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Ingannare la vista

Esperimenti come la coppa di Rubin o il triangolo di Kanisza sono detti “illusioni percettive”. La vista degli esseri umani è un senso eccezionale e complesso, che da secoli stimola la ricerca in ambito scientifico e psicologico.

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Forse, mentre saliamo le scale, non sappiamo bene cosa succede dentro di noi: muoviamo prima il piede destro o quello sinistro? Quanto dobbiamo sollevare il ginocchio? È solo quando inciampiamo che focalizziamo l’attenzione sulla normalità dei nostri movimenti.

Lo stesso vale per la vista. Sono i casi anomali ad aiutarci a capire come avviene un’attività così naturale come usare gli occhi. Ecco perché le illusioni percettive sono una delle chiavi per capire la vista.

Vedere con il cervello

La vista è senza dubbio il più importante dei nostri sensi, ma nonostante la mole di studi neurologici e psicologici che riguardano questo senso, molti aspetti del suo funzionamento restano oggetto di discussione. In effetti, le teorie che spiegano la visione sono parecchie e spesso divergenti tra loro, ma su una cosa concordano: gli occhi sono senza dubbio importanti, ma si vede soprattutto con il cervello. A questo proposito, con arguzia, il neuroscienziato David Eagleman paragona i nostri occhi ad agenti in missione: non vediamo tutto ciò che si può vedere, ma solo quello che ci occorre e inoltre i nostri strumenti per comprendere la realtà uniscono insieme la visione, la deduzione e la fantasia. Anzi, il cervello deve imparare a vedere, cosa che accade a chi recupera la capacità di vedere, ma sulle prime non riesce a decifrare ciò che osserva. I nostri occhi, infatti, ricevono stimoli che vengono elaborati dal cervello ed è quest’ultimo il responsabile dell’immagine mentale che abbiano in noi. Traendo le conclusioni di questa considerazione, un po’ provocatoriamente, David Eagleman si spinge ad asserire che l’unica differenza tra le allucinazioni e le visioni reali sta solo nel maggior ancoraggio alla realtà di queste ultime.

Occorre allora chiedersi in che modo il cervello influisca sulla visione. Che cosa ci permette di vedere il mondo in modo ordinato e non “con la furia disorganizzata di un dipinto di Picasso” – per riprendere una colorita espressione del  biologo John Medina?

La psicologia della forma

La risposta a questa domanda dipende dalla prospettiva scientifica che si adotta. Il primo studio sistematico di psicologia della visione è stato svolto dalla psicologia della forma (Gestaltpsychologie), secondo la quale la vista si basa su una serie di principi che organizzano i dati percettivi. Presi uno per uno, come stimoli sulla retina, i dati percepiti infatti non hanno una particolare parentela tra loro. Secondo i teorici della Gestalt, però, la nostra percezione non è frammentaria, ma globale e inoltre è orientata da una serie di principi: per esempio, in modo automatico distinguiamo una figura dal suo sfondo, raggruppiamo oggetti dalla forma simile quando si presentano all’interno di insiemi, completiamo figure dai contorni aperti, eccetera.

Le illusioni percettive ci fanno comprendere la validità di queste tesi. Perché nel caso della figura successiva (la coppa di Rubin) vediamo sia una coppa che due profili?

Perché l’immagine è stata disegnata in modo tale che volutamente la distinzione sfondo/figura sia impossibile. 

L’immagine che segue ci appare a prima vista un triangolo, ma solo perché, come spiega il suo ideatore, lo psicologo Gaetano Kanisza, la vista tende a completare le figure laddove non lo siano esse stesse: è il cosiddetta completamento amodale.

Se queste illusioni percettive sono volutamente realizzate per mettere in rilievo gli apriori della vista, altre sono il frutto della casualità, come quella scoperta dal fisico David Brewster: egli si rese conto che un motivo ripetuto sulla carta da parati generava talvolta un effetto di profondità. Anzi, aggiunge lo psicologo Stefen Pinker, se in una sequenza di fiori stampati un paio di essi sono più vicini tra loro, appariranno più vicini ai nostri occhi. Ciò dipende dal fatto che le linee visuali che vanno dai fiori agli occhi si avvicinano.

Altre illusioni sono create per  favorire la comunicazione: pensiamo all’insegna di alcune farmacie, nella quale una croce sembra ingrandirsi, quando in realtà si illuminano in successione delle lampadine disposte a forma di croce su perimetri progressivamente più grandi.

Oltre la Gelstat

La Gestalt risale al primo Novecento, ma la sua esperienza ha lasciato una profonda eredità sulla psicologia della percezione. Nel secondo Novecento sono però comparse altre psicologie interessate alla visione. La psicologia cognitiva, per esempio, ha interpretato il processo della visione come un meccanismo complesso, composto da una molteplicità di operazioni che agiscono sui singoli dati percettivi e non come un unico atto.

Anche per i cognitivisti però il cervello guida la percezione, nel senso che interviene sui dati percettivi in fase di elaborazione sulla base di conoscenze precedenti. Lo psicologo della visione Stefano Mastrandrea spiega questo processo con l’esempio della lettura: mano mano che leggiamo le singole lettere di una parola, sulla base del contesto, immaginiamo quale sarà la parola stessa: in un romanzo ambientato nei mari tropicali una “n” sarà più verosimilmente l’esordio di “nave” che non di “neve”.

Studi successivi hanno cercato superare la prospettiva della Gelstat e quella del cognitivismo, proponendosi di integrare l’idea di schemi percettivi con quella delle operazioni compiute dal cervello.

A dire il vero già un esponente della Gestalt, David Katz afferma che la sua corrente di analisi nasce in opposizione alla “psicologia atomistica”, che spezzetta la percezione in micromeccanismi, ma non esclude che in futuro le due prospettive possano trovare una sintesi.

Più gli studi sul funzionamento della vista avanzano, più il meccanismo di quest’ultima appare complicato. Né l’idea di un atto percettivo globale né quella di un processo che procede dalla percezione all’elaborazione sono più convincenti. Forse già a livello della retina, spiega in effetti John Medina, cellule nervose specializzate elaborano informazioni parziali:  alcune percepiscono il contorno, altre il movimento, altre le ombre, per trasmettere le informazioni così disassemblate (o “tracce”) più in profondità, dove vengono rielaborate e riassemblate in aree peculiari del cervello.

Se non tutto è chiaro sul funzionamento della vista, almeno è evidente che dietro ogni immagine del mondo percepito dagli occhi, c’è stato un lungo, oscuro, affascinante lavoro.

Bibliografia

David Eagleman, In incognito. La vita segreta della mente, Mondandori, Milano 2012
David Katz, Psicologia della forma, Bollati Boringhieri, Torino (1979)
Stefano Mastrandrea, Psicologia della percezione, Carocci Roma 2022
John Medina, Il cervello. Istruzioni per l’uso, Bollati Boringhieri, Torino 2010
Stefen Pinker, Come funziona la mente, Mondadori Milano 2000

Crediti immagine banner: valeo5 / 123RF

Coppa di Rubin. Crediti: illustrazione di sutana sutana / iStockPhoto 

Illustrazione di iluslab / Alamy

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