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L'effetto domino delle rivolte

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Significativamente, l’atto iniziale delle rivolte arabe fu il plateale suicidio di un giovane ambulante tunisino, che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco per protestare contro il sequestro della sua merce. Mohamed Bouazizi era laureato e disoccupato, con una famiglia soffocata dai debiti e quella merce rappresentava la sua sopravvivenza. Da qui partì una serie di manifestazioni di protesta, che il regime dittatoriale di Zine el Abidine Ben Ali (al potere dal novembre 1987) cercò di reprimere con la forza, provocando alcune decine di morti. Dopo un mese di rivolte, il 14 gennaio 2011 Ben Ali fu costretto alla fuga (in Arabia Saudita). Viene proclamato un governo di unità nazionale che portò il paese alle elezioni.

Pochi giorni dopo la caduta di Ben Ali in Tunisia, iniziarono in Egitto le manifestazioni contro il regime di Hosni Mubarak, al potere dal 1981. Agli occhi delle cancellerie dei paesi occidentali la situazione in Egitto destava maggiore allarme, sia per le dimensioni e la potenza del paese, sia perché l’Egitto di Mubarak è un elemento chiave del fragile equilibrio in Medio Oriente: c’era il timore che potesse essere messa in discussione, con la caduta del regime, la pace con Israele. Le preoccupazioni erano legate anche alla posizione dei Fratelli Musulmani, un partito islamista tenuto ai margini dal regime, ma che gode di una notevole influenza nel paese.

La reazione del regime fu molto dura, viene proclamato il coprifuoco e più volte la polizia sparò sulla folla. L’esercito venne schierato, ma non partecipò alla repressione delle manifestazioni. Mubarak compie alcuni gesti di apertura, tardivi e insufficienti: infine l’11 febbraio 2011 il rais fu costretto dalla pressione popolare a lasciare il potere. Venne poi sottoposto a processo e, nel giugno 2012, condannato all'ergastolo per i morti causati dalla repressione delle manifestazioni di piazza Tahrir..

L’esercito (che nel paese ha un enorme potere, legato anche ai suoi interessi nell’economia, sotto forma di partecipazione alle aziende strategiche) si fece garante della transizione verso un nuovo regime, ma la situazione sociale restò difficile e tesa fino alle elezioni del gennaio 2012.

Le rivolte si estesero, tra febbraio e marzo 2011, a parte dei paesi del Medio Oriente: in Yemen finì il regime del presidente Ali Abdullah Saleh (presidente dello Yemen del Nord dal 1978 al 1990 e da allora primo presidente del paese unificato) e una violenta repressione provocò  vittime in Bahrein, che per un certo periodo sembrò sull’orlo della guerra civile.

Verso fine marzo 2011 iniziarono manifestazioni imponenti anche in Siria, contro il regime di Bashir al Assad (al potere dal 2000, dopo un trentennio di presidenza del padre, Hafiz al Assad) e del partito Baath. In questo caso il regime diede inizio a una dura repressione, con tragici sviluppi. Questa tuttora prosegue nonostante la pressione della Turchia, della Lega araba e della comunità internazionale.

Nel febbraio 2011  la protesta scoppiò anche in Libia, nella città di Bengasi, la capitale della Cirenaica e tradizionale centro dell’opposizione a Gheddafi. Qui le premesse erano diverse dagli altri episodi delle rivolte arabe, e la repressione militare del regime diede inizio a una sanguinosa guerra civile che portò nell'ottobre 2011 alla fine del regime e alla morte del dittatore.

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