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Lettere sulla tolleranza

La tolleranza tra potere e riconoscimento

Beatrice Collina approfondisce il concetto di tolleranza religiosa nel pensiero filosofico europeo. Thomas Hobbes e John Locke proposero due modelli di tolleranza molto diversi fra loro, mentre Jürgen Habermas si è concentrato sul dialogo tra fede e ragione.

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La riflessione sul concetto di tolleranza attraversa tutta la storia del pensiero europeo, dall’antichità fino all’epoca contemporanea. Si tratta indubbiamente di un termine chiave attorno al quale ruota la filosofia occidentale, ma allo stesso tempo il suo significato appare spesso ambiguo e inafferrabile. “Tollerare” può assumere tanto una accezione negativa, in termini di concessione nei confronti di gruppi o di singoli individui, quanto una accezione positiva, se riferito a un atteggiamento non giudicante e non penalizzante nei confronti di coloro che hanno credenze e opinioni differenti.

Una difficile definizione. I tanti volti della tolleranza

Nella tradizione europea, la definizione di tolleranza è stata intimamente connessa al livello di complessità delle relazioni di potere in specifici contesti storici e culturali. Non a caso, alle sue origini il termine ha indicato il rapporto tra una autorità, depositaria dei valori di riferimento della società, e uno o più gruppi che professavano credenze “diverse”. In questo rapporto asimmetrico, tipico del mondo dell’antichità, l’autorità concedeva alle minoranze il permesso di vivere secondo le proprie norme religiose e morali, aspettandosi in cambio riconoscimento politico e sottomissione, come accadeva nel caso dei popoli conquistati dai romani. Con il mutare delle posizioni e dei reciproci rapporti di forza, muta anche il significato che il concetto di tolleranza assume. Se il contesto sociale è caratterizzato da gruppi che detengono un livello di potere simile, la reciproca tolleranza può risultare la migliore delle alternative per il perseguimento dei rispettivi interessi. Non si tratta di una tolleranza esercitata sulla base di principi di valore, ma per mera opportunità.

Un esempio di questa seconda accezione di “tolleranza” è rappresentato in epoca moderna dalla Pace di Augusta, trattato stipulato nel 1555 tra l’imperatore Carlo V e i principi tedeschi ponendo fine alle guerre di religioni in Germania, sancendo di fatto la divisione tra cattolici e protestanti nel Paese. Per un approfondimento delle Guerre di religione che hanno sconvolto il XVI secolo in Europa, si rimanda al seguente documentario del professore Alessandro Barbero: www.youtube.com/watch?v=FuPMA5uZPe4

Simmetricamente a queste nozioni, si possono individuare altri due approcci, più vicini a noi storicamente e culturalmente, nonché in linea con le teorie della democrazia contemporanee. Ci si può riferire alla tolleranza non solo come rispetto reciproco, ma volendo incarnare una prospettiva ancora più impegnata come vera e propria stima, che non si ferma al semplice riconoscimento tra cittadini appartenenti a sistemi culturali e religiosi differenti, ma che considera le altre parti come portatrici di credenze e principi altrettanto di valore sebbene diversi dai propri, capaci di contribuire a una costruzione condivisa della società.

Alla radice della tolleranza moderna. Il peccato originale delle guerre di religione

Nel percorso attraverso i secoli di definizione e ridefinizione del concetto, la riflessione sulla tolleranza si è articolata in particolare nell’ambito religioso. È con l’età moderna che il tema della tolleranza diviene una questione politica sempre più pressante nell’Europa delle guerre di religione del XVI e XVII secolo, onda lunga della riforma luterana che aveva reso possibile una inedita proliferazione di confessioni e di conseguenti persecuzioni.

In questo scenario, l’obiettivo dei filosofi diventa quello di comprendere come si possa mantenere un ordine sociale rifuggendo al caos delle violenze in atto. Thomas Hobbes (1588-1679) ne Il Leviatano individua una duplice strada per garantire la pace all’interno dello Stato, relegando la professione dei culti religiosi all’ambito privato e auspicando una totale corrispondenza tra Stato e Chiesa. Sebbene Hobbes considerasse quella cristiana l’unica “vera” religione, a differenza delle altre frutto di superstizione e ignoranza, e difendesse una coincidenza tra Stato e Chiesa, la sua posizione fu ritenuta atea e immorale. L’obiettivo di Hobbes consisteva infatti nel rinnegare l’esistenza di uno stato nello stato (ruolo che la Chiesa si era di fatto ritagliata) e nel riconoscere nel sovrano l’unica figura di mediazione tra l’uomo e Dio. “Potere” di mediazione conferito non da Dio per Hobbes, ma da «ogni singolo uomo della comunità». Solo una simile forma politica avrebbe potuto evitare altre lotte e violenze disinnescando la religione come fonte di conflitto.

