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Lettere classiche

Roma città eterna e le contraddizioni dell'età di Augusto

La Roma di Augusto era una città opulenta. Dopo aver sconfitto il rivale Antonio, emblema di quella Roma amante del lusso, Ottaviano puntò a risanare la città in nome degli antichi valori rurali delle origini
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Memoria storica e spazio urbano

Nella Roma antica passato e presente sono luoghi che coesistono nello spazio dell'Urbs, nella Città eterna. Passeggiare per le vie della Roma di Augusto, metropoli opulenta e affollata capitale dell'impero, significa percorrere i luoghi della memoria, poiché la memoria collettiva dei Romani sembra avere coordinate spaziali più che temporali, e concretamente sostanziarsi nei luoghi sacri in cui si manifesta la presenza divina tra gli uomini, più che assumere la forma narrativa, astratta, del mito. Sul Palatino, vicino alle Scalae Caci (la scalinata che scendeva al Circo Massimo, legata al passaggio di Ercole nel Lazio primitivo e al furto di buoi perpetrato a suo danno dal mostruoso pastore Caco), si poteva ancora venerare la Casa Romuli, una capanna di canne e argilla dal tetto di paglia, ritenuta l'abitazione del mitico fondatore di Roma. A Sud del Palatino, presso la Porta Capena, sorgeva il lucus Egeriae, dove Numa Pompilio incontrava la ninfa sua sposa, ispiratrice del re fondatore del culto religioso.
Per vedere il sito sul Palatino identificato come sede della Casa Romuli, clicca qui
 

Spazi sacri e identità nazionale

Nel Foro, cuore pulsante della vita politica, economica e sociale, un parapetto di pietre delimitava il Lacus Curtius, memoria eterna della vittoria romana sui Sabini (nelle sue acque paludose, secondo la versione di Livio 1,12,10, il sabino Mezio Curzio sarebbe stato costretto ad abbandonare il suo cavallo, rimasto impantanato mentre fuggiva all'assalto di Romolo) o forse, piuttosto, monumento alla virtù romana (secondo l'altra versione, conservata anch'essa da Livio 7,6,1-6, nel Foro si aprì una voragine che, secondo il responso dei Libri Sibillini si sarebbe richiusa solo se avesse ricevuto la cosa più preziosa per il popolo romano; né oro né doni magnifici riuscirono a colmarla, ma solo il sacrificio di un giovane cavaliere romano, Marco Curzio, gettatosi col suo cavallo nelle viscere della terra perché convinto che per Roma la cosa più preziosa fosse il coraggio della sua gioventù guerriera; allora la terra si richiuse e produsse in cambio molti uomini valorosi). Possono anche esserci incertezze sulla ricostruzione degli eventi che hanno reso sacri i luoghi di Roma (e del resto tali eventi si perdono in un passato remoto e leggendario), l'importante è che quei luoghi siano sacri, che svolgano cioè la funzione civile, di riconoscimento collettivo di una comune identità nazionale, attribuita dal popolo romano alla topografia dell'Urbe.
Per saperne di più sul Lacus Curtius clicca qui
 

Il Campidoglio abitato da Giove

Il suolo di Roma è abitato dagli dei, presenti non solo nei templi ad essi dedicati, ma anche nei luoghi in cui anticamente hanno lasciato traccia del loro passaggio. Per esempio, non si può entrare in armi entro il pomerium, il sacro confine tracciato dal fondatore Romolo sul Palatino e poco alla volta ampliato, perché la guerra è affare di Marte e la città invece appartiene a Giove: il dio ha preso possesso del Campidoglio e il suo tempio svetta sul colle e si impone all'attenzione di tutti con lo splendido tetto aureo. Con un'inversione di prospettiva Virgilio immagina Enea percorrere, accompagnato dal re arcade Evandro, insediatosi sul Palatino e alleato dei Troiani nella guerra contro Rutuli e Latini, i luoghi in cui un giorno sarebbe sorta Roma: la Porta Carmentale, il Lupercale e l'Argileto, la rupe Tarpea e il Campidoglio «aureo oggi, irto un tempo di silvestri cespugli» (Eneide 8,348), capace di incutere terrore negli antichi abitanti perché animato da una presenza divina, in cui gli Arcadi riconoscono lo stesso Giove.  

Il regno di Saturno nel Lazio primitivo e l'età dell'oro che rivive nella Roma augustea

Ma ancora prima di Giove in quegli stessi luoghi trovò rifugio Saturno, cacciato dall'Olimpo dal figlio usurpatore. Fu Saturno a chiamare Latium la terra in cui rimase nascosto e al sicuro (Latium… vocari / maluit his quoniam latuisset tutus in oris, Eneide 8,328), a stabilirvi un regno di pace e giustizia, la mitica età dell'oro celebrata dai poeti. E ora Ottaviano Augusto, garante della pace raggiunta a prezzo di sanguinose guerre fratricide, ha riportato gli aurea saecula a Roma, nella terra in cui un tempo regnava Saturno, come profetizza il padre Anchise ad Enea disceso agli Inferi: «Questo è l'uomo che spesso ti senti promettere, l'Augusto Cesare, figlio del Divo, che fonderà di nuovo il secolo d'oro nel Lazio peri campi regnati un tempo da Saturno (aurea condet /saecula qui rursus Latio regnata per arva / Saturno quondam)», Eneide 6,791-793 (trad. L. Canali). L'età dell'oro è esistita davvero, assicura dunque Virgilio ai suoi lettori, ed era il regno di Saturno nel Lazio primitivo: ora gli aurea saecula, i Saturnia regna rivivono nell'opera di governo di Ottaviano Augusto. Nella retrospettiva rovesciata della storia di Roma, inserita da Virgilio nel suo epos nazionale, il regno aureo di Saturno rappresenta il sistema di valori della società pastorale e agraria delle origini, quello stile di vita semplice e austero che ha reso grande Roma nel mondo. Virgilio è evidentemente in sintonia con il programma di riforme sociali promosso da Augusto per il recupero della morale agraria arcaica, ideologia che sostiene e rafforza il rispetto formale delle istituzioni repubblicane voluto dal princeps.  

