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L’intelligenza asservita

Ludovico Testa espone la storia del “patto con il diavolo di Albert Speer”, l’architetto di Hitler.

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Nei sistemi totalitari, il coinvolgimento della comunità popolare alla costruzione del “nuovo ordine” proclamato dall’élite al potere costituisce una condizione indispensabile per la sua realizzazione. Perché lo Stato totalitario non si limita a imporre la propria volontà ai governati, ma esige anche che questi partecipino attivamente alla vita pubblica, che appoggino il regime e si mobilitino in favore dei principi su cui esso si basa. Le disposizioni legislative e le misure repressive adottate dal regime nazista non sarebbero risultate certo sufficienti a garantire l’appoggio della popolazione tedesca alla weltanschauung nazionalsocialista. Così già avveniva in Italia e in Unione sovietica, la capillare opera di educazione ai nuovi modelli culturali e la pluralità di iniziative di mobilitazione popolare si imposero, dunque, anche nella Germania nazista, quali strumenti di primaria importanza al fine di guadagnare l’adesione delle masse.

Particolare attenzione venne riservata, in tal senso, all’indottrinamento delle nuove generazioni, inquadrate nella Hitlerjugend di Baldur von Schirach, alla quale era affidato il compito di garantire l’immortalità del regime. Nel contempo, gli studi e i trattati sulle origini e la “missione” della razza germanica condotti da Alfred Rosenberg si sforzarono di conferire dignità scientifica ai fondamenti ideologici del regime, mentre, sotto l’abile direzione di Joseph Goebbels, stampa, radio e cinema divennero protagonisti di una martellante campagna propagandistica, volta a favorire un generale livellamento delle coscienze. All’interno delle grandiose opere architettoniche, progettate dal giovane e ambizioso architetto Albert Speer per contenere moltitudini di persone e stupire i visitatori stranieri, il partito e le organizzazioni a esso affiliate celebrarono immensi raduni, che avevano l’effetto di rafforzare nel singolo lo spirito di appartenenza e di sottomissione alla comunità popolare. Come in preda a un’ipnosi collettiva, l’intera nazione tedesca imparò a marciare compatta al grido di “Ein Reich, ein Volk, ein Führer”.

L’esordio

Tra gli imputati di Norimberga l’unico disposto ad assumersi la responsabilità dei crimini contestati dal tribunale fu proprio Albert Speer, una delle personalità più interessanti tra tutti i gerarchi del Terzo Reich. Nella sua rapida carriera, percorsa all’interno dello Stato nazista, prima come architetto favorito di Hitler e poi come ministro degli armamenti, è possibile individuare i riflessi del moderno rapporto tra la politica e la tecnica, tra l’uomo tecnologico e l’apparato all’interno del quale egli è chiamato a operare. Per oltre dieci anni Speer si illuse di poter adempiere ai compiti via via assegnatigli senza farsi in alcun modo coinvolgere nei terrificanti effetti prodotti dalla dittatura che aveva scelto di servire e alla cui popolarità e longevità egli contribuì in maniera rilevante.

Giovane e ambizioso architetto, Speer si era iscritto al partito relativamente tardi, nel 1931, ma nello spazio di pochi mesi aveva già portato a termine due commissioni affidategli da Goebbels, allora Gauleiter (capo di sezione del partito) di Berlino: la ristrutturazione della “Casa del Gau” nel centro della capitale e, subito dopo la presa del potere da parte della NSDAP, una serie di interventi nel nuova sede che avrebbe ospitato il Ministero della propaganda. La prima vera occasione per mettere in mostra il proprio talento si presentò a Speer nell’aprile del ’33, quando ottenne l’incarico di allestire la scenografia della grande adunata serale, convocata nella spianata dell’aeroporto di Tempelhof per celebrare la festività del Primo Maggio, che Hitler aveva usurpato ai sindacati ribattezzandola “festa della comunità del popolo”. Il progetto di un grande palco sormontato da enormi bandiere e l’innovativo utilizzo di potenti riflettori per esaltare il gioco di contrasti tra luce e ombra entusiasmarono il cancelliere e marcarono il primo passo di una folgorante carriera.

Pochi mesi dopo, il ventottenne architetto assumeva la direzione dei lavori per la ristrutturazione della Cancelleria del Reich a Berlino e le frequenti visite effettuate da Hitler nel cantiere segnarono l’inizio di un legame profondo e assolutamente anomalo per le ultrariservate abitudini del Führer. Giovane, intelligente, distinto e particolarmente dotato per una professione che Hitler aveva tentato di intraprendere senza successo negli anni giovanili trascorsi a Vienna, Speer aveva tutte le caratteristiche per piacere al nuovo padrone della Germania e per soddisfarne le megalomani ambizioni. La realizzazione di grandiose opere architettoniche avrebbe, infatti, dovuto contribuire in modo determinante alla nuova immagine di potenza che il regime intendeva trasmettere ai contemporanei e ai posteri e Speer fece di tutto per assecondare il gusto neoclassico e monumentale di Hitler.

