La prospettiva prima della prospettiva
Il termine prospettiva ha origini lontane. Si può far risalire fino ai primi studi ottici medievali, nei quali la parola prospettiva indicava l'ottica stessa intesa come percezione visiva.
Addentrandoci invece nel campo delle arti visive è necessario fare una considerazione. Durante l’alto medioevo i problemi della mimesi non erano al centro dell'attenzione poiché il fine delle arti figurative era evocare il trascendente tralasciando volutamente effetti di realismo. Per questo motivo gli artisti di questo periodo non sentono la necessità di ambientare i loro soggetti in spazi “veri” o verosimili.
Solo a partire dalla fine del 1200, e soprattutto con l'opera di Giotto, si comincia a dare valore e interesse alla raffigurazione realistica degli spazi. La sua prospettiva, con il tentativo di introdurre la profondità delle tre dimensioni nel dipinto, è detta “a spina di pesce” perché le linee di fuga non convergono verso un unico punto ma verso diversi punti disposti lungo un asse. Manca ancora nella prospettiva di Giotto la razionalità del calcolo matematico ma, nonostante questo, si può considerare il primo artista a essere riuscito a superare i limiti della bidimensionalità bizantina.
Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni. 1292-1296. Affresco, Basilica superiore di Assisi, Assisi (crediti: Wikipedia)
Qualche tempo più tardi, verso la metà del 1300, i risultati raggiunti erano già piuttosto alti, anche se ancora non basati su un vero studio scientifico. Lo si può osservare nel pavimento che fa da base all'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti, conservata alla Pinacoteca nazionale di Siena.
Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione, 1344, tempera e oro su tavola, Pinacoteca Nazionale, Siena (crediti: Wikipedia)
Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti e la nascita della prospettiva lineare
Per arrivare all'elaborazione di quella che chiamiamo “prospettiva scientifica” o “prospettiva lineare” bisogna però aspettare il Rinascimento. Le innovazioni di Filippo Brunelleschi lasciano definitivamente le regole del gotico internazionale per rispondere alla grande nuova domanda dell'arte occidentale: quella della rappresentazione della tridimensionalità su supporti bidimensionali.
Ma cos'è effettivamente la prospettiva? È un metodo scientifico che permette di rappresentare lo spazio e la sua profondità in modo verosimile. È data da una composizione di linee che vengono fatte convergere in un unico punto, detto punto di fuga, collocato in una zona della superficie su cui l’artista dipinge.
Tutte le linee dei vari elementi che compongono il quadro sono tracciate seguendo queste guide e tendono quindi al punto di fuga. La sensazione di chi guarda è di un progressivo rimpicciolirsi degli oggetti della composizione man mano che si allontanano dall'osservatore, in profondità nello spazio rappresentato.
Il grande punto di svolta rappresentato da ciò che aveva compreso l’architetto Filippo Brunelleschi era che per proporre una rappresentazione verosimile dello spazio era necessario scegliere un punto di vista univoco e fisso.
Si dice che Brunelleschi stesso sia stato il primo a utilizzare questo metodo per disegnare una veduta del Battistero di Firenze e una di Piazza della Signoria su due tavolette oggi perdute.
Non fu però lui a dare una versione scritta del suo metodo prospettico: per questo bisogna affidarsi al De pictura di Leon Battista Alberti che, nel 1436, mise per iscritto la teoria brunelleschiana. Alberti costruì addirittura uno strumento in grado di aiutare gli artisti nella realizzazione delle loro opere, una sorta di telaio con dei fili tesi e convergenti verso un unico punto che conducesse la mano del disegnatore.
Pagine dal “De Pictura” di Leon Battista Alberti (crediti: Wikipedia)
Città ideale, 1450 ca. Tempera su tavola, 67,5 x 239,5 cm. Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. (crediti: Wikipedia)
Ma c’è un motivo per cui architetti e artisti sentono proprio ora, alla metà del 1400, la necessità di una tecnica che permetta loro di rappresentare lo spazio in tre dimensioni?
