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Cinema e giovani

La scoperta dell’amore, la paura di crescere, il rapporto dialettico con scuola, amici e genitori: le problematiche giovanili sono fonte continua di ispirazione per il grande schermo. Il cinema, ormai più che centenario, trova in ragazzi e adolescenti il terreno vitale per rinnovarsi continuamente.

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Che ne può sapere dei giovani un canuto “matusalemme” di oltre 120 anni? Comparso addirittura alla fine dell'800, il cinema parrebbe lontanissimo dal mondo di chi è nato nell'era di Internet e dei social. E invece non è così. L'amore fra coetanei, i rapporti spesso burrascosi con la famiglia, le amicizie, la scuola, lo sport, la voglia e la fatica di crescere: non c'è momento dell'universo giovanile che registi e sceneggiatori non abbiano scandagliato. Non solo a Hollywood: le tematiche giovanili attraversano le produzioni di tutti i Paesi. In un panorama così vertiginosamente vasto, abbiamo scelto sei esempi capaci di coniugare piacevolezza spettacolare e profondità di analisi, restringendo la scelta all'America e all'Italia, dagli anni 60 del secolo scorso ai nostri giorni.

Lady Bird, di Greta Gerwig (Usa 2017)

Con mamma proprio non c'è dialogo, con papà le cose vanno un poco meglio, ma non troppo. Il fatto è che Christine rifiuta tutto quanto le viene dalla famiglia, a partire dal nome di battesimo: da qualche tempo ha deciso di farsi chiamare Lady Bird, non solo a scuola, ma anche in casa. Siamo a Sacramento, in California, all'inizio degli anni 2000. Christine, pardon Lady Bird, frequenta l'ultimo anno di una scuola cattolica, coltivando un grande sogno: andarsene dalla sua città non appena finite le superiori, possibilmente a New York, riuscendo a farsi accettare da un college importante. Ed è questo il primo motivo di frizione con i suoi, soprattutto con la madre: i soldi sono pochi, i costi di una scuola di questo tipo non sono sopportabili. Che fare dunque, accettare che tutto si blocchi, che la vita continui anche in futuro in quel mortorio di Sacramento? Il film segue Lady Bird lungo tutto l'anno scolastico. I rapporti, non sempre facili, con alcune amiche; la solidarietà (inaspettata!) di una suora; il corso di recitazione, che si dimostra molto importante per capire le proprie possibilità e aumentare così l'autostima; due fidanzati, l'uno l'opposto dell'altro, anche loro importanti per compiere un passo decisivo verso la maturità. La regista sceglie i toni della commedia, divertente e delicata, mai sboccata, sempre attentissima all'evolversi delle psicologie dei personaggi. Christine-Lady Bird è una ragazza “vera”, concreta, a cui volere bene anche quando – o forse soprattutto – dimostra tutta la sua fragilità. È, quello di Greta Gerwig, un cinema americano lontanissimo dall'ideologia dei blockbuster, i “filmoni” made in Hollywood attenti solo agli incassi. La sua è un'autenticità che ci conquista.

L'intervallo, di Leonardo Di Costanzo (Italia 2012)

Da Sacramento a Napoli, dai contrasti con i genitori alla durezza di una realtà quotidiana dominata da degrado e malavita. E due giovani, un ragazzo e una ragazza, costretti a confrontarsi con questo mondo dominato da regole tutte sue. Lui è il figlio di un venditore ambulante di granite: ogni giorno in giro con il carrettino, un mestiere antico, sopravvivenza arcaica, teneramente fuori tempo. Lei ha fatto uno “sgarro”, è uscita con un ragazzo di un altro clan: anche questa una sopravvivenza di codici arcaici, usciti dal tempo senza tempo della sottocultura malavitosa. Per un giorno, da mattino a sera, il ragazzo deve interrompere il lavoro abituale: per ordine di un capobanda, dovrà sorvegliare la sua quasi coetanea, tenerla chiusa in un edificio abbandonato in attesa della dovuta punizione. Salvatore e Veronica, questi i loro nomi, si scontrano, si confrontano, si detestano, si capiscono, si guardano negli occhi, si confidano nell'arco di poche ore. Immersi in uno spazio fatiscente, dove macerie e immondizia sembrano rimandare costantemente a una realtà ambientale senza speranza. Eppure, loro sono due fiori, incredibilmente. Sotto la superficie di durezza spigolosa, conservano sentimenti gentili, speranze, voglia di fuggire. Nessuna retorica, dialoghi scarni, due interpreti di straordinaria semplicità, immediatezza, umanità. Confrontati con il male della camorra, dell'indifferenza, dell'ineluttabilità di un destino già scritto. Soffriamo con loro e, nell'ultima inquadratura, davvero speriamo che abbiano la possibilità (e trovino la forza) di fuggire altrove.

