Sempre più veloce. La progressiva e inarrestabile accelerazione della modernità
La gestione del tempo è uno gli aspetti che segnano il passaggio tra l’epoca tardo-antica e l’epoca moderna. Il celebre saggio di Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante (1960) individua una mutata concezione del tempo già nell'Europa medievale, quando progressivamente si afferma un commercio su larga scala, i cui protagonisti si affrancano tanto dai lenti ritmi stagionali del mondo contadino quanto da una quotidianità scandita da credenze e pratiche religiose. Per i mercanti, il tempo diventa denaro: le attività sono intense e frenetiche, perché nessun secondo deve essere sprecato. Tra XVII e XVIII secolo, con l’affermarsi e il diffondersi del pensiero illuminista, si radica l’idea di un progresso lineare e ineluttabile del genere umano, convinzione che trae forza dalle scoperte scientifiche e dagli sviluppi tecnologici del periodo. Siamo agli albori della prima rivoluzione industriale che imprimerà un’accelerazione senza precedenti dei ritmi di produzione e dei conseguenti ritmi di vita, determinando una rottura netta e traumatica tra campagna e città. Progresso, tecnologia e velocità sono oramai elementi intimamente interconnessi che trovano una rappresentazione concreta nell'immagine del treno e della ferrovia, simboli del successo dell’uomo sulla natura, sullo spazio e sul tempo.
Esattamente 110 anni fa Filippo Tommaso Marinetti pubblicò sulle pagine di Le Figaro il Manifesto del Futurismo, inaugurando così uno dei principali movimenti d’avanguardia culturale e artistica di inizio Novecento. Velocità e progresso sono tra i temi principali di questa corrente, forse l’ultima che ne ha esaltato acriticamente tratti e caratteristiche. In occasione della ricorrenza, Philippe Daverio dedica uno speciale approfondimento: https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/11/Philippe-Daverio-Il-Futurismo-27f8f50e-33a8-48cc-af62-72abbc0118bb.html
È la tecnologia che permette di fare in meno tempo le stesse attività, ma questo non sembra comportare l’auspicabile aumento del tempo a nostra disposizione. Nel testo Elogio dell’ozio (1935), il filosofo Bertrand Russell (1872-1970) riflette su questo paradosso: «Supponiamo che […] una certa quantità di persone sia impegnata nella produzione di spilli. […] Ed ecco che qualcuno inventa una macchina grazie alla quale lo stesso numero di persone nello stesso numero di ore può produrre una quantità doppia»; tuttavia, Russell osserva come cambiamenti di questo tipo non determinino un abbassamento delle ore di lavoro, che restano le stesse, ma una inutile (e dannosa) sovrapproduzione di merce. Nella sua analisi, il filosofo inglese individua la chiave di questa contraddizione nell'etica del lavoro di stampo capitalista, che fa coincidere “il fare incessante” con ciò che è buono e giusto.
A mettere in relazione con sguardo critico la sempre maggiore velocità dovuta allo sviluppo industriale e le questioni di giustizia sociale è stato in anni più recenti il filosofo austriaco Ivan Illich (1926-2002). Nel saggio Energia ed equità (1974), tradotto in italiano nel 2006 con il titolo Elogio della bicicletta, Illich scrive: «La velocità incontrollata è costosa, e sono sempre meno quelli che possono permettersela. […] Oltrepassata una certa soglia nel consumo di energia per i passeggeri più veloci, si crea una struttura di classe, su scala mondiale, di capitalisti di velocità. […] Le grandi velocità per tutti comportano che ognuno abbia sempre meno tempo per sé man mano che l’intera società dedica allo spostamento della gente una quota sempre più grossa della propria disponibilità di tempo».
Per un’introduzione alla biografia e all'opera di Ivan Illich, tra i più importanti pensatori del Novecento, ma ancora poco conosciuto in Italia si rimanda alla pagina dedicatagli da Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/ivan-illich/