Sì, sicuramente sì. La filosofia e il pensiero di questo periodo cominciano a dare nuova centralità all'essere umano rispetto alla cultura medievale che era invece teocentrica. L’uomo è ora al centro del proprio destino, di cui è artefice e responsabile, come scrisse fra i primi Pico della Mirandola nel De hominae dignitate. E così anche la possibilità di conoscere, e quindi di rappresentare, la natura e il mondo che lo circonda parte dal punto di vista centrale dell’essere umano. Con la nascita della prospettiva lo spettatore viene posto al centro dell’opera: è il suo punto di vista che diventa importante e che viene calato in uno spazio geometrico reale.
Ma non è ancora tutto. Perché è proprio questa scoperta a far sì che circa un secolo dopo, con le filosofie di Cusano e di Giordano Bruno, si cominci a pensare che l'universo abbia confini indefiniti o addirittura infiniti, poiché se da una parte la visione prospettica pone un punto di vista unico e centrale, dall’altra le sue linee che originano da un punto ben visibile e sul piano, alludono a una possibilità di estensione senza fine.
L’uso della prospettiva nell’arte del Rinascimento
La prima opera pittorica nella quale si trova l'applicazione del metodo prospettico scientifico è la Trinità di Masaccio, conservata a Firenze in Santa Maria Novella.
Masaccio, La Trinità, 1425-1428; affresco, 667 x 317 cm; Firenze, Santa Maria Novella. (Crediti: Wikipedia)
Per la prima volta, la scena della crocifissione viene dipinta all’interno di uno spazio terreno e umano. Non si trova su un fondo dorato e trascendente, come era usanza in precedenza. Si tratta infatti di una grandiosa architettura, dalla forte potenza illusionistica nella parte superiore della volta a botte. Quest’opera era così diversa da quelle precedenti che impressionò molto i contemporanei, tanto che più di un secolo dopo Vasari scriveva ancora "pare che sia bucato quel muro". L’obiettivo di superare sulla tela le due dimensioni era quindi raggiunto.
Da qui in avanti la gran parte dei pittori rinascimentali prese a usare questo metodo per la rappresentazione dello spazio, fino ad arrivare alle esagerazioni di Paolo Uccello. Su di lui si racconta che tentasse scorci prospettici così complessi da dare origine a quadri quasi irrazionali.
Un grande maestro dell'utilizzo della prospettiva è Piero della Francesca. Il pittore e matematico di Sansepolcro compone le sue opere secondo rigidi e calcolatissimi schemi geometrici che uniscono architetture e spazi rigorosamente creati con la prospettiva a figure anch'esse realizzate quasi con calcolo matematico, tanto da risultare impassibili e imperturbabili. Per lui, infatti, l'opera non deve coinvolgere tanto i sentimenti e le emozioni dello spettatore quanto il suo intelletto.
Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo. 1450, tempera su tavola, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino (crediti: Wikipedia)
La grande maggioranza dei pittori del Rinascimento utilizza la prospettiva per dare ordine al contenuto dell'opera. Di diversa posizione è un altro grandissimo autore di questo periodo, Andrea Mantegna. Dopo avere studiato le regole scientifiche della prospettiva, Mantegna utilizza questa tecnica per dare all'osservatore l'illusione che ci fosse qualcosa “oltre” il dipinto e “al di là” della superficie sul quale esso si trovava.
Il più alto esempio dell'illusione mantegnana è la Camera degli sposi, affrescata nel castello di San Giorgio a Mantova. Qui le pareti della stanza sono interamente dipinte e “sfondate” in modo illusionistico, così da dare l’impressione di potere entrare nelle scene rappresentate. L’attenzione, poi, viene convogliata nel famosissimo oculo centrale sul soffitto dal quale piccoli angioletti osservano i visitatori e assistono divertiti allo stupore dei degli osservatori dell'opera.
Andrea Mantegna, Oculo della Camera degli Sposi, 1465-1474, affresco, Castello di San Giorgio, Mantova (crediti: Wikipedia)
Ma Mantegna non si limita a usare la prospettiva per l'illusione spaziale e giunge al suo grande capolavoro sovvertendone anche un po’ le regole.