Il posto, di Ermanno Olmi (Italia 1961)

Un'altra Italia, completamente differente dalla nostra. L'Italia del “boom” economico, dei primi anni 60 del secolo scorso, tutta presa dalla voglia di lasciarsi alle spalle la miseria di secoli. Domenico, il giovanissimo protagonista, è un rappresentante esemplare di questa Italia “in bianco e nero”, pervasa dal miraggio del posto di lavoro. In città, ovviamente, perché è la città la grande protagonista di quegli anni, il luogo in cui lo sviluppo industriale raggiunge il suo massimo. E tra le città, Milano è una delle prime. Da Meda, borgo di periferia, Domenico gravita appunto sul capoluogo. Deve presentarsi a un colloquio in una grande azienda,: la mamma casalinga e soprattutto il papà, operaio, lo spronano per dare il meglio di sé. Le prove d'esame vanno bene, l'assunzione arriva, anche se per una mansione molto umile (poi si vedrà…). Ma non è questa la cosa più emozionante. Il fatto è che, fra gli aspiranti al lavoro, c'è anche Antonietta, una ragazzina dolce, semplice, simpatica: perché non farle la corte? Con il pudore che da sempre contraddistingue le sue opere, Olmi segue le fasi iniziali di questo possibile innamoramento: le ansie di lui, i sorrisi e gli sguardi lei, le prime, tenerissime avance. E poi… E poi inizia la routine del lavoro, lui la cerca, ma lei chissà in quale ufficio l'hanno messa a sgobbare. Il finale è aperto: il lavoro c'è, ed è una gran bella cosa; l'amore è stato solo “assaggiato” e forse, chissà, potrà anche sbocciare. Una curiosità: l'interprete della delicata Antonietta è Loredana Detto, destinata nella vita reale a diventare la moglie di Ermanno Olmi. Il modo in cui la macchina da presa la inquadra e la segue amorosamente racconta davvero tutto sui sentimenti del regista nei suoi confronti.

Ready Player One, di Steven Spielberg (Usa 2018)

Si svolge nel futuro, ma parla di oggi. Del nostro oggi. Anno 2045: la vita reale ha perso ogni senso, le persone si ignorano trascorrendo giorni e notti ognuna rinchiusa nella sua infinitesima, meschina parte di mondo. La vita vera, quella che dispensa adrenalina, si svolge in un universo virtuale, OASIS, al quale si accede attraverso software sempre più sofisticati. Qui ognuno può assumere un'altra identità, diventando quello che non è. Si tratta di un gioco (il “Gioco di Anorak”) che coinvolge praticamente tutti: in palio la possibilità di diventare proprietari della potentissima società commerciale che lo ha organizzato. Wade, il protagonista, è un giovane di Columbus, nell'Ohio. La sua insignificante quotidianità si accende non appena indossa il casco e entra nell'”altro” mondo. Qui incontra nuovi amici, qui trova anche una ragazza di cui subito si innamora. Ma sono maschere, non persone: chi si nasconde dietro il loro avatar? Il contrasto tra i due universi paralleli non potrebbe essere più profondo: da una parte povertà, squallore, miseria umana; dall'altra colori, musica, velocità vorticosa, esattamente come in un videogioco, con la consueta iperdose di effetti speciali. Un cinema all'esatto opposto di quello di Olmi: tanto ricco e sovrabbondante questo quanto quello era misurato ed essenziale. Ma ciò che i due registi ci vogliono comunicare è, paradossalmente, quasi lo stesso: la semplicità, i rapporti umani, l'amore sono le sole cose che contano. Wade lo scopre tappa dopo tappa, mentre risolve gli enigmi del gioco. E, quando infine arriva a vincerlo, avrà una ricetta per cambiare (almeno lo spera) l'esistenza di ognuno: restare nella realtà, con i piedi per terra, senza continuamente fuggire in mondi che non esistono. Nel 2045, esattamente come oggi.

Romeo e Giulietta, di Franco Zeffirelli (Italia – Gran Bretagna 1968) / Romeo + Giulietta di William Shakespeare, di Baz Luhrmann (Usa 1996)

Di riassumere la trama, in questo caso, non c'è proprio bisogno. Romeo e Giulietta, la più profonda, trascinante, straziante storia d'amore che sia mai stata scritta. Ogni anno i cartelloni teatrali continuano a riproporla; e anche il cinema l'ha ripresa moltissime volte. La proposta è di mettere a confronto la versione, classica, di Zeffirelli con quella, attualizzata, del visionario Lurhmann. È un modo diretto, immediato per vedere come il testo di Shakespeare sia in grado di attraversare il tempo. Il regista italiano ricostruisce la Verona dell'epoca, sceglie con estrema accuratezza costumi e scenografie, e ha un vero colpo di genio nella scelta degli interpreti. Un ragazzo e una ragazza belli e luminosi, aperti alla vita: quando la tragedia li colpisce, lo shock per lo spettatore è violentissimo, tanto è forte l'ingiustizia di quello che il destino ha preparato nei loro confronti. Da notare la data di produzione del film: il 1968, l'anno della ribellione giovanile. Zeffirelli coglie l'”aria del tempo”, dà vita ai sogni, riuscendo a trasmettere sia il vitalismo dei suoi protagonisti, sia la durezza della storia contemporanea (che di lì a poco avrebbe infranto anche gli ideali dei sessantottini). Lurhmann fa invece un salto di secoli. Il suo adattamento inizia con un notiziario tv, da una città chiamata Verona Beach (!), nella California dei nostri giorni. Capuleti e Montecchi, potenti e ricchissime famiglie, si scontrano come sempre, non più con le spade ma con pistole e fucili. Anche in questo caso la scelta dei due protagonisti (Leonardo Di Caprio e Claire Danes) si rivela vincente. Il loro vitalismo e il loro intensissimo desiderio amoroso sembrano poter vincere ogni ostacolo. Uno Shakespeare “pop”, che può forse infastidire i puristi. Ma uno Shakespeare che arriva dritto al cuore, attraversando i secoli.

Crediti immagini Peter Zurek – Shutterstock

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