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2. L’ITALIA BIPOLARE. LE ELEZIONI DEL 13-14 APRILE 2008

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Nuove forze in campo: il Partito democratico e il Popolo della libertà. Le elezioni del 13-14 aprile 2008 hanno segnato una svolta importante nella storia della «seconda Repubblica». Seguite alla caduta del governo Prodi (2006-2008) e alla fine anticipata della XV Legislatura, esse hanno prima sollecitato e poi registrato una rilevante ristrutturazione del sistema dei partiti che aveva preso forma sin dal 1994. Il cuore di questa ristrutturazione è stata la nascita, tra l’ottobre e il novembre 2007, di due nuove formazioni politiche: il Partito democratico (Pd) e il Popolo della libertà (Pdl). Il primo sorto dalla fusione delle due principali componenti del centrosinistra, i Democratici di sinistra (Ds) e la Margherita. Il secondo frutto della convergenza di Forza Italia di Silvio Berlusconi e di Alleanza nazionale di Gianfranco Fini in un unico soggetto politico. Sono stati questi due partiti, guidati rispettivamente da Walter Veltroni e da Berlusconi, i principali competitor delle elezioni del 2008. Le quali, come già quelle del 2006 e quelle del 2013, si sono svolte con una contestatissima legge elettorale, il cosiddetto Porcellum, che ne ha in qualche modo favorito gli esiti.
La vigilia e i risultati delle elezioni del 2008. Alla vigilia delle elezioni, facendo leva su quei dispositivi della legge elettorale che ponevano soglie di sbarramento alte per i partiti che correvano da soli, sia il Pd sia il Pdl provarono a forzare a proprio vantaggio la tradizionale frammentazione del sistema dei partiti con una politica di alleanze molto selettiva. Il Pd, in particolare, si presentò all’ap­puntamento elettorale con un unico alleato, l’Italia dei valori (Idv) di Antonio Di Pietro, prendendo le distanze dalla «sinistra radicale». Sul versante opposto, il Pdl si coalizzò con la Lega Nord di Umberto Bossi e con il Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo. In tal modo, molte piccole e me­die formazioni politiche si trovarono a dover «correre da sole», rischiando di essere escluse dal Parlamento.
In questo quadro i risultati della consultazione elettorale furono molto netti. Essi diedero al centrodestra una forte maggioranza di voti: il 46,8% a fronte del 37,5% ottenuto dal centrosinistra. Parte non secondaria di questo successo fu dovuta alla prepotente ripresa della Lega Nord, che raddoppiò i suoi consensi (8,3%). Al di là di questo dato, tuttavia, lo scarto tra i due poli – 9,3%, circa 3,3 milioni di voti – era enorme: non soltanto rispetto alle consultazioni del 2006, ma rispetto a tutte le elezioni della seconda Repubblica, che non avevano mai dato un simile vantaggio alla coalizione risultata di volta in volta vincente.
A questo primo elemento di novità se ne deve aggiungere un secondo: l’uscita di scena di un gran numero di formazioni che avevano reso assai frammentato il quadro della politica italiana. Riuscirono infatti ad accedere alla Camera e al Senato soltanto sei forze politiche (circa la metà di quelle che erano presenti nel precedente Parlamento): i cinque partiti coalizzati nei due poli di centrodestra (Pdl, Lega, Movimento per l’autonomia) e di centrosinistra (Pd, Idv) e, unica eccezione tra i partiti non coalizzati, l’Udc di Casini, che ottenne il 5,6% dei voti. Si trattava di una drastica semplificazione del sistema dei partiti che, almeno per il momento, consolidava l’assetto «bipolare» della seconda Repubblica.

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