Andrea Mantegna, Cristo Morto, 1470-1474 circa o 1483 circa, tempera su tela, Pinacoteca di Brera, Milano (crediti: Wikipedia)
Il Cristo morto è databile tra il 1470 e il 1474 ed è conservato alla Pinacoteca di Brera.
L'opera è famosissima per l’incredibile scorcio prospettico nella figura del Cristo giacente sul letto e visto dai piedi, un punto di vista molto particolare per il soggetto rappresentato che inizialmente fece scalpore ma che poi fu anche molto imitato. Inoltre, la prospettiva del Mantegna dà alla figura la “capacità” particolare di seguire lo spettatore che si sposta davanti al quadro.
In realtà, in quest'opera Mantegna sovverte volutamente i canoni della prospettiva: mentre le figure di profilo inginocchiate presuppongono un orizzonte molto basso, il corpo di Gesù ha un punto di osservazione più alto, che si trova fuori dai margini del dipinto. Inoltre, mentre il piano su cui è disteso il corpo segue la regola del punto focale, la prospettiva del corpo di Cristo è rovesciata, i piedi sono più piccoli mentre il volto è più grande per dare maggior risalto alla divinità del soggetto.
Paul Cézanne e una nuova prospettiva
Dal Cinquecento in avanti la prospettiva entra a fare parte del bagaglio di conoscenze che tutti i pittori possono utilizzare per la realizzazione dello spazio più o meno illusorio nel quale si svolge l'azione rappresentata.
Bisogna aspettare la metà dell'Ottocento per trovare un nuovo sovversivo momento nel quale le certezze che da Leon Battista Alberti in avanti avevano sostenuto tutti i pittori vengano stravolte: si tratta della nuova prospettiva circolare di Paul Cézanne.
Paul Cézanne, Le grandi bagnanti, 1898-1905, olio su tela, Museum of Art, Philadelphia (crediti: Wikipedia)
Lo storico e critico d’arte Renato Barilli, professore dell’Università di Bologna, nel suo testo L’arte contemporanea sostiene che il termine a partire dal quale si può parlare di modernità e di arte moderna sia proprio la costituzione della prospettiva rinascimentale. Barilli si chiede anche quando la modernità abbia fine. Ebbene, Barilli propone come termine ultimo l'impressionismo: secondo lo studioso, l’impressionismo è «perfezionamento estremo della modernità» e non tanto il punto di avvio della contemporaneità, come di solito viene interpretato.
Secondo Barilli, il pittore dal quale invece la contemporaneità prende inizio, cioè colui che per primo e «sistematicamente e di proposito affronta, viola, ristruttura i cardini della prospettiva tradizionale», è Paul Cézanne. Barilli riconosce tuttavia che «ci sia un paradosso nella sua nella sua data di nascita che lo fa perfettamente coetaneo di Sisley, addirittura di un anno più vecchio di Monet e solo di una decina d'anni più giovane di Pissarro e di Manet».
Lo spirito di Cézanne è certamente il primo della contemporaneità. Poi bisognerà attendere una generazione successiva con Seurat, Gauguin e Van Gogh. Cézanne, scrive Barilli, «ci dà infatti le prime prove di una resa spaziale fondata sulla circolarità in quello stesso settimo decennio in cui l'elettromeccanica e il telegrafo fanno i primi passi tra i media materiali incominciando a imporre sublimemente il modello circolare». Sempre Barilli: «Cézanne è il primo anche in ordine di tempo e il più rigoroso nell'abbattere i criteri moderni di rendere su una superficie piatta l'illusione di una immagine virtuale di uno spazio a tre dimensioni».
Ancora una volta progresso scientifico, pensiero filosofico e tecniche artistiche vanno di pari passo sperimentando allo stesso tempo le nuove idee e interpretazioni del mondo con strumenti e mezzi diversi.
Crediti immagine: Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo. 1450, tempera su tavola, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino (crediti: Wikipedia)