non scegliere è una scelta: è il caso di Ponzio Pilato. Vediamo come alcuni artisti ha tradotto in arte questi episodi legati alla scelta

“Esistere significa "poter scegliere"; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensì la miseria dell'uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma”. Così scriveva il filosofo danese Søren Kierkegaard.

Le nostre scelte, dunque, raccontano chi siamo, dicono di noi molto più di quanto possiamo immaginare, dicono della nostra personalità, del nostro passato e del nostro futuro, influenzano il giudizio che gli altri hanno di noi e l’idea che diamo a prima vista. Per questo molto spesso le scelte più difficili sono quelle che sappiamo giuste ma che sono in controtendenza. Chi non ha mai fatto una scelta sbagliata pur di fare parte del gruppo?

L'uomo, in quanto individuo, diventa ciò che è come conseguenza delle sue scelte. L'individuo non può, del resto, fare a meno di compiere scelte, perché anche non scegliere, nella reale situazione dell'esistenza, è in realtà una scelta. Nell'esistenza umana nulla è necessario: per Kierkegaard l'uomo si dibatte tra i termini opposti (aut-aut) di possibili infinite scelte.

Ed ecco che la storia degli uomini è costellata di giudizi, di voti e grandi scelte che hanno dato origini a guerre, a scismi e a grandi religioni. La storia dell’arte ne ha, naturalmente, raccontata qualcuna. Con i mezzi della pittura i maggiori artisti moderni si sono cimentati nella narrazione di ciò che contraddistingue l’essere umano.

 

Il rischio della scelta

Nella mitologia greca, per esempio, è “colpa” di Paride se ha avuto inizio la guerra di Troia e autori come Botticelli, Rubens o Luca Giordano hanno narrato il suo “giudizio” in grandi capolavori senza tempo.

Partiamo con un po’ di storia. Siamo sull’Olimpo e Peleo e Teti, futuri genitori di Achille, stanno per sposarsi. Zeus allestisce un banchetto per la celebrazione del matrimonio ma Eris, la dea della discordia, non è stata invitata. Offesa e irritata, Eris si presenta al banchetto e getta una mela d'oro con l'iscrizione “alla più bella”.

Le tre dee che se la contendono sono Era, Atena e Afrodite. Esse parlano con Zeus per convincerlo a scegliere la più bella tra loro, ma il padre degli dei, non sapendo a chi consegnarla, stabilisce che a decidere chi sia la più bella non possa essere che il più bello dei mortali, cioè Paride, inconsapevole principe di Troia.

Ermes viene incaricato di portare le tre dee dal giovane troiano e ognuna di loro gli promette una ricompensa in cambio della mela: Atena lo renderà sapiente e imbattibile in guerra, Era promette ricchezza e poteri immensi, Afrodite gli concede l'amore della donna più bella del mondo.

Paride sceglie quest'ultima, scatenando l'ira delle altre due. La dea dell'amore aiuta quindi Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, e il fatto scatena la guerra di Troia.

Sandro Botticelli, "Il giudizio di Paride", tempera su tela, 1485-1488, Fondazione Giorgio Cini, Venezia

II maggiore interprete del Rinascimento Italiano, Sandro Botticelli, ci racconta questo episodio mitologico regalandoci un’opera eseguita dopo il suo soggiorno romano (1485-1488), che risente di un rinnovato approccio ai motivi classici e di una maggiore descrizione all’ambientazione di sfondo, ricca di dettagli e particolari architettonici. L’attenzione che Botticelli riserva sempre alla fisionomia dei personaggi si ritrova anche nei ritratti delle dee, impostati a una bellezza senza tempo, elegante, contenuta e sottilmente velata di malinconia.

Pieter Paul Rubens, "Il giudizio di Paride", olio su tavola, 1638-1639, Museo del Prado, Madrid

A quasi due secoli di distanza (1638-1639), Pieter Paul Rubens ci narra, invece, una storia fatta tutta di seduzione e carnalità, colori caldi e intensi e pennellate sinuose. La composizione è tagliata orizzontalmente e presenta sulla destra le tre dee contraddistinte dal pavone, sacro a Era, dalla presenza di Eros, figlio di Afrodite, e dall’elmo e lo scudo per Atena. Le dee sono avvolte in trasparenti veli che lasciano poco all’immaginazione, tanto che il cardinale Infante, Ferdinando II d’Asburgo, in una lettera al fratello Filippo IV, elogia l'opera anche se a suo parere "...le tre dee sono troppo nude".

Sulla sinistra c’è Paride che offre alla più bella il pomo d'oro datogli da Ermes, che, appoggiato su un albero in compagnia di un cane, assiste alla scena.

