Aula di Lettere

Aula di Lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Filosofia

Emergenza, diritti, precarietà. La filosofia contemporanea alla prova della pandemia

Sin dalle prime settimane dell’emergenza sanitaria, filosofi e intellettuali si sono interrogati sulla legittimità dei provvedimenti e sulle possibili conseguenze per le nostre democrazie. In Italia, Giorgio Agamben si fa portavoce di coloro che vedono nelle misure adottate in questi mesi un’azione sproporzionata e pericolosa, mentre Umberto Galimberti ha evidenziato il bisogno di recuperare un’etica che responsabilizzi il singolo.

leggi

La straordinaria eccezionalità della situazione globale causata dal Coronavirus ha offerto alla filosofia contemporanea un ricco materiale di riflessione che attraversa le sfere dell’etica, della politica, dell’economia, della psicologia. Si tratta di dibattiti che calano nella nostra concreta quotidianità tematiche apparentemente lontane e astratte. È opportuno tuttavia mantenere la consapevolezza che le diverse posizioni in campo risentono in modo inevitabile di un contesto ancora in divenire che può confermarle, smentirle o rendere necessarie ulteriori rivalutazioni e articolazioni.  

Il ritorno dello Stato tra tutela della vita e libertà individuali

Dopo decenni in cui si è registrato un progressivo indebolimento della forma Stato-nazione, a discapito dei mondi dell’economia e della finanza, nella situazione di emergenza sanitaria i governi centrali, in particolare quelli dei paesi europei, si sono trovati a dover prendere decisioni drastiche. Sin dalle prime settimane, filosofi e intellettuali si sono interrogati sulla legittimità dei provvedimenti e sulle possibili conseguenze di questi precedenti per le nostre democrazie. Nel panorama italiano sono state le posizioni del filosofo Giorgio Agamben (n. 1942) a suscitare interesse, ma anche forti polemiche. Nella raccolta di articoli A che punto siamo? L’epidemia come politica, Agamben si fa portavoce di coloro che vedono nelle misure adottate in questi mesi un’azione sproporzionata e pericolosa, volta a normalizzare, nel senso di rendere regola, quello che nella storia della filosofia è conosciuto come “stato d’eccezione”. La pandemia non sarebbe che un “pretesto” per sospendere le libertà democratiche e controllare intere fette di popolazione. Una sospensione di diritti che richiamerebbe alla mente le norme speciali messe in atto in particolare negli Stati Uniti dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, con una differenza fondamentale: nel contesto attuale la minaccia è biologica, non ideologica, e riguarda tutti nello stesso modo. Le posizioni di Agamben sono radicali e non stupisce che abbiano suscitato aspre critiche. Toccano però un nervo scoperto dello stato di diritto, ovvero il dilemma che emerge di fronte a diritti fondamentali «in concorrenza tra loro». Riflettendo a partire dall’ordinamento giuridico tedesco, il filosofo Jürgen Habermas (n. 1929) e il giurista Klaus Günther (n. 1957) si sono interrogati su come sia possibile definire il punto di equilibrio tra tutela della vita dei cittadini e garanzia della sfera delle libertà personali, una questione di enorme portata sia politica che giuridica. Habermas tenta di superare l’impasse sostenendo che, nel momento in cui i cittadini di uno stato democratico obbediscono a leggi che si sono dati da soli e «tutti insieme», non possono al contempo «approvare una politica che contro la loro parità di trattamento mett[e] in gioco la vita di alcuni per gli interessi di tutti gli altri».

Il testo integrale del dialogo tra Jürgen Habermas e Klaus Günther è apparsa sul prestigioso Die Zeit il 9 maggio 2020 e la traduzione è disponibile qui

La tradizione occidentale in crisi. Incertezza e responsabilità

Nelle interviste rilasciate nei mesi scorsi, il filosofo Umberto Galimberti (n. 1942) ha evidenziato come la pandemia abbia messo in discussione i cardini rassicuranti sui quali poggia la concezione diffusa di modernità. Il progresso scientifico e tecnologico non è stato capace di prevedere e arginare il comportamento del virus e le conseguenze della sua diffusione, cogliendo impreparati anche i paesi più sviluppati. Soprattutto le società occidentali, pervase dalla fiducia, di origine illuministica, nella capacità di controllo dell’uomo sulla natura, si sono trovate a fare i conti con un inedito sentimento di precarietà. Una precarietà che si percepisce sia a livello collettivo che individuale e che si manifesta con un diffuso sentimento di angoscia, diverso dalla paura in quanto nasce dall’impossibilità di identificare in modo chiaro e visibile un nemico. All’indomani della fase più critica della pandemia, le riflessioni di Galimberti si sono focalizzate sulla componente etica, inserendosi nel dibattito sui comportamenti personali nel dopo lockdown. Il filosofo ritiene fondamentale recuperare la distinzione introdotta da Max Weber (1864-1920) tra etica della convinzione (o delle intenzioni) ed etica della responsabilità. Contrario alla tradizione di matrice kantiana che ha plasmato anche il diritto europeo, Weber era convinto che per giudicare un’azione non si dovesse considerare le intenzioni (buone o cattive) che l’avevano prodotta, ma le conseguenze (positive o negative) che da esse erano derivate. Calando nel contesto attuale questa analisi, Galimberti si fa portavoce della necessità del recupero di un’etica che responsabilizzi il singolo, portandolo ad agire sulla base dei possibili effetti.

In un breve contributo video, raccolto nelle prime fasi della pandemia, Galimberti analizza la differenza tra paura e angoscia, le caratteristiche dei comportamenti umani e gli interessi in gioco e spesso contrastanti dei diversi macro-soggetti che si sono delineati nel corso dell’emergenza. Clicca qui per vedere il video.

Ripensare la politica e l’economia globali. Il “comunismo reinventato” di Slavoj Žižek

Nel volume Virus. Catastrofe e solidarietà, il filosofo sloveno Slavoj Žižek (n. 1949) si interroga su quale sia la modalità per uscire dallo sconvolgimento in corso, letto non come una crisi tra le altre, ma come un punto di svolta epocale. Agli antipodi di Agamben che vede la pandemia come un fattore capace di inasprire ulteriormente i rapporti tra paesi e gruppi sociali, la prospettiva di Žižek appare ottimista: la consapevolezza di “essere sulla stessa barca” impone la pratica di una «solidarietà incondizionata» e induce per la prima volta i governi a collaborare per una risposta coordinata globale, se non altro per una necessità di sopravvivenza. Il Coronavirus ha portato senza dubbio alla luce aspetti negativi più o meno latenti nelle nostre società (come l’emergere e l’affermarsi di teorie cospiratorie), ma non si può negare per Žižek che ha anche duramente colpito la «barbarie» del capitalismo il quale ha fallito nella risposta all’emergenza: lo stesso mantra della sopravvivenza del più forte grazie allo sfruttamento di risorse limitate rivela per il filosofo tutto il proprio principio autodistruttivo. Probabilmente influenzato dal suo percorso intellettuale, Žižek definisce questa visione «comunismo reinventato», anche se a ben vedere la prospettiva che abbraccia si allontana non poco dall’idea classica di comunismo.   Crediti immagini:  Apertura: Pixabay 

quarantine-4981010_1280

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento