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Le forme di governo

Parlare per paradossi

Per spiegare il processo retorico del paradosso Andrea Tarabbia porta come esempio una celebre frase de Il gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa, oltre a fornire altri utili esempi di come usare questo stratagemma linguistico nella scrittura.

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«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1958

È una delle frasi più celebri della letteratura italiana di ogni epoca, ed è un paradosso.
Il paradosso non è propriamente una figura retorica – nel senso che non tutti i manuali lo annoverano tra questo tipo di figure: ma è un processo retorico quello che ci porta a farne uso e, pertanto, ha pieno diritto di far parte di questa rubrica. Il principio su cui si fonda assomiglia, per certi versi, a quello dell’ossimoro: come l’ossimoro, infatti, e come si vede bene nella frase di Tomasi, il paradosso gioca con le contraddizioni, ma non crea un’immagine quanto un discorso contraddittorio, e gioca con la logica e con il senso.

Per capirci: a volte ci capita di vedere, che so, un film davvero brutto, ma di esserne attratti, e magari di volerlo rivedere. Se volessimo tradurre in un ossimoro questa nostra insana passione, potremmo dire che quel film è di un «brutto bello»; se volessimo, invece, esprimere questo concetto in termini più universali e, filosofeggiando un po’, costruire un paradosso, potremmo dire che quel film ci piace perché in fondo, secondo noi, «Il brutto è bello».

Infine, fate attenzione, i paradossi sono procedimenti molto potenti. A saperli usare, si può fare qualunque cosa, perfino uccidere un uomo morto: https://www.raiscuola.rai.it/storia/articoli/2021/02/Vile-tu-uccidi-un-uomo-morto-90d0d426-c880-465e-adaf-1eabbf29024b.html


(Crediti immagine: EliFrancis, Pixabay)

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