Luca Giordano, "Il giudizio di Paride", olio su tela, 1680-1682, Museo Civico, Vicenza

Non molti anni più tardi, nel 1680, l’eclettico artista napoletano Luca Giordano presenta l’episodio in modo ancora diverso. Sull'ampio sfondo di un paesaggio arcadico, Giordano ci presenta l'eroe troiano nelle vesti di un giovane pastore che sta per assegnare il pomo alla più bella tra le tre dee. Egli è già stato catturato dallo sguardo malizioso e dalle forme di Afrodite che, in primo piano, è china su un piccolo cupido. Dietro di lei, Era sembra discutere con Atena che, rassegnata, tiene il capo dolcemente abbassato e la mano sul petto. La scena è solo apparentemente serena: i corpi di Venere e Paride sono disposti lungo diagonali che convergono su uno sfondo che lascia intravedere nubi scure, premonitrici dell’esito drammatico della scelta.

 

Tra il bene e il male

Se l’uomo, come si diceva, è frutto delle sue scelte, nulla è più significativo del bivio fra Vizio e Virtù.

Annibale Carracci nel 1595 realizza per il camerino di Palazzo Farnese “Ercole al bivio”.

Annibale ritrae la figura vigorosa e plastica di Ercole, che ha le sembianze di Odoardo Farnese e rappresenta tutti gli uomini perennemente in bilico fra bene e male, fra giusto e sbagliato, mentre è seduto a meditare tra le due figure femminili. La Virtù è vestita severamente e indica ad Ercole un’ardua salita, mentre la Voluttà è seminuda e sensuale nel movimento e mostra ad Ercole un cammino molto più semplice. Il giovane Ercole sembra essere indeciso su quale strada prendere, ma la direzione del suo sguardo anticipa la sua scelta: intraprenderà la strada indicata dalla Virtù. È così che si destinerà a una vita piena di lotte e di prove, tra cui le famose dodici fatiche, guadagnando infine la fama e l’immortalità.  

La sospensione del giudizio

A volte, poi, l’uomo sceglie di non scegliere, ma anche questa, si è detto, è una scelta che determina un’attitudine e dice di noi molte cose. Ci sono in questo caso esempi illustri, il più famoso è certamente quello di Pilato che, si sa, se n’è “lavato le mani”.

Da questo episodio nascono i numerosi esempi delle opere intitolate “Ecce Homo”, letteralmente Ecco l'Uomo, la frase che Ponzio Pilato, allora governatore romano della Giudea, rivolge al popolo mostrando loro Gesù flagellato. Nonostante lo ritenesse innocente, Pilato sceglie di sospendere il suo giudizio e di fare scegliere al popolo il destino di Cristo, che decide comunque che sia crocifisso.

Tiziano Vecellio, "Ecce homo", olio su tela, 1543, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Nell’Ecce Homo di Tiziano (1543), un Ponzio Pilato in armatura celestina presenta il Cristo alla folla che avanza sullo scalone a braccia alzate e lo reclama per crocifiggerlo. In quella folla, al centro della scena, una misteriosa e certamente simbolica, giovane donna, sostiene un bambino. Ai piedi della scalinata un uomo calvo, grasso, ricco e ben vestito, avanza sollevando a fatica il manto rosso con collare di ermellino. Un gruppo di cavalieri in armatura, uno con turbante bianco, segno caratteristico dei malvagi, esige a braccia alzate la consegna di Cristo.

Tintoretto, "Cristo davanti a Pilato", olio su tela, 1567, Scuola di San Rocco, Venezia

Diverso è il punto di vista che ci porta il Tintoretto nel suo “Cristo davanti a Pilato” (1566 – 1567) custodito nella Scuola di San Rocco a Venezia.

L’artista enfatizza, con straordinaria forza, la luminosità irradiata dal Cristo e inserisce la figura in un’architettura che dà un senso di verticalità all’opera, contrapposta all’ondulata dinamica di tutti gli altri personaggi. In questo confronto non si legge l’imminente martirio di Gesù, ma viceversa, un dominante vigore spirituale che si impone sul governatore e sul popolo.

Antonio Ciseri, "Ecce homo", olio su tela, 1880-1891, Palazzo Pitti, Galleria d'arte moderna, Firenze

Infine, un Ecce Homo più vicino nel tempo, quello di Antonio Ciseri (1890), quadro che impressionò favorevolmente il pubblico non solo per la veridicità storica con cui Ciseri trattò l’argomento, ma anche per la forte nota di sentimentalismo rappresentata dalle due donne addolorate nella parte destra del quadro.

Nell’immobilità della scena sono rappresentati sentimenti palpabili e vivi grazie ai quali l’osservatore si sente chiamato a partecipare emotivamente al dramma che sta per consumarsi. La scelta del taglio fotografico e la visione di spalle dei personaggi accrescono questo senso di dolorosa sospensione mentre l’impassibile Gesù attende il responso della folla. Il fulcro del quadro è senza dubbio la figura centrale di Pilato, il più umano tra gli uomini. Ciseri restituisce così non il dramma di “un uomo”, ma il dramma de “l’uomo”, la cui vita è un insieme di contraddizioni, di continue difficili scelte che lo mettono nella condizione di costante ricerca di una stabilità difficilmente raggiungibile.

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