L’8 settembre, alla morte di Elisabetta II, tra i titoli di giornale che danno notizia dell’evento si legge quello del portale satirico “Lercio”, che recita: «ULTIM'ORA Spoilerato il finale di The Crown.»
La serie The Crown (Peter Morgan, 2016-) racconta la storia della Regina Elisabetta II e della famiglia reale dal 1947 ai primi anni 2000 (cui arriverà la stagione 6, attualmente in produzione). Sebbene The Crown sia una rielaborazione finzionale delle vicende dei reali britannici, la battuta di “Lercio” risulta molto efficace proprio perché si appunta sul suo legame con la realtà, portando al corto circuito la relazione tra dato storico e sua riscrittura narrativa.
È innegabile che The Crown mantenga una forte risonanza con la realtà, rafforzata da alcune delle sue caratteristiche salienti: la messa in scena di personaggi ancora presenti sulla scena pubblica; la precisione delle ricostruzioni scenografiche, che produce un forte realismo “di superficie”; il riferimento a fatti storici noti e tutt’ora vivi nella memoria di alcuni spettatori; l’impatto in termini di spettatori e la sua presenza ricorrente nei discorsi pubblici.
Non a caso, alla morte della regina la serie ha avuto un boom di visualizzazioni, proprio mentre le riprese si fermavano in segno di rispetto.
Tale relazione verità/finzione è stata, soprattutto nel Regno Unito, al centro di forti polemiche: la serie è stata accusata di resituire al pubblico una visione distorta della realtà storica, irrispettosa nei confronti della monarchia.
Proviamo allora a riflettere su questo aspetto centrale della ricezione di The Crown: che legame intrattiene la trama con i fatti realmente avvenuti? E come esso viene recepito nel discorso pubblico?
Le riprese si fermano alla morte della Regina: https://www.theguardian.com/tv-and-radio/2022/sep/09/the-crown-to-pause-filming-due-to-the-queen-death
Il boom di visualizzazioni di The Crown: https://www.theguardian.com/uk-news/2022/sep/13/the-crown-sees-surge-in-viewers-after-death-of-queen-elizabeth-ii
La serie
The Crown è stata ideata dallo sceneggiatore britannico Peter Morgan per la casa di produzione Left Bank Pictures. Morgan aveva già sceneggiato il film The Queen (2006), diretto da Stephen Frears e scritto lo spettacolo teatrale The Audience (2013), sugli incontri della regina con i Primi Ministri britannici. La regia era di Stephen Daldry, a sua volta coinvolto nella serie.
Sebbene inizialmente si pensasse a una co-produzione con la BBC, il servizio pubblico radiotelevisivo britannico, è stato poi il colosso della distribuzione online Netflix a finanziare quella che la cronaca ha subito registrato come la serie televisiva più costosa di sempre.
La narrazione di The Crown, incentrata sulla figura della regina, si avvia facendo proprie le convenzioni del racconto di formazione: Elisabetta si trova, molto giovane, a dover assumere su di sé l’importante ruolo istituzionale e le gravose responsabilità nei confronti della nazione, e deve imparare a farli convivere con la propria vita familiare.
Nel secondo episodio della serie, alla morte di re Giorgio VI, la Regina Madre ricorda a Elisabetta che deve mettere da parte la sua identità precedente, ora soppiantata da quella di regina. «Le due Elisabetta saranno spesso in conflitto tra di loro. Il punto è che la Corona deve vincere», scrive la Regina Madre alla nipote, dettando il conflitto drammatico di fondo delle prime stagioni (s01, e02).
The Crown intende dunque raccontare il privato di un personaggio che è per eccellenza pubblico, massimo esponente di uno tra i più potenti simboli dell’identità nazionale britannica, la monarchia. Per il pubblico del Regno Unito, la serie tocca quindi temi e personaggi che fanno parte di una storia e di un’appartenenza comune, per quanto possa essere controversa. Netflix invece è interessato meno a questioni identitarie che alla colonizzazione di un mercato globale: in quest’ottica la Corona rappresenta soprattutto un brand di successo, sicuro catalizzatore di interesse, non solo in patria.