Campagna e città: un'opposizione ideologica

Eppure la Roma pastorale delle origini ormai esiste solo nella memoria del passato. Roma è una metropoli opulenta, il centro di un vasto impero da cui affluiscono merci di ogni genere, bottini di guerra, animali esotici, prigionieri venduti come schiavi che in città vanno ad ingrossare le fila degli eserciti di profumieri, parrucchieri, massaggiatori, medici, argentieri, architetti, contabili, agronomi, maestri e professori pronti a rispondere alle esigenze di una società abituata a uno stile di vita piacevole e raffinato. La Roma dei lussuosi palazzi marmorei ha preso il posto delle capanne dal tetto di paglia erette sul Palatino, come la casa di Romolo, che pure la città continua a restaurare e venerare. La morale agraria di stampo catoniano, il modello del cittadino-soldato interamente risolto nella vita pubblica, nella dedizione allo stato, è ora in concorrenza con una più rilassata ideologia urbana, che prevede anche per l'uomo politico la necessità dell'otium e rivendica una dimensione privata dell'esistenza, in cui godere delle piacevolezze che la città mette a disposizione. Per lungo tempo nella storia di Roma questi due modelli esistenziali si sono contrapposti ed intrecciati nella vita dei cittadini romani come un'alternativa inesauribile. I Romani amano Roma e la raffinata società urbana, ma soffrono anche di un'insanabile nostalgia per la campagna, per la vita semplice e pura che vi si conduce. Orazio è costretto ad ammettere con se stesso: «Lodi la sorte e i costumi della plebe in antico, ma se di colpo un dio ti ci riportasse, ti rifiuteresti …  Quando sei a Roma vuoi la campagna, ma in campagna porti alle stelle la citta?. Se per caso nessuno ti invita, lodi i legumi consumati in pace … Ma se Mecenate ti invita a cena all’ultimo minuto, ecco che sbraiti a gran voce: ‘Nessuno che si sbrighi a portarmi il profumo? Siete sordi?’, e scappi via» (Satire 2,7,22-35; trad. G. Paduano). Al fascino della città non si può resistere, sembra dirci Orazio, al di là di ogni riserva morale.  

Dal conflitto ideologico verso l'affermazione del relativismo culturale

In piena crisi della Repubblica, però, con la contrapposizione sempre più violenta delle due fazioni in lotta, la complessità del sistema dei valori etici si è polarizzata in un'opposizione irriducibile che ha radicalizzato le differenze: da una parte la morale agraria arcaica, il modello del cittadino-soldato identificato in Ottaviano, dall'altra l'ideologia urbana, la mollezza del lusso e dei piaceri, incarnata da Antonio e dall'Oriente ellenizzato a cui il rivale di Ottaviano è legato. Ottaviano riscuote il consenso degli Italici sulla base del recupero della morale agraria, garanzia del primato della penisola sul resto dell'impero, e divenuto Augusto avvia la sua campagna di risanamento morale della società romana. Non senza difficoltà: i ceti elevati si mostrano intolleranti verso l'intromissione dello stato nella vita privata con una serie di leggi restrittive che pongono limiti al consumo di beni di lusso o pretendono di porre un freno alle relazioni extraconiugali. Ristabilita la pace, ripreso con nuovo slancio l'afflusso di beni provenienti da tutte le regioni dell'impero, la società augustea afferma piuttosto le ragioni del relativismo culturale e dell'ampliamento dei margini di tolleranza. La Roma dei consumi, dei beni di lusso e della vita raffinata esercita un'attrazione irresistibile sui cittadini romani. C'è un genere letterario in particolare, che nell'adesione alla vita urbana vede la condizione indispensabile alla propria esistenza, l'elegia d'amore. Eppure anche per il poeta elegiaco la città esercita un fascino ambiguo, è amata e rifiutata, celebrata e maledetta, in un continuo desiderio di rifondazione che attinge non di rado ai valori della tradizione arcaica. L'avidità della puella, la competizione con il rivale ricco, l'amarezza di un tradimento subito spingono l'amante poeta a rifugiarsi nell'universo mitico, a rimpiangere la Roma pastorale, evandrea, delle origini.
Sulla trasformazione delle abitudini di vita nella Roma di Augusto puoi vedere un reportage di Rai Cultura con intervista a Eva Cantarella cliccando qui
Crediti immagini: Apertura: Fori romani, foto di Henning Klokkeråsen, su flickr Link Box: statua di Augusto in una foto di Juanedc, su flickr Link  
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