Un processo di integrazione culturale, con effetti sulla cultura dominante
Per «romanizzazione» si intende il processo di riduzione a unità politica e omogeneità culturale di un complesso di popoli e stati, conquistati con le armi dai Romani e successivamente associati alle funzioni di governo, fino a cancellare la distinzione tra vincitori e vinti. In realtà la romanizzazione assume caratteri diversi nelle diverse aree dell'impero: il paradosso oraziano Graecia capta ferum victorem cepit, «la Grecia conquistata con le armi a sua volta ha conquistato il rozzo vincitore» (Epistole 2, 1, 156), per esempio, ben rappresenta la potente forza d'attrazione esercitata dalla cultura ellenistica sulla società romana, che fin dalle origini, sia attraverso il contatto diretto sia attraverso la mediazione degli ellenizzati etruschi, è permeata di cultura (materiale, artistica, letteraria) greca, tanto da far apparire rovesciato il rapporto tra vinto e vincitore. Anche in generale, però, nelle province dell'impero la romanizzazione non è mai un fenomeno unilaterale di assimilazione alla cultura del vincitore, ma un processo che opera nelle due direzioni, con scambi reciproci tra substrato regionale e cultura romana dominante. Ne consegue che, in maniera più evidente nelle aree periferiche dell'impero, la romanizzazione si configura in realtà come un fenomeno di ibridismo culturale.La conquista come missione di civiltà
Per i Romani, invece, la romanizzazione dell'impero è sempre un processo di civilizzazione, non importa che essa si basi sulla conquista militare e che il modello romano, per quanto ritenuto superiore, sia imposto con la forza delle armi. Per i Romani, dominare il mondo è il destino di Roma. La profezia di Anchise nel VI libro dell'Eneide si conclude con la celebrazione di questa missione storica: in opposizione ad altri popoli che eccellono nelle arti, nell'oratoria o nelle scienze, la vocazione specifica dei Romani è quella di governare e pacificare le nazioni, esercitando la clementia verso i sottomessi, ma reagendo con forza contro chi si ribella (tu regere imperio populos, Romane, memento/ (hae tibi erunt artes) pacique imponere morem,/ parcere subiectis et debellare superbos, «tu, Romano, ricorda di dominare i popoli (questa sarà la tua arte) e fissare regole alla pace, di risparmiare i sottomessi e debellare i superbi», Virgilio, Eneide VI 851-853), un'efficace sintesi del programma augusteo.Agricola in Britannia, un esempio virtuoso di romanizzazione
Tacito nella biografia del suocero Agricola delinea un quadro illuminante di come il processo di civilizzazione si realizzasse concretamente. Giunto nell'isola come governatore nel 77, Agricola prima di tutto impone la sua autorità con un paio di azioni militari ben condotte, sconfiggendo la tribù ribelle degli Ordovici e costringendo alla resa l'isola di Mona (l'odierna Anglesey, a nord ovest del Galles), recentemente occupata ma subito perduta da Roma (Agr. 18). Quindi si dedica al risanamento della pubblica amministrazione con un programma di lotta serrata alla corruzione, riconoscendo nel perpetuarsi delle iniustitiae perpetrate dai vincitori sui vinti la principale causa della guerra: reprime gli abusi commessi dal seguito del governatore, toglie a servi e liberti la gestione degli affari pubblici, abolisce la diffusa pratica della cooptazione e della raccomandazione personale nella nomina di ufficiali e funzionari, alleggerisce il peso delle imposte con l'equa distribuzione degli oneri, sradicando odiosi sistemi di sfruttamento escogitati a fini di lucro (Agr. 19).Esercizio delle armi e diffusione del modello culturale romano
In estate riunisce l'esercito e lo riconduce a una rigorosa disciplina senza per questo lasciare tregua al nemico, ma «dopo avere seminato sufficiente terrore, esercitando di nuovo la clemenza, mostrava le attrattive della pace», ottenendo così la resa spontanea di molte tribù fino ad allora ribelli, e presidiando i loro territori con una rete ben distribuita di fortezze e guarnigioni (Agr. 20). Infine, Agricola adotta una serie di provvedimenti affinché i Britanni, «che vivevano sparsi nel territorio, privi di civilizzazione» (homines dispersi ac rudes), e perciò inclini alla guerra, «si abituassero a vivere in pace attraverso i piaceri» (quieti et otio per voluptates adsuescerent): incoraggia, anche con pubbliche sovvenzioni, la costruzione di opere pubbliche (templi, piazze, palazzi), lodando chi si mostra attivo e biasimando chi non lo è, così da non costringere ma da suscitare una gara per ottenere il riconoscimento da parte del governatore romano (honoris aemulatio pro necessitate erat). Fa educare i figli dei capi Britanni nelle arti liberali, ne loda gli ingenia, così che quanti poco prima rifiutavano la lingua romana ora desiderano padroneggiarne l'arte dell'eloquenza. Non solo: comincia a diffondersi la moda di vestire alla romana e l'uso della toga, finché a poco a poco, non si diffondono anche «gli allettamenti dei vizi» (delineamenta vitiorum), i portici, i bagni e le raffinatezze dei banchetti (Agr. 21).
Puoi vedere una ricostruzione di questo sistema di romanizzazione delle province cliccando qui https://www.youtube.com/watch?v=o3nPUI17SbY