La monarchia come racconto mediatico
Pubblico e privato, narrazione e realtà sono poli che fanno parte della percezione della monarchia ancora prima che essa venga raccontata nella serie. Ogni volta che ci si confronta con la famiglia reale, il confine tra realtà e rappresentazione appare confuso e instabile: che cosa si cela dietro gli elaborati cerimoniali? Cosa è vero di quello che i giornali raccontano? Quanto l’immagine pubblica della regina e della sua famiglia corrisponde alla loro autenticità di individui?
Forse, in parte, è proprio il mistero che circonda il vissuto di questi personaggi a rendere tanto avvincenti le narrazioni che li riguardano, pur nella consapevolezza della buona dose di invenzione narrativa che spesso le accompagna.
La famiglia reale stessa si presenta innanzitutto come un soggetto già messo in scena, codificato da protocolli e rituali che, nell’esporre i suoi membri allo sguardo pubblico, escludono per definizione l’accesso all’autenticità del loro mondo interiore. Semmai quest’ultimo ci arriva come narrazione mediatica, costruita dai tabloid, dalla televisione e dagli altri media che instancabilmente inseguono i reali per consegnare alla Gran Bretagna e al mondo intero l’inesauribile, e spesso fantasiosa, soap opera che li vede protagonisti.
The Crown dimostra la piena consapevolezza di questi meccanismi mettendo in scena la pervasività del discorso mediatico intorno alla Corona. La presenza di fotografi, giornalisti e reporter puntella la serie, insieme all’utilizzo di materiali di repertorio. La funzione di questi ultimi sembra meno quella di ancorare il racconto a un dato storico “oggettivo”, quanto piuttosto quella di descrivere la monarchia come un’istituzione la cui identità è costruita dalla stratificazione di discorsi e narrazioni molteplici, ufficiali o meno, e spesso tra loro conflittuali.
Del resto è il regno stesso di Elisabetta II ad aprirsi sotto il segno della mediatizzazione: la cerimonia della sua incoronazione è stata la prima a essere trasmessa in televisione, costruendo un vero e proprio evento mediatico. La serie sottolinea la crucialità di questo passaggio, alternando le immagini d’archivio in bianco e nero della BBC a quelle degli attori che recitano (s01, e05). A fare da spettatori diegetici delle prime sono gli ospiti del duca di Windsor, ex re Edoardo VIII, che ha abdicato in favore del padre della regina. Mentre il duca racconta ai suoi ospiti che allo spettatore televisivo non è possibile accedere con lo sguardo al momento più sacro della cerimonia, quello dell’unzione, le immagini ricostruite della serie lo mostrano in primo piano.
Questo passaggio svela il meccanismo alla base di The Crown: raccontare allo spettatore quanto normalmente non viene mostrato nei resoconti pubblici e mediatici, «unendo i puntini tra gli eventi conosciuti», come ha detto lo stesso Morgan, che non ha mai fatto mistero di aver usato le armi della finzione, pur appellandosi nelle dichiarazioni pubbliche a un senso di responsabilità nei confronti del soggetto messo in scena.
La narrazione si appunta innanzitutto su quanto è intimo, privato, dunque per definizione impossibile da sottoporre a prova, e la cui tenuta può essere verificata piuttosto alla luce della coerenza interna dei personaggi finzionali. La serie riproduce con minuzia maniacale (ed estremamente costosa) gli abiti, gli ambienti e i cerimoniali, ma non può che ipotizzare tutto quello che si è svolto lontano dai riflettori. The Crown propone una ricostruzione che ambisce a portare “dietro le quinte” dello sfarzoso spettacolo della monarchia, attenendosi a un principio di verosimiglianza ma non avendo la pretesa di narrare la verità dei fatti.
