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Storia e Geografia

I gelati italiani, una storia di emigrazione

Quando arriva l'estate, è il modo migliore di rinfrescarsi: al mare o in città, il gelato è uno dei protagonisti delle afose giornate italiane. Ma come e perché si è diffuso? E quando è stato inventato il gelato? Un excursus storico sul cibo tra i più famosi della nostra penisola.
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Sembra che i primi a produrre gelati come oggi li conosciamo, cioè cremosi e ghiacciati, siano stati i fiorentini verso la metà del XVI secolo. Quando Cosimo I de’ Medici dovette organizzare festeggiamenti per accogliere una delegazione del re di Spagna, incaricò l’architetto Bernardo Buontalenti di occuparsi della cosa. Oltre a scenografiche danze e intermezzi, Buontalenti decise di sfruttare una recente scoperta, la miscela frigorifera, e fece servire creme ghiacciate con l’aggiunta di una costosissima spezia da poco conosciuta, lo zucchero. Grazie a Caterina de’ Medici, che fu per qualche tempo (1547-1559) reggente del trono di Francia, i pasticcieri fiorentini esportarono la meravigliosa novità a Parigi: era una sorta di semifreddo di crema dolce.
 Su Buontalenti e il suo exploit trovi informazioni a questo link.
A Parigi, nel 1686, un altro italiano, il palermitano Francesco Procopio Coltelli, aprì il primo caffè  alla moda della città (il café Procope, che acquistò larga fama ed è tuttora esistente) di fronte alla Comédie française. Vi si serviva naturalmente il gelato; ma soprattutto, Procopio Coltelli mise a punto la prima macchina per mantecare il gelato. Anche il Re Sole andava ghiotto dei gelati del Procope e gli Illuministi francesi furono assidui frequentatori del locale.
I filosofi Voltaire e Diderot discutono nel caffè Procope.
La moda del gelato non fece che diffondersi: nel Settecento ancora soprattutto presso la nobiltà, nell’Ottocento anche presso i borghesi. Nel 1846 venne messa a punto, negli Stati Uniti, la prima gelatiera: consisteva in un recipiente in legno riempito di ghiaccio e sale (per aumentare la durata della refrigerazione) che a sua volta circondava un contenitore in rame con la miscela da lavorare mescolando con una manovella. Verso la fine del XIX secolo in Inghilterra c’erano molti «carrettisti italiani» che vendevano gelati per le strade delle città. Le macchine per la fabbricazione del gelato venivano applicate direttamente al banco di vendita. Fare i gelati era un lavoro molto faticoso: erano necessarie due persone che con una manovella e una spatola facessero girare la miscela nei contenitori congelati per mantenere pastosa la crema. Solo a fine Ottocento, con l’applicazione del motore elettrico, questa fatica poté essere superata. Pare che nel 1903 l’italiano Italo Marchionni, originario del Cadore (una valle dolomitica in provincia di Belluno), abbia brevettato negli Stati Uniti lo stampo per costruire coppe e cialde per gelati: fu l’invenzione del «cono» gelato, che in Italia entrò nell’uso solo negli anni Venti. (Un’ipotesi alternativa attribuisce l’invenzione a gelatai liguri, di un paese presso Sanremo, Bussana: sempre italiani, comunque). Aveva inizio la fortuna del gelato da passeggio. La storia del gelato incrocia la storia dell’emigrazione italiana nella seconda metà dell’Ottocento e si lega alla valle di Zoldo, una laterale della valle del Piave che s’incunea nelle Dolomiti. In Zoldo (come in gran parte della montagna veneta) l’agricoltura era povera, le miniere di ferro producevano metallo buono, ma in quantità troppo modesta per uno sfruttamento industriale, i boschi si degradavano per l’uso eccessivo di legname e di carbone di legna. Molti degli emigranti scelsero di andare a svolgere il mestiere stagionale di gelatai nelle città della pianura veneta e poi in altre città dell’Italia settentrionale (Genova, Savona, Como, Milano); alcuni infine si spinsero anche all’estero, soprattutto in Germania e Austria. Fino alla prima guerra mondiale questo fenomeno non fece che accentuarsi. La stagione migratoria dei gelatai iniziava ad aprile e terminava a settembre.
Gelatai della valle di Zoldo in Germania nel 1906 (immagine: valdizoldo.net)
Il successo di questa attività fu tale che, negli anni Trenta, le gelaterie venete si contavano ormai a decine non solo a Vienna e in Germania, ma anche in Francia, Cecoslovacchia e Polonia. E non erano più soltanto carretti di ambulanti, ma locali attrezzati che richiamavano folle di clienti. Nel secondo dopoguerra, interi paesi del Cadore e della valle di Zoldo si spopolavano in primavera, perché gli uomini si recavano all’estero fino all’autunno per svolgere la loro attività. In alcuni casi questa emigrazione stagionale si trasformò in un trasferimento definitivo, così che vi sono comunità cadorine anche in Brasile e in Australia. Le gelaterie di famiglie cadorine e zoldane sono oggi numerose e rinomate in molti paesi, non solo europei: fino in Giappone, in Argentina e in Sud Africa. Questa emigrazione di successo ebbe naturalmente profonde ripercussioni sull’economia delle valli interessate: scomparve quasi del tutto la tradizionale attività silvo-pastorale e numerose frazioni rurali, le più isolate e remote, furono abbandonate. Parallelamente si svilupparono le strutture turistiche estive e invernali, sostenute anche dai capitali che l’attività dei gelatieri aveva permesso di accumulare.
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