Per un approfondimento della filosofia di Hobbes e della sua opera Il Leviatano, si rimanda all’intervento del professore Carlo Galli in occasione del Festival della Filosofia del 2011: https://www.youtube.com/watch?v=6PG51lmiazc

Molto diversa appare invece la soluzione fornita da John Locke (1632-1704) il cui nome è da sempre legato a questa riflessione grazie al Saggio sulla tolleranza (1667) e alle tre Lettere sulla tolleranza (1689,1690, 1693). Al contrario di Hobbes, Locke non ritiene che per superare il conflitto sia necessario relegare la professione delle religioni nell’ambito privato dei cittadini o neutralizzarla tramite la figura assoluta e laica del Leviatano. Non si tratta di nascondere le religioni dall’ambito pubblico, ma di individuare le condizioni che rendano possibile professarle, in tutte le loro varianti, senza incorrere però nelle violenze civili. La soluzione è per Locke opposta a quella di Hobbes: Stato e Chiesa non devono coincidere ma restare ben separati, occupandosi delle questioni civili il primo e delle questioni strettamente religiose la seconda. Inoltre, in virtù del fallibilismo teologico, ovvero dell’impossibilità filosofica di stabilire in ultima istanza quale sia la vera religione, non solo lo Stato si dovrà manifestare tollerante nei confronti delle diverse confessioni, non interferendo con le credenze private dei cittadini, ma le stesse confessioni dovranno tollerarsi vicendevolmente.

Un dibattito mai concluso. Le democrazie contemporanee e le credenze religiose

Il dibattito sulla tolleranza religiosa in Europa non si esaurisce nella modernità, ma continua a trovare ampio spazio in epoca contemporanea, rinvigorito dalla presenza di nuove confessioni religiose e con sfumature diverse all’interno dei vari paesi europei. Il caso della Francia è in questo contesto emblematico: la laicità dello Stato come principio cardine e indiscusso è stato ritenuto da più parti quasi esasperante e colpevole di condurre a rigide quanto inutili contrapposizioni, arrivando a trasformarsi da strumento di tutela a vero e proprio dogma. Negli anni più recenti, il tentativo di ridefinire i confini tra principio di laicità e diritto a professare le proprie credenze religiose, è stato compiuto attraverso un dialogo alquanto inedito tra il filosofo tedesco Jürgen Habermas (n. 1929) e l’allora Cardinale Joseph Ratzinger (1927-2023), riflessioni che sono convogliate nella raccolta di saggi Tra scienza e fede (2005). Abbracciando una posizione laica, ma non laicista, Habermas ritiene necessario per una società post-metafisica come quella attuale riconoscere alle diverse tradizioni religiose il loro ruolo storico e il contributo essenziale nella definizione dello Stato costituzionale. La ricerca di principi di legittimazione “neutri” non deve trasformarsi infatti in una affermazione autoritaria della Ragione sulle credenze presenti all’interno di una società e lo sforzo che deve essere fatto da parte di una autorità statale ideologicamente neutra consiste nel non negare «un potenziale di verità alle immagini religiose del mondo». Per Habermas, la difficoltà del dialogo tra laici e religiosi è in realtà una difficoltà di traduzione: per poter trovare spazio nelle pubbliche discussioni la sfida diventa quella di «tradurre contributi rilevanti dal linguaggio religioso in una lingua pubblicamente accessibile».


Crediti immagine: illustrazione del frontespizio de Il Leviatano, 1651 (Wikimedia Commons)

1 Commenti
R

Raffaele Pinto

08 maggio 2023 alle 14:29

Eccellente. Da utilizzare didatticamente

R

Redazione

08 maggio 2023 alle 17:04 - in risposta a Raffaele Pinto

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