Nello stesso tempo, viene messa in scena la costruzione stessa dell’immagine della corona: il mito della corona è raccontato nel suo farsi, rivelando come la sua apparenza sia frutto di una serie precisa di strategie di posizionamento e narrazione di sé.
Le critiche di infedeltà ai fatti storici
Nonostante il successo di pubblico e il plauso della critica, The Crown è stato criticato per l’infedeltà ai fatti storici. Il tema è emerso come particolarmente sensibile dal momento che la narrazione non solo si appunta su uno dei simboli dell’identità nazionale, ma soprattutto ne rievoca fatti recenti e che riguardano persone ancora in vita al momento dell’uscita della serie. Inoltre, le polemiche si sono fatte più aspre all’uscita della quarta stagione: essa ha al centro il discusso periodo del governo di Margaret Thatcher, e soprattutto la relazione tra il Principe Carlo e Diana Spencer, che all’epoca ha minato a fondo l’immagine pubblica della Corona.
Proprio in occasione dell’uscita della quinta stagione, il Segretario di Stato per la Cultura del Regno Unito, Oliver Dowden, ha chiesto pubblicamente a Netflix di rendere esplicito, all’inizio di ogni episodio, che la serie è un’opera di finzione. Altrimenti, ha affermato l’esponente del Partito Conservatore, «ho paura che le generazioni di spettatori che non hanno vissuto all’epoca degli eventi possano confondere i fatti con la finzione».
Partendo da simili presupposti, giornalisti e storici, ma anche spettatori comuni, si sono affannati a trovare le differenze tra i fatti realmente accaduti e gli eventi narrati nella serie.
La preoccupazione per la possibilità che The Crown fornisca a chi la segue un ritratto troppo fantasioso della monarchia britannica si basa su una concezione della televisione come medium dalla forte vocazione educativa, che fa saldamente parte della tradizione del servizio pubblico britannico.
A questa visione, che affonda le radici nella storia dei media del Regno Unito, si somma tuttavia una concezione che poco ha a che fare con essa. «A causa delle lacune nell’insegnamento della storia in questo Paese, e della scarsità dell’insegnamento della storia britannica all’estero, in troppi guarderanno [lo show] confondendo la finzione con i fatti», ha scritto sul Daily Telegraph lo storico Simon Heffer.
Da considerazioni come questa emerge come il pubblico non sia tanto inteso come soggetto da educare, ma piuttosto come destinatario privo degli strumenti critici di base per distinguere la realtà dalla finzione. Gli spettatori sarebbero a rischio di credere vere delle invenzioni narrative e, ancor peggio, di farsi condizionare da una visione critica della monarchia di cui la serie sarebbe veicolo.
https://www.dailymail.co.uk/news/article-8996921/Culture-Secretary-Oliver-Dowden-demands-Netflix-make-clear-Crown-fiction.html
https://www.theguardian.com/tv-and-radio/2020/nov/29/the-crown-netflix-health-warning-fictional-oliver-dowden
https://www.theguardian.com/tv-and-radio/2019/sep/07/queen-olivia-colman-an-epic-budget-and-a-cast-of-thousands-a-year-behind-the-scenes-on-the-crown
https://www.telegraph.co.uk/tv/0/royal-family-right-furious-the-crown-this-series-disgrace/
https://www.nbcnews.com/news/world/crown-fact-or-fiction-british-royal-family-answer-matters-n1249661
Un articolo che rintraccia le infedeltà ai fatti storici: Inesattezze della serie: https://www.rd.com/list/what-the-crown-gets-wrong-british-royal-family/
Comprendere i prodotti mediali
Eppure, questo tipo di lettura, che giudica l’efficacia della serie a partire dalla sua (mancata) aderenza alla realtà, sembra non cogliere il punto.
