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Il passato ci parla

Chronos, kairòs, aiòn, eterno ritorno

I Greci avevano tre parole per indicare il tempo: chronos, aiòn e kairòs. E almeno due idee sul suo andamento, lineare o circolare. Roberta Ioli ci accompagna in un affascinante percorso attraverso la cultura antica, che arriva al concetto di eterno ritorno, ripreso nel pensiero moderno da Nietzsche
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“Il tempo è un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno”. Così l’oscuro Eraclito parlava del tempo: immagine criptica, che associa la leggerezza del gioco, la casualità di un lancio di dadi all’inesorabilità del tempo e al mistero del suo svolgimento. L’uomo ha sempre rivolto un’attenzione speciale al trascorrere del tempo, soprattutto al futuro e alla sua predizione: basti pensare all’arte della divinazione, sviluppata fin dalla preistoria e poi praticata nelle più antiche civiltà con un rigore sistematico e con onori tributati ai sacerdoti che ne erano i detentori. A loro si doveva la capacità rarissima di leggere i segni, interpretando in tal modo il volere degli dei. Indovini, àuguri, aruspici si ponevano come preziosi intermediari tra la volontà dei numi e il mondo dei mortali, poiché il futuro parlava al presente attraverso l’accurata interpretazione dei segni inviati dagli dei, quasi una mappa criptata che solo l’occhio sapiente era in grado di decifrare.  

Il futuro nel passato

Eppure il futuro è da sempre legato, in un’inscindibile filiazione, al passato. Fin nella sua etimologia, la parola futuro rappresenta una declinazione a venire dell’essere, dell’esistere, ma insieme contiene la radice del passato. Il termine futurum è infatti, nella sua origine latina, participio futuro del verbo “essere”, e indica “ciò che sta per essere o accadere”, “ciò che è destinato ad essere”. Al tempo stesso, però, tale forma si origina dalla radice fu-, che corrisponde appunto alla radice tematica del tempo perfetto, cioè del passato. Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo, che i greci evocavano attraverso tre diversi termini: chronos è la successione di istanti, il tempo nella sua sequenza cronologica e quantitativa, oltre che divinità terribile e potentissima. Con aiòn si allude invece alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare. Infine kairòs indica l’occasione, il momento propizio da cogliere nella sua veloce istantaneità: qui il tempo sembra vivere solo come presente, rispetto al quale una vigile capacità di lettura o di “cattura” determina lo sviluppo del futuro. Nella strategia militare, nell’anamnesi del medico, nell’abilità del retore opera soprattutto il kairòs, e con ciò lo sviluppo di un tempo svincolato dal volere degli dei, in cui si colloca l’autonomo agire dell’uomo. Questa possibilità, che nasce da un’intelligenza e conoscenza dei segni, può determinare il felice esito dell’avvenire.  

Il tempo come eterno ritorno

Gli stessi greci affiancavano poi alla concezione lineare del tempo, alla successione delle stagioni e degli anni, una visione di tipo ciclico. In quest’ottica il futuro perde la propria natura speciale di tempo “a venire” e resta impigliato nelle trame di un eterno ritorno dell’identico. Così è per Eraclito, per il quale “dio è giorno-notte, inverno-estate, sazietà-fame”, secondo una visione cosmologica in cui la coesistenza e unità dei contrari si traducono in una vicenda di eterno mutamento e ritorno. Anche per gli stoici ogni evento accade secondo un ordine preciso e destinato a ripetersi eternamente, sempre identico a se stesso, all’interno di singoli cicli temporalmente finiti. Ogni ciclo storico termina con un’immane conflagrazione universale, un fuoco primordiale in cui tutto consumandosi muore e da cui tutto rinasce. Ciclica è anche la vicenda storico-politica degli stati nella visione di Polibio che, sulla scia di Platone, individua tre tipi di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia), destinati però a corrompersi nelle rispettive forme degenerate: l’avvicendarsi eterno di questi cicli può essere spezzato solo dall’avvento di un nuovo tipo di stato, la costituzione “mista” storicamente rappresentata dalla repubblica romana.  

Il tempo ciclico nel pensiero occidentale

Quella ciclica è una concezione di grande vitalità, se pensiamo, rimanendo nell’ambito del solo pensiero occidentale, alla teoria delle quattro età del mondo (oro, argento, bronzo, ferro): pur nelle variazioni del tema, essa è attestata in Esiodo, Virgilio, Ovidio, Machiavelli, Vico, che nella Scienza nuova tratta del “ricorso delle cose umane”. Questa dottrina è radicata in una visione pessimistica della vita e del futuro, sentito come degenerazione rispetto alla perfezione aurea del passato, e comunque vincolato a una ripetizione necessitata, a un agire deterministico e poco libero. “Ogni verità è ricurva. Il tempo stesso è un circolo”, dirà lo Zarathustra nietzschiano. Niente di nuovo, dunque, sembra profilarsi nel futuro, erede di un’umanità corruttibile e, al fondo, sempre uguale a se stessa. In realtà, si può e si deve pensare che la radice del passato viva nel futuro, ne rappresenti una linfa e una forza propulsiva, se è custode consapevole di quella storia e cura della tradizione nel senso migliore del termine. Oggi il progresso culturale sembra procedere in modo non più lineare, come negli ultimi secoli, ma in una prospettiva fortemente discontinua, fatta di salti, inversioni, recupero di istanze del passato. E la riscoperta della tradizione può diventare pratica vitale e consapevole nella progettazione e costruzione del futuro. Infine per gli antichi il futuro non è solo tempus futurum, cioè “tempo che sarà”, o destinato a essere grazie al suo legame con il passato. Esso è anche tempus reliquum, il “tempo che resta”. Forse questo sguardo sul futuro come tempo che rimane da vivere, da immaginare, da amare, può essere un balsamo efficace contro lo smarrimento del presente. Ricordando però che la pienezza ricercata e desiderata resterà sempre “a venire”, come la rosa di Borges “il giovane fiore platonico, / l’ardente e cieca rosa che non canto, / la rosa irraggiungibile”. Crediti immagini: Apertura: Bernhard Rode, Un augure e Numa Pomplio, 1769, da Wikipedia (Link) Box: Hendrick ter Brugghen, Eraclito, olio su tavola, 1628, Rijksmuseum, Amsterdam, da Wikipedia (Link)
Hendrik_ter_Brugghen_-_Heraclitus
Ein_Augur

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