L’ascesa

Il primo grande successo ottenuto dal giovane architetto risale all’inizio del 1934, quando venne incaricato di adattare il campo Zeppelin a Norimberga alle esigenze dell’annuale congresso del partito. Nel progetto realizzato da Speer, il Führer e gli alti gerarchi della NSDAP avrebbero celebrato i fasti del regime dalla sommità dell’imponente tribuna, lunga 390 metri, di fronte a un’assemblea di 150.000 persone ordinate in ranghi ben serrati. La maestosità della scena era assicurata da una geniale trovata, consistente nel dislocare lungo il perimetro del campo 130 potentissimi riflettori antiaerei, capaci di proiettare per chilometri nell’oscurità singoli coni di luce, simili a colonne di un enorme tempio, che alla fine si fondevano in una cupola luminosa. All’interno di quella che l’ambasciatore inglese, visibilmente impressionato, definì una “cattedrale di luce”, le fiaccole, le bandiere e le sfilate contribuivano a esaltare il significato liturgico delle imponenti adunate notturne del partito.

Il successo dell’opera aprì a Speer le porte degli incarichi colossali. Nel 1935 Hitler gli affidò il compito di progettare per i futuri congressi della NSDAP un’intera area di Norimberga, destinata a ospitare enormi costruzioni, quali una sala dei congressi con 60.000 posti, uno stadio capace di contenere 500.000 spettatori e un campo per le sfilate lungo un chilometro per settecento metri. Solo per lo stadio furono ordinati blocchi di granito per molti milioni di marchi poiché, nella prospettiva di un Reich destinato a durare mille anni, la scelta del materiale da costruzione rivestiva per il Führer particolare importanza. Suggestionato dalla “Teoria sul valore delle rovine” (Theorie vom Ruinenwert) rilanciata da Speer, ponendo la prima pietra della sala dei congressi Hitler dichiarò: «Se il movimento dovesse un giorno tacere, sarà questo testimone a parlare anche tra millenni. In mezzo a un boschetto sacro di antiche querce la gente ammirerà con reverente stupore questo primo gigante tra le costruzioni del Terzo Reich»[1]. Premiato con il Grand Prix all’Esposizione Universale di Parigi del 1937, il progetto urbanistico di Speer non verrà mai portato a termine e con esso molti altri incarichicome quello di ispettore generale per la ricostruzione di Berlino, che avrebbe cambiato il volto della capitale con interventi urbanistici radicali e la costruzione di gigantesche opere architettoniche – non andarono oltre le miniature dei plastici. Ciò era, comunque, sufficiente per dare vita a lunghe e appassionate discussioni di architettura tra Hitler e Speer, il cui rapporto divenne sempre più esclusivo.

Il tecnocrate

Immerso nel lavoro e stordito dalla rapida ascesa, Speer non si rese conto o, meglio, non volle rendersi conto, della cupa piega che nel frattempo stavano prendendo gli eventi attorno a lui. L’occupazione dell’Austria e della regione dei Sudeti (provincia tedescofona della Cecoslovacchia) da parte delle truppe tedesche nel corso del 1938 furono accolte dall’architetto di Hitler con una sorta di benevola indifferenza e anche la drammatica Notte dei cristalli (8-9 novembre 1938), in cui in tutta la Germania centinaia di negozi di ebrei vennero saccheggiati e molte sinagoghe devastate e incendiate, non produssero in Speer che un senso di disagio, per quella che ricorderà come «un’ impressione di disordine fatto di travi carbonizzate, di muri crollati, di suppellettili bruciate… le vetrine infrante ferirono il mio senso borghese di conservazione».[2]

Il suo tentativo di chiudersi ermeticamente in una sorta di isolamento apolitico sarebbe stato messo a dura prova negli anni seguenti quando, nominato nel 1942 Ministro degli armamenti a seguito della morte di Fritz Todt, verrà chiamato ad assumere responsabilità di primo piano al servizio del paese in guerra. Le doti organizzative già dimostrate da Speer come architetto si adattarono perfettamente alle nuove mansioni e, in breve tempo, egli fu in grado di riorganizzare l’industria bellica secondo criteri di efficienza, eliminando sprechi e disfunzioni nell’apparato produttivo. La struttura burocratica venne drasticamente semplificata e il nuovo ministro si avvalse di collaboratori scelti unicamente in base al criterio della professionalità. Nel 1944 la produzione di armi aumentò di sette volte rispetto al 1942, e questo nonostante i sempre più pesanti bombardamenti anglo-americani sull’apparato industriale tedesco. Anche nelle nuove vesti ministeriali Speer rimase sostanzialmente un tecnico, concentrato sugli indici di produzione e indifferente di fronte all’assunzione di responsabilità che esulassero dall’assolvimento dei compiti che gli erano stati assegnati. L’impiego di centinaia di migliaia di ebrei e di lavoratori coatti rastrellati in tutta Europa e costretti a lavorare in condizioni disumane, non costituì motivo di preoccupazione per il ministro degli armamenti, interessato esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

I successi ottenuti sul piano delle produzione bellica non riusciranno comunque a colmare il vuoto lasciato da tanti progetti architettonici incompiuti. Dalla cella della prigione nella quale sconterà la condanna a 20 anni di reclusione, nel ricordare i mesi trascorsi a elaborare i piani per trasformazione urbanistica di Berlino gli orrori del conflitto passavano quasi in secondo piano agli occhi di Speer, rispetto al senso di frustrazione professionale, unito a un risentimento quasi infantile nei confronti di Hitler che, lamentava, si era «buttato a capofitto nella guerra inseguendo i suoi sogni di potenza politica e così facendo ha anche distrutto il progetto della mia vita».[3].


[1] Joachim Fest, Il volto del Terzo Reich, Mursia, Milano 1970, p 321

[2] Albert Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 1995, p. 135

[3] Guido Knopp, Tutti gli uomini di Hitler, Corbaccio, Milano 1999, p. 281


 (Crediti immagine: Große Halle, Albert Speer, Wikimedia Commons)