Consideriamo innanzitutto la richiesta di porre all’inizio di ciascun episodio un disclaimer che dichiara il prodotto finzionale. A ben vedere, esistono già consegne di lettura che collocano la serie nell’ambito della finzione. Nel trailer si legge che The Crown è «ispirata a fatti realmente accaduti» (https://www.youtube.com/watch?v=JM77OJDASxQ), segnalando dunque la presenza di un intervento immaginativo nella messa in scena. Gli episodi della serie sono inoltre collocati sotto la categoria “drama” di Netflix, e non è presente alcuna indicazione che possa collegarli a un intento documentaristico.
Inoltre The Crown si inscrive nelle convenzioni del period drama. Quest’ultimo ha conosciuto di recente una rinnovata fortuna con produzioni britanniche come Downton Abbey (Julian Fellowes, 2010-2015), nel cui solco si inscrive la serie di Peter Morgan, insieme a Bridgerton (Chris Van Dusen, 2020-) e molti altri show che sfruttano la popolarità del genere (ad esempio, a tema monarchico: Victoria, ideato da Daisy Goodwin e trasmesso tra il 2016 e il 2019, e Becoming Elizabeth, del 2022, creata da Anya Reiss e dedicata agli anni giovanili di Elisabetta I).
Il passaggio all’età adulta, i rapporti amorosi, la relazione genitori-figli e i conflitti che si generano tra la vita privata di un individuo e i suoi doveri istituzionali sono archetipi più ampi, che in The Crown si incarnano in quel gruppo di famiglia insieme normale (nelle passioni che vive) ed eccezionale (per il ruolo che ricopre nei confronti della nazione e del mondo) che è la casa reale.
Il mondo narrativo si sviluppa secondo una coerenza interna che in definitiva appare, per un prodotto di questo tipo, più importante che l’adesione a una verità storica che in alcuni casi rimane irrimediabilmente solo presunta.
Considerata dal punto di vista dell’educazione alla comprensione dei prodotti mediali, la questione può dunque essere impostata in questi termini: siamo in grado di decifrare le consegne di lettura che accompagnano i testi e ne orientano la ricezione?
La nostra interpretazione dei prodotti mediali tiene conto di fattori come il contesto in cui sono realizzati e di quello in cui circolano, gli aspetti produttivi, il genere, le indicazioni di lettura testuali e paratestuali (come il già citato trailer)?
Ad esempio, è sensato criticare una serie prodotta da Netflix, colosso dell’intrattenimento, perché disattende il compito educativo di fornire un resoconto veritiero della storia recente del Regno Unito? Attribuire a un’industria dei compiti cui è più vocato, come già accennato, il servizio pubblico, è un fraintendimento di fondo che mina la comprensione di ciò che si sta guardando.
Ciò non significa che la serie non possa essere il punto di partenza per una riflessione sulla storia, ma essa deve essere attentamente guidata. Si potranno allora indagare da un lato la realtà dei fatti storici, dall’altro le esigenze narrative che hanno portato a cambiarli (o inventarli), e si rifletterà sulle regole del racconto di finzione.
Nella comprensione dei prodotti di intrattenimento entrano in causa una ricca serie di competenze: conoscenza degli assetti del sistema mediale contemporaneo; riflessione critica sulle indicazioni di lettura che accompagnano i testi di cui fruiamo; abilità nell’interpretare le immagini e i significati che veicolano, oltre che le logiche che le sottendono; percezione del confine tra intrattenimento ed educazione, ma anche delle modalità in cui questi due poli si ibridano e si intrecciano. Si tratta di un insieme di questioni che vanno oltre The Crown e si rivelano centrali per orientarsi nello scenario contemporaneo, attraversandone la complessità in modo consapevole.
Comunicato della famiglia reale: https://www.theguardian.com/tv-and-radio/2019/sep/13/the-crown-on-netflix-has-no-royal-seal-of-approval
Un commento di Carlo d’Inghilterra: https://ukdaily.news/prince-charles-stuns-brits-by-revealing-how-he-really-feels-about-netflixs-the-crown-im-not-anywhere-near-what-they-make-me-out-to-be-48130.html
Apprezzamento del Principe Harry: https://www.youtube.com/watch?v=BeQo